Fa ancora tanto rumore, e chissà ancora per quanto, la clamorosa esclusione dell'Italia dal Mondiale in Qatar, la seconda consecutiva dopo lo choc svedese pre-Russia 2018. Ovviamente, sono ancora in circolazione le reazioni di pancia, che invocano il reset del sistema calcio italico, che chiedono la testa di tutti, che "nelle nostre giovanili ci sono troppi stranieri" e che sul mercato si preferisce guardare all'estero rispetto al nostro campionato. Verità fino a un certo punto, perché se un giocatore ha qualità e merita di essere inserito tra i top internazionali, il passaporto conta relativamente. E in una società globalizzata come la nostra, non fa differenza se un ragazzo arriva da un altro continente, perché la maggior parte è nata e cresciuta in Italia. Certo invitare tutte le società a investire bene o meglio nei vivai è sempre cosa buona e giusta (magari rispolverando e agevolando il discorso delle famose squadre B), ma imporre regole che obblighino ad avere un tot di Under in rosa non con ruoli marginali sarebbe controproducente sia nella libertà di scelta dei vari allenatori sia nel confronto con l'estero, dove già a livello di club facciamo enorme fatica. L'esempio da seguire è sempre il Belgio (ma non mancano altri esempi, come Francia e Spagna), dove la Federazione, stanca di raccogliere poco o nulla a livello di Nazionale, ha invitato le società a ricominciare da zero costruendo una solida base a livello giovanile, che poi è emersa con forza tra i professionisti. Non è un caso se ancora oggi pescare in quel campionato sia sempre una buona idea, perché l'imprinting è rimasto. La domanda però è un'altra: è possibile dare una svolta virtuosa in un sistema marcio dalle fondamenta, in cui i vertici pensano più alla loro poltrona, gli stadi di proprietà sono un lusso, un mercato autarchico è tortuoso per le richieste esose di chi vende i propri 'campioni', fiscalmente conviene di più pescare all'estero, chi prende decisioni non sempre è all'altezza e viene guardato con sospetto perché affiliato a questo o quell'altro club (servirebbe un commissioner che sappia vendere un prodotto piuttosto che accontentare chi l'ha proposto per quel ruolo) e, ancora più deprimente, gli incontri in Lega più che essere costruttivi per il bene comune sembrano riunioni di condominio in cui la priorità è avere ragione. Un contesto desolante di cui la Nazionale, sul campo, è solo lo specchio. 

A proposito di campo, le prestazioni degli azzurri meriterebbero un'analisi fredda. Siamo diventati Campioni d'Europa dopo un girone di qualificazione praticamente perfetto, ma lo abbiamo fatto senza grandissime prestazioni e con una buona dose di fortuna, andando oltre i nostri limiti in modalità tipicamente azzurra. In gergo, si dice overperformare. Quanto la squadra ha mostrato dopo il titolo è stato un evidente passo indietro, dovuto soprattutto alle condizioni fisiche e alle assenze nei momenti clou. Poi, certo, se Jorginho avesse segnato anche solo uno dei due rigori contro la Svizzera, oggi non ci sarebbero tragedie calcistiche da affrontare. Un rigore segnato può fatto vincere un Europeo e uno sbagliato escluderti dal Mondiale successivo. Così come tirare 30 volte non porti a nessun gol mentre una preghiera al 92' ti faccia vincere. È il calcio. La Nazionale italiana ha molti buoni giocatori e talento qua e là, ma non ha fuoriclasse. L'unico che vi si avvicina è Marco Verratti, ma da solo non basta a determinare le partite. I Mbappé, gli Haaland, i Benzema, i De Bruyne, i Lewandowski sono altrove e noi non siamo in grado di produrre da tanti anni. La selezione che vinse il Mondiale era piena di fuoriclasse, alcuni all'ultima chiamata internazionale. Oggi non esiste neanche il confronto. Va così, non sempre è colpa di chi si occupa dei vivai. È una questione di cicli. E il futuro non sembra neanche roseo, considerando le Nazionali azzurre giovanili in cui non emergono grandi talenti.

Cosa fare dunque? Non è chiaro se Mancini rimarrà al suo posto, ma al di là di ciò lo choc della sconfitta contro la Macedonia del Nord va cavalcato in modo intelligente, a partire dalla scelta del nuovo gruppo azzurro che deve puntare sui ragazzi che oggi offrono maggiori garanzie. I vari Chiesa, Barella, Zaniolo, Pellegrini, Bastoni, Tonali, Scamacca, Raspadori, Donnarumma, Locatelli eccetera possono, anzi devono essere la base da cui ripartire, armandosi di tanta pazienza perché i risultati potrebbero non arrivare subito. E nel frattempo è necessario fare crescere alle loro spalle altri ragazzi che oggi faticano persino a trovare spazio nelle loro squadre di club. L'Europeo ha solo drogato la percezione di qualcosa che era comunque in atto da tempo, oggi questo tempo è scaduto e da una crisi può nascere qualcosa di buono. Alla fine è sempre la competenza a fare la differenza, nel calcio come in qualsiasi altra professione. Basterebbe un ragionamento d'insieme piuttosto del solito approccio personalistico tipicamente italico. Facile a dirsi, ma a farsi?

Ah, siccome qui bisogna anche parlare di Inter, alzi la mano chi guardando Italia-Macedonia del Nord non abbia avuto quella dolorosa sensazione di un film già visto più volte recentemente: creare tanto, non segnare mai e prendere gol al primo tiro in porta. Tendenza che, curiosità, aveva anche l'Inter di Mancini. Nessuna sorpresa, il tifoso nerazzurro sapeva già come sarebbe finita.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 26 marzo 2022 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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