Difficile, o meglio, impossibile, anche se forse per qualcuno necessario, parlare di calcio in questi giorni. Personalmente non ne sono capace da diverse settimane. Perché viviamo un periodo storico in cui il tempo è stato fermato, le priorità modificate, le abitudini cambiate. Lecito, per alcuni, cercare nel pallone il consueto rifugio, la famosa fuga dalla realtà. Altrettanto lecito, ritenerlo superfluo. O anche, semplicemente, meno interessante del solito.

Si diceva di un tempo che è stato fermato, congelato. Sicuramente tutto è rallentato, persino per chi sta continuando a lavorare pur nell'irrealtà di una situazione immaginata forse solo in qualche film. Sono rallentati i ritmi di una città ma anche quelli di un quotidiano che non ha più il medesimo sapore.

Ci ritroviamo costretti a fare i conti con un tempo nuovo, che trascorriamo in maniera diversa: costretti a stare a contatto con qualcuno o, viceversa, costretti a stare lontano, da qualcuno. Costretti a trascorrere come mai prima i giorni, le ore, le serate, i weekend. Ognuno a modo suo, ognuno riscoprendo alcune cose o sentendo la mancanza di altre.

Forse andavamo troppo di fretta prima. Non avevamo mai tempo per tante cose e troppe persone. Ora sì, lo abbiamo. E dobbiamo sfruttarlo. Sarebbe un peccato se, quando la disastrosa emergenza coronavirus sarà finita, o anche solo diminuita, tutto ritornasse esattamente come prima. Sarebbe un peccato se non rimanesse traccia di un tempo nuovo con cui siamo costretti a confrontarci e che ci permette di ascoltare, guardare, leggere, pensare. Non solo di parlare e di sentenziare.

E questo tempo nuovo andrebbe considerato anche nel calcio che, per definizione, di tempo ne concede poco o nulla. Basta una sconfitta e tutto viene messo in discussione. Così, prima che tutto venisse, in maniera sacrosanta e tardiva, chiuso e fermato, l'Inter miseramente sconfitta a Torino aveva portato molti a criticare Conte, a definire Eriksen un sopravvalutato, Lautaro uno che pensa già al Barcellona e Lukaku uno che sparisce sempre nei momenti decisivi.

E' dalla gara rinviata contro la Samp che questo campionato non ha più avuto senso. Ci si è messo troppo tempo a decidere come reagire e le difficoltà che hanno poi incontrato le leghe dei campionati stranieri, che tutt'ora non sembrano essersi del tutto rese conto di quello che stiamo vivendo, ci fa sentire forse meno soli ma comunque non meno colpevoli.

Ora che tutto è in stand-by, abbiamo il tempo di ripensare, in maniera logica e lucida, che il progetto di Conte è comunque e certamente positivo e meritevole di fiducia, entusiasmo e positività. L'Inter era da terzo posto ad agosto ma l'ottimo lavoro dell'allenatore aveva spinto qualcuno all'illusione di uno scudetto che, molto probabilmente e al di là degli scenari ipotizzati, finirà (forse) altrove.

Ma il solo fatto di essere diventata una contendente credibile, è il segno del buon campionato fatto fino a qui dall'Inter, del suo cambiamento e della sua parziale rinascita. Il suo dovere era, e rimane, tenere la scia delle squadre al vertice, provare a ribaltare la semifinale di Coppa Italia e andare più avanti possibile in Europa League. Per poi crescere, passo dopo passo. 

Non torniamo a essere quelli frettolosi di prima. Quelli che dopo una vittoria puntano in alto e dopo una sconfitta chiedono la testa dell'allenatore o dell'attaccante per distruggere tutto e ricominciare da capo. Teniamoci stretto questo tempo nuovo con cui stiamo imparando a fare i conti. Teniamoci stretto questo progetto: l'Inter è una creatura ambiziosa ma quasi nuova. Quindi inesperta. Ha bisogno di essere modellata ancora, migliorata ma anche supportata e non ostacolata. Ma questo non succede rapidamente. Come non succederà in poco tempo di ritornare alle nostre vite, alla nostra quotidianità, al trascorrere delle ore e dei giorni così come li avevamo conosciuti. Non per questo saremo arrendevoli o demoralizzati, solamente diversi.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 16 marzo 2020 alle 00:00
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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