Un passo avanti e due indietro. Continua il triste leitmotiv in casa Inter che relega la Beneamata in un limbo inaccettabile. A Roma, al netto delle assenze e del pareggio subito in rimonta nella porzione finale di gara, avevamo comunque ammirato una squadra compatta, vogliosa e sempre concentrata. Un modo di stare in campo che lasciava ben sperare per altre otto partite da giocare come se fossero “tutte finali”, come amano dire calciatori e allenatori prima delle sfide decisive. E invece contro un Torino che non vinceva da due mesi e pure orfano di Immobile e Glik, è tornato alla ribalta il nulla nerazzurro. Anzi, un “dominio” del nulla, nel primo tempo terminato in vantaggio grazie ad un rigore non scandaloso, ma discutibile. Per il resto i soliti passaggi in orizzontale, senza la voglia di andare invece decisi verso la porta difesa, si fa per dire, dal guardiano del Toro Padelli, giunto al Meazza nelle vesti di spettatore non pagante. Il tutto aggravato dal fatto che di fronte al nulla nerazzurro, c'era un nulla cosmico di colore granata. Una squadra con un minimo di attributi doveva chiudere quel primo tempo con almeno due gol di scarto.

L'Inter non è scarsa come molti dicono. I vari Perisic, Icardi, Ljajic, Palacio, contro quel Torino, avevano il dovere di archiviare la pratica in 45 minuti. Invece no. E allora ecco il secondo tempo da tregenda. Quello che però capita solo agli sfigati che la sfiga se la vanno a cercare. Il Toro mette una corno avanti, nemmeno tutte e due, e segna. Il solito errore di concentrazione e concettuale (Santon) permette a tal Molinaro, che non la metteva dentro da quando si andava a letto dopo Carosello, a battere Handanovic. Erano passati una decina di minuti, mancava una vita per tornare a primeggiare. Si, per una squadra normale, non per la banda Paperoga tinta di nero e azzurro. Miranda decide di farsi dare un secondo inutile giallo che diventa rosso e tale destino abbraccia anche Nagatomo. Belotti segna su rigore il 2-1 per loro con l'Inter in nove. In pochi minuti una gara da vincere con la pipa in bocca diventa un incubo.

Colpa solo nostra? Certo che no. Come da tradizione, viene a dare manforte il Guida di turno, che sbaglia tutto. Come detto, concede all'Inter un rigore generoso, ma non scandaloso. Rifila una prima ammonizione inesistente a Miranda che poi, per un giallo stupido, ma giusto, viene espulso e concede un rigore fantasma a Belotti che porta all'espulsione ingiusta di Nagatomo. Al di là degli errori, della buonafede, della cattiva forma in cui ha diritto di incorerre anche un arbitro, siamo di fronte ad una triste verità. Attualmente l'Inter conta poco o nulla. Traduzione: se un arbitro decide di prendere una decisione, non pensa a dove si sta giocando, che eventualmente una squadra rimane in nove uomini, etc etc. L'arbitro segue subito il suo istinto, come sarebbe giusto del resto. Ma con tutti. No. Lasciare l'Inter in nove a San Siro va di moda dal 2010, si giocava Inter-Sampdoria e Josè Mourinho mostrava le manette al mondo. Ma ecco il punto.

Quell'Inter era talmente forte che delle decisioni di Tagliavento se ne fregava. Portava comunque a casa il risultato. Questa è invece un'Inter debole in campo e in società, sicuramente ha i numeri per migliorare, ma deve sbrigarsi su entrambi i fronti per uscire dal limbo. Il terzo posto sembra ormai un'utopia, non tanto per gli otto punti di distacco dalla Roma a sette giornate dal termine, ma per lo spessore attuale delle due squadre. L'Inter ora è quinta, l'obiettivo è quello di lottare con la Fiorentina che sopravanza i nerazzurri di un punto, per il quarto posto che vorrebbe dire Europa League senza la spada di damocle del preliminare. È inutile fare gli schizzinosi, questa è la realtà e va affrontata.

Sabato prossimo si recita al Matusa di Frosinone contro una squadra affamata di punti per tentare di rimanere in serie A. Sappiamo benissimo che non basterà il nome, la forza della maglia e una indiscutibile superiorità tecnica. Se l'Inter non giocherà con grande umiltà e concentrazione, in Ciociaria rischierà una storica brutta figura che aprirebbe ulteriormente la ferita provocata dalle cornate del Toro. Roberto Mancini continua a spiegare i problemi con la giovane età di molti interpreti e la necessità di avere tempo per costruire un qualcosa di solido. Tutto giusto in linea teorica, ma in Italia, all'Inter soprattutto, il tempo non basta mai. E il tempo, come diceva qualcuno, è denaro.

Senza investimenti importanti è difficile, se non impossibile, costruire una squadra grande e vincente. Servono soldi, serve aumentare il famigerato fatturato. Con chi? Con Thohir, con Moratti, con i cinesi che ogni tanto spuntano, ma poi, spesso, evaporano? Domande a cui spero a breve seguano delle risposte convincenti. Perchè comunque l'Inter mantiene una grande risorsa: il numero e l'amore dei suoi tifosi. Che non sono mai contenti, che vorrebbero cambiare allenatore ogni giorno e che promettono contestazioni ad ogni gara. Ma poi vanno in 40 mila al Meazza per un Inter-Torino, emozionandosi ancora quando l'altoparlante irradia “Pazza Inter amala”. Questo è il patrimonio che non va disperso e da cui attingere. Lo sanno a Milano, lo sanno a Giacarta, forse già lo sanno anche a Pechino.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 06 aprile 2016 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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