Liberi da un’ossessione, possiamo tornare a coltivare un sogno. Mi sento meglio, adesso. Ho avuto bisogno di un po’ di tempo. Sapevo, come tutti i nerazzurri dotati di normale raziocinio, che era doveroso incitare la squadra a compiere un’impresa, ma gli spiccioli di speranza li avevamo spesi in scommesse generose e vane, ben sapendo che avremmo dovuto puntare serenamente al massimo su un pareggio o sulla vittoria dello Schalke. Eppure ci stiamo male, facciamo ancora fatica ad accettare la normalità del calcio. Ossia il fatto che dopo una stagione incredibile il bis non esiste, è pura follia scaramantica. Tanto più che venivamo non da un solo anno di vertice, ma da un periodo lungo un lustro intero, certo senza il godimento massimo della Champions, ma con una serie di scudetti conquistati sul campo, sempre con fatica e sofferenza, eppure meritati e fantastici.

Ci stiamo male perché le vittorie sono davvero una forma di droga. Noi continuiamo a rivedere ossessivamente, a cominciare dalle immagini che accompagnano a San Siro la tristissima e splendida “C’è solo l’Inter”, i gol strepitosi di Milito, di Eto’o, dei grandi del passato. Conosciamo a memoria i passaggi smarcanti, la semplicità geniale del guizzo, le traiettorie di palloni che gonfiano la rete, l’esultanza dei giocatori, il sorriso e le lacrime di Mourinho e di Zanetti, le parole burbere e ironiche dell’avvocato Prisco. Questo film ripetuto all’infinito ci accarezza l’anima, ci commuove, ci esalta, ci fa sentire uniti in un orgoglio che l’Inter difficilmente ha vissuto nel passato, se non a sprazzi. Ma ci illude che quel congegno perfetto esista ancora, si possa ricomporre per incanto, a comando, solo evocandone lo spirito. Ciò che invece è accaduto adesso appartiene egualmente alla nostra storia, ha precedenti che ben conosciamo, fa parte del nostro dna. Siamo noi la storia, siamo l’Inter.

Disintossicarci dall’ossessione della vittoria è forse l’unica terapia che ci può portare a vincere di nuovo, nel modo che conosciamo, ossia lealmente, rispettando le regole e non taroccando i campionati, costruendo campioni e difendendo lo spirito di squadra, sostenendo la società e l’allenatore pro tempore, perché solo così difenderemo noi stessi, il senso del nostro tifo, della nostra appartenenza, che ci rende così diversi e belli. I tifosi che a Gelsenkirchen applaudono i campioni nerazzurri, stanchi e sconfitti, hanno scritto una nuova pagina di gloria nella nostra storia. Non è retorica, è la verità. Ora affronteremo altre sfide, non so come finirà il campionato, e neppure la Coppa Italia. Ma sono curioso di vedere quali scelte, quale progetto, la società assieme a tutti noi porterà avanti per rinnovare senza rottamare, per costruire il nuovo valorizzando il meglio che ancora resiste, ed è tanto. E’ una questione nostra, però. E invece oggi assistiamo allo sghignazzo e all’irrisione di gufi vecchi e nuovi, che dovrebbero solo tacere, ben sapendo che nessuno ha fatto meglio dell’Inter, neppure quest’anno, in Europa. Il Tottenham, ad esempio, potrebbe dire qualcosa a proposito della differenza fra il Milan e il Real Madrid. Tocca a noi non cadere nel trappolone mediatico, frutto di quella “prostituzione intellettuale” che si alimenta ogni giorno di nuovi protagonisti, più o meno famosi. Portiamoci oltre, con il cuore e con la ragione. Andiamo avanti, i nostri ragazzi se lo meritano, e anche noi, nel nostro piccolo, ce lo meritiamo. Con orgoglio, con un sorriso.


* Franco Bomprezzi, nato a Firenze, 58 anni, giornalista e scrittore. Vive e lavora in sedia a rotelle per gli esiti di una malattia genetica. Professionista dal 1984, ha lavorato in quotidiani, agenzie di stampa, portali internet. Attualmente free lance a Milano, esperto di comunicazione sociale. Editorialista del magazine “Vita”, modera il forum “Ditelo a noi” di corriere.it, è direttore responsabile di DM, periodico della Uildm, unione italiana lotta alla distrofia muscolare, e del portale Superando.it. Ha scritto “La contea dei ruotanti” (1999) e “Io sono così” (2003). Membro del comitato scientifico della Fondazione Vodafone, è portavoce di Ledha, Lega dei diritti delle persone con disabilità, è stato nominato Cavaliere della Repubblica il 3 dicembre 2007 dal presidente Napolitano in occasione della giornata internazionale delle persone con disabilità.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 15 aprile 2011 alle 00:01
Autore: Franco Bomprezzi
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