L'era Conte ha avuto inizio in modo scoppiettante e ci sarà tempo e spazio per parlarne, abbondantemente. Ma prima di chiudere definitivamente il capitolo Spalletti, è doveroso tornare ad analizzare i suoi due anni sulla panchina dell'Inter. Partendo subito da un presupposto inequivocabile: l'obiettivo, in questa fase di delicata transizione, era riportare l'Inter in Champions League e Luciano lo ha portato a termine. Basterebbe anche solo questo per stringergli la mano e ringraziarlo per il lavoro svolto. Eppure no, c'è molto di più.

L'uomo da Certaldo, il dirimpettaio della follia di sabatiniana memoria, ha vissuto nella seconda stagione un'esperienza difficile da raccontare, sconsigliabile per chiunque. In un ambiente, quello nerazzurro, che nel profondo si nutre di contraddizioni, è costantemente in bilico e fugge la normalità (anche per questo ogni vittoria è una goduria indescrivibile), anche nel pieno della costruzione di un club stabile e meno empatico, Spalletti ha assaporato sulla propria pelle quanto possa essere complicato uscirne tutti interi, senza neanche un segno visibile sul volto (buon per lui che il grigiore dei capelli non lo possa cogliere) e con i risultati finali che certificano la bontà del tuo lavoro.

C'è chi sostiene che più della meta conti il viaggio. Se dovessimo valutare il secondo anno di gestione spallettiana partendo da questo presupposto, probabilmente ci verrebbe voglia di abbracciarlo. Perché al di là di errori da lui commessi, come avviene a ogni allenatore, anzi a ogni essere umano, e di un progetto tattico evoluto solo in parte rispetto alle intenzioni e alle premesse, capitan Luciano ha dovuto fare i salti mortali per condurre la nave in un porto sicuro, tra le prime quattro del campionato. Rapido ripasso:

- Settlement agreement, mercato (discreto) con molti prestiti e parametri zero;

- Nainggolan, per il quale il tecnico ha messo la faccia, che tra infortuni, scivoloni professionali e saudade capitolina gli dà molto meno di quanto avrebbe potuto e dovuto;

- Ingaggio di Marotta a stagione in corso, che da plenipotenziario con la sola presenza alimenta fantasmi sul proprio futuro che con il trascorrere del tempo assumono contorni sempre più definiti;

- Le richieste di cessione da parte di Perisic, Candreva e Miranda, convinti a rimanere (controvoglia) per assenza di sostituti;

- Il caos Icardi, principale attaccante che a causa di uno scazzo mal gestito da tutti lo ha abbandonato in un momento chiave della stagione (con annesso il ruolo ingombrante di Wanda);

- Stampa costantemente avversa e meno paziente rispetto ad altri colleghi, quelli che lui ha definito viscidi e che fino all'ultimo hanno privilegiato le voci sul suo avvicendamento nel pieno di una rincorsa al piazzamento Champions;

- Arbitraggi opinabili, quando non addirittura indecorosi con il picco raggiunto dai 2 punti sottratti a Firenze da Abisso, che fino all'ultimo hanno messo in discussione l'obiettivo finale (senza dimenticare Sassuolo, Parma e Cagliari, per esempio).

Abbastanza materiale da convincere chiunque a rassegnare le dimissioni per preservare la propria salute mentale. Tutti ma non lui, che al netto, ribadiamo, di diverse scelte e valutazioni rivelatesi errate, ha mantenuto una ferra lucidità fino all'ultima curva, quando con più di un patema ha portato la nave in salvo e con pochi danni (soprattutto quelli alle coronarie dei tifosi). A questo si aggiunge il carico personale della grave malattia del fratello, di cui nessuno ha saputo nulla fino alla sua dolorosa scomparsa. Lo hanno definito scarico, privo di voglia di lottare, rassegnato per una situazione professionale complessa e di difficile soluzione. Invece ha continuato a lavorare seriamente, in modo corretto come direbbe lui, senza far trasparire nulla, con la morte nel cuore. E tutti gli addetti ai lavori, qualche tifoso e molti 'professionisti' della comunicazione, forse, quando si è scoperta la verità avranno provato un po' di imbarazzo per aver letteralmente tartassato Spalletti ben oltre le sue colpe. 

Umanamente Luciano non ha goduto certo di un trattamento di favore, ma gran parte dei tifosi, pur criticandone alcune scelte, hanno imparato a volergli bene. Le perle di saggezza, le mimiche, l'essere fuori dagli schemi, anche certe frecciate fuori da ogni logica: nessuno, dai tempi di José Mourinho, ha saputo adeguarsi all'interismo come Spalletti. E i post Instagram con cui ha salutato e ringraziato lo testimoniano. Per questa ragione, pur con la consapevolezza che bisogna sempre guardare avanti e che l'Inter ha scelto legittimamente Conte perché lo considera un upgrade, il mister di Certaldo merita un plauso e l'onore delle armi, già tributatogli dalla tanto discussa Curva Nord e dal popolo nerazzurro. E fa piacere il messaggio di Steven, che gli ha reso omaggio sottolineando che ha davvero dato tutto fino all'ultimo.

Se è vero che a uomini forti corrispondono destini forti, il suo futuro sarà eccezionale. In bocca al lupo Luciano, e grazie.

Ultimo pensiero a Jurgen Klopp, fresco vincitore di Champions League con il suo Liverpool. Qualcuno ha avuto il coraggio di definirlo perdente, dopo sei finali (di cui tre europee) a bocca asciutta e una Premier League lasciata sul tavolo del Manchester City per un solo punto di differenza. Ieri il tedesco si è preso la sua rivincita, confermando che certe etichette sono fesserie. Anche se avesse perso, nessuno a Liverpool avrebbe avuto il coraggio di contestarlo. Solo in Italia se non vinci sei un fallito. Pensiamoci.

VIDEO - MATERAZZI-JULIO CESAR SFIDA DAL DISCHETTO ALL'EVENTO UEFA

Sezione: Editoriale / Data: Dom 02 giugno 2019 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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