Il diritto di vincere nel calcio non esiste. L'Inter lo ha sperimentato sulla propria pelle in quel di Bergamo, quando l'Atalanta – nell'affollatissima aula dell'Atleti Azzurri d'Italia - ha urlato a gran voce i suoi meriti sul campo contro i presunti privilegi guadagnati da Icardi e compagni nelle sette cause vinte precedentemente. L'errore fatale commesso dalla squadra di Luciano Spalletti è stato quello di credere, anche inconsciamente, di partire in vantaggio sulla Dea ancor prima di portare alla luce tutti gli argomenti validi ai fini della vittoria. Come se un pari dorato ottenuto cinque giorni prima contro il Barcellona, mandando all'aria la legge del più forte con il cavillo del gol al fotofinish, costituisse la prova schiacciante per manifestare la propria superiorità in campionato.

Nulla di più sbagliato, la sentenza pronunciata dopo il triplice fischio dall'ex Gian Piero Gasperini è lì a testimoniarlo: 4-1 senza appello che lascia senza parole l'oratore Lucio. "Quando perdi 4-1 in questo modo, devi stare zitto e concedere spazio a chiunque voglia entrarci dentro", la dichiarazione a mente calda e spirito distrutto del tecnico di Certaldo. Che ha capito sin da subito la portata del tonfo dopo aver profetizzato alla vigilia le insidie che nascondeva un confronto alla portata solo virtualmente: "Non so quale possa essere il massimo: se è dieci, dico dieci - aveva detto in conferenza sabato parlando del coefficiente di difficoltà della gara -. Può essere anche il massimo, se noi non consideriamo che l'ultima partita della sosta è quella di domani e non è stata quella di martedì. Questo spesso succede nella testa dei calciatori".

Un campanello d'allarme che se ascoltato con il senno di poi assume i toni dell'avvertimento a un gruppo che probabilmente ha pagato l'intero dazio di un ciclo terribile tra campionato e Coppa. A tal punto dal far emergere vecchi difetti di fabbrica, difficili da estirpare con un solo anno e mezzo di lavoro: "L'Inter si porta dietro da tempo questo fatto di non riuscire a restare concentrata per lungo tempo", ha fatto notare Spalletti nella prima risposta post-partita dedicata all'analisi del ko. Il livello di guardia si è abbassato dopo quindici giornate, a circa un terzo di una stagione che si preannuncia ricca di impegni e insidie. La sosta per le Nazionali, di fatto, annulla tutto ancor più dello schiaffo di Bergamo che ha riportato il tassametro delle vittorie consecutive da sette a zero. Due settimane di pausa scenica per la squadra possono avere l'effetto di lenire una debacle pesante ma anche di posticipare la sete di rivincita. Cambia poco per i nerazzurri, la maggior parte dei quali in queste ore è in altre faccende affaccendato con la propria Nazionale. "Se la pausa può essere utile? E' uguale, abbiamo un modo di pensare preciso e sappiamo la direzione di corsa che vogliamo prendere – ha spiegato Spalletti -. Non temo niente: io devo solo fare con professionalità quello che mi compete, ovvero far desiderare ai calciatori di giocare e vincere più partite possibile".

Ecco, l'ultima frase è la chiave di lettura per capire come si muoverà l'Inter dal 24 novembre, data della sfida con il Frosinone, a fine annata: il desiderio di vincere va coltivato giorno per giorno, non può essere acquisito per diritto divino. Al massimo con gli sforzi degli uomini che lottano per quell'obiettivo che comunque non è mai universale perché appartiene a una sola squadra. Sicuramente vincere aiuta a vincere, ma non è ugualmente vero che l'abitudine al successo chiami altro successo. Semmai il contrario: il segreto è ripartire sempre da zero, non pensando che esista qualcosa di dovuto. In questo senso, il tour de force Tottenham-Juve-Roma-Psv aiuterà a capire se l'Inter avrà fatto il suo dovere. 

Sezione: Editoriale / Data: Gio 15 novembre 2018 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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