Non passa. Lo dico conscio che la cosa farà godere ancora di più chi ha vinto, ma il risultato di sabato scorso e le vicissitudini che lo hanno partorito, hanno prodotto una ferita calcistica difficilmente rimarginabile. Non tanto perché la sconfitta complichi ulteriormente all'Inter la possibilità di entrare la tra le prime quattro, ma perchè, per quanto mi riguarda, quegli ultimi maledetti minuti hanno cancellato un bellissimo e commovente film a tinte nerazzurre da far vedere, tra vent'anni, ai nipotini e al signor Ceccarini.

Vincere il derby d'Italia in rimonta, in inferiorità numerica dopo soli sedici minuti di gioco, sospinti da uno stadio pazzesco per tifo e amore, sarebbe stata libidine pura. Avrei, paradosso, anche ringraziato il signor Orsato per essersi “addormentato” qualche minuto nel secondo tempo in occasione del fallo di Pjanic su Rafinha. Tornando alla realtà, non c'è controprova su come sarebbe finita la gara in caso di decisione logica, quindi secondo giallo ed espulsione dello juventino quando mancava più di mezz'ora alla fine della battaglia.

Lo dico perché comunque l'Inter, in dieci ha costretto Barzagli all'auoterete del clamoroso sorpasso e ho il sospetto che quella reazione furiosa dei nerazzurri fosse frutto proprio dell'ingiustizia subita. Purtroppo, quando l'impresa si stava materializzando, uno dei padri di quell'impresa ha commesso l'errore della vita. Parlo di Luciano Spalletti che è talmente bravo da aver fatto giocare quasi tutta la partita la squadra come se fosse in superiorità numerica nei confronti della Juventus, trasmettendo alla truppa mentalità, grinta e organizzazione tattica. Ma in quei maledetti minuti finali il mister ha tralasciato un aspetto che in quel momento forse era più importante delle scelte figlie dei corsi a Coverciano.

In quel finale di partita la chimica, la magia, la voglia di vincere contro tutto e tutti stava prevalendo sulla legittima stanchezza derivante dal fatto di aver scalato l'Everest a mani nude. Il capo banda di quel manipolo di “senza paura” che vestivano la maglia nerazzurra si chiamava Maurito Icardi, il Capitano. Lui, con un gol di testa da bomber di razza qual è, aveva dato il là all'impresa, lui guidava il pressing della banda e il boato dello stadio. Lui sarebbe stato l'ideale per andare a difendere nella propria area la gloria conquistata. No, lui è uscito, dopo che Perisic aveva rassicurato sulle sue condizioni. Dopo Rafinha, fuori anche Icardi, dentro Santon e modifiche alle posizioni in campo.

L'Inter tornava così una squadra che doveva ragionare con logica, abbandonando la magia. Ma in dieci, stanca e contro un avversario fortissimo che stava vedendo sfumare uno scudetto in casa della nemica per antonomasia. Quelli che hanno minacciato Davide Santon e famiglia non sono tifosi dell'Inter, ma soltanto dei disadattati che si cibano d'odio. Santon è entrato in campo con lo sguardo di chi aveva intenzione di partecipare all'impresa, lo si è visto da come sballottava i compagni per spiegare le nuove indicazioni decise dalla panchina. Ma il giocatore non era mentalmente sintonizzato con il resto della banda che sino a quel momento aveva compiuto una rimonta pazzesca, lui era stato spettatore di quella cosa che aveva preso corpo minuto dopo minuto in un secondo tempo fantastico. E sfortuna ha voluto che Davide fosse poi protagonista in negativo sia sullo spunto mortifero di Cuadrado, che sul decisivo colpo di testa di Higuain.

È finita con una sconfitta beffarda e immeritata, è finita con le lacrime di Icardi, che sabato scorso ha dimostrato per l'ennesima volta quanto tenga all'Inter e alla sua gente, nonostante qualcuno continui a considerarlo solo un bulletto da social. Una settimana è trascorsa, alla fine del campionato mancano solo tre giornate e i punti di ritardo dalle romane sono ben quattro. La possibilità di giocare nella prossima stagione in Champions League, quindi, non dipende più solo dall'Inter. Se Lazio e Roma vinceranno le prossime due gare, addio sogni di gloria e l'ultima giornata all'Olimpico con la Lazio servirà solo alle due tifoserie per confermare quanto si vogliano bene. Ma con quella biancoceleste sicuramente più sorridente.

Cosa deve fare dunque la Beneamata? Intanto vincere assolutamente domani a Udine e sperare che Atalanta e/o Cagliari fermino Lazio e Roma. Poi vincere la penultima in casa con il Sassuolo e nel caso le romane fossero ancora davanti, sperare che il Crotone di Walter Zenga e/o la Juventus, si la nemica Juventus, fermi la semifinalista di Champions League all'Olimpico. Solo nei casi citati, Lazio-Inter diventerebbe, per noi, un affascinante spareggio per l'Europa che conta. Facciamo un passo alla volta concentrandosi sul Friuli di Udine. Via Massimo Oddo, la squadra bianconera (ancora) reduce da undici sconfitte consecutive e impelagata nella lotta per non retrocedere, è stata affidata al croato Igor Tudor (ancora Juventus) ed è andata a interrompere l'emorragia andando a pareggiare 3-3 in quel di Benevento.

Campo da sempre ostico per l'Inter, quello friulano, domani alle 12.30 sarà sofferenza, da trasformare in gioia con una grande prova. Mancherà lo squalificato D'ambrosio, possibile che Spalletti dia fiducia a Santon e probabilmente sarebbe una mossa azzeccata perché il ragazzo avrà sicuramente voglia di riscatto. C'è ancora tempo e spazio per centrare l'obiettivo. Forse, basterà giocare con lo spirito mostrato contro la Juventus. Anche se sabato scorso, nel finale, la logica dei cambi ha interrotto la magia.

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Sezione: Editoriale / Data: Sab 05 maggio 2018 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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