Ma sì, in fondo che c’è di male a gettare fanghiglia e congetture sull’Inter proprio nella settimana che precede il fantomatico derby d’Italia? Su una squadra che sta disperatamente cercando una propria identità, delle certezze che sembravano riconquistate, dei porti sicuri dove approdare dopo tempeste e mareggiate che durano ormai da un lustro? Perché, in fondo, è più semplice sparare sui milioni di debito nerazzurro che guardare quello altrettanto considerevole di altre società. Di prima se non primissima fascia.

Pistolotti a parte, e chissenefrega tanto ci siamo abituati peggio di Clint Eastwood ne “Al centro del mirino” alle chiacchiere da comari ed al fuoco incrociato, mi viene difficile spiegare a mio nipote, anni tredici, come sia possibile dire un giorno: l’Inter è prossima al fallimento. Il giorno dopo la stessa Inter è sulle tracce di Cavani. Oppure: i conti sono disastrati, tra poco si chiude bottega. Il giorno dopo si scopre un piano A, un piano B, un piano C e via, un piano per ogni lettera dell’alfabeto italico. Piccoli esempi, da parte mia inspiegabili. O, meglio, poco comprensibili. Se qualche illuminato volesse farci capire…

Già, in fondo quella appena trascorsa è stata una settimana inutile dal punto di vista del calcio giocato. Poco importa se allo Stadium un Bayern Monaco versione Narciso, impegnato a specchiarsi nel laghetto tronfio della propria bellezza, abbia fatto il bello ed il cattivo tempo annichilendo i campioni d’Italia in carica per sessanta minuti facendo poi harakiri e regalando un pareggio insperato ai bianconeri torinesi. Ho scritto annichilendo, termine che in italiano tra gli altri significa confondere, togliere volontà e capacità di reazione, piuttosto che affossando; in italiano ha un significato diverso ma forse qualcuno usa i verbi senza saperne il senso, ahimè.

Oppure, giusto per dire qualcosa, si poteva parlare e scrivere dell’Europa League; dove la seconda e la terza forza del campionato italiota sono state defenestrate in maniera inaspettata. Nel caso del Napoli anche con un pizzico di sfortuna, nel caso della Fiorentina consegnando le chiavi del castello al nemico, ovviamente sportivo perché di sport si parla. E, purtroppo, di tanto in tanto anche i diretti interessati se lo dimenticano. O, peggio ancora, adoperano determinati termini per accaparrarsi le simpatie della propria tifoseria. Ma che volete, so’ ragazzi. Comunque no.

Comunque di calcio giocato non si ciacola. Nuoce gravemente alla salute ed ai cervelli di chi ascolta. Il calcio, per alcuni, non è più quella cosa che si gioca in undici contro undici su un prato verde lungo all’incirca 110 metri e largo 65. Ci siamo ridotti ad enumerare una lunga serie di cifre, spesso senza nemmeno sapere di cosa parliamo. L’ho scritto spesso e lo ripeto volentieri; ormai nelle redazioni sportive ti assumono esclusivamente se hai una laurea in economia, preferibilmente ad Harward perché l’università per corrispondenza non vale.

Alla fine della fiera, al termine di questa lunga settimana di economia calcistica, chi è che ci ha capito qualcosa? Io, lo confesso serenamente, no. Cioè, in soldoni, vorrei tanto capire se si fallisce o se la Società F.C. Internazionale continua ad esistere. Io non ho una laurea in economia, non mi interessano i bilanci, mi piace il pallone e gradirei che qualche genio della finanza spiegasse le cose per bene. Attenzione, non il proprio punto di vista. No. La situazione reale, con tanto di numeri. Possibilmente veri. Possibilmente che corrispondano alla realtà. In modo da far chiarezza una volta per tutte. Senza scadere nel solito pressapochismo qualunquistico tipico del nostro Bel Paese. Poiché ho affermato di amare il pallone, parliamone. Di pallone e di come gradirei che la truppa di Roberto Mancini se la giocasse stasera allo Juventus Stadium. Che, lo ricordo a scanso di equivoci, non è terreno proibito per i nostri colori.

Mi rendo conto, leggendo le formazioni, che le probabilità di ripetere l’impresa di qualche anno fa possano essere una pura e semplice chimera. Mi rendo conto, avendo potuto osservare le ultime prestazioni sia nostre che dei bianconeri, dell’abisso attuale tra il nostro modo di stare in campo ed interpretare le partite e quello dei nostri avversari. Mi rendo conto, avendo assistito all’andata di Coppa Italia, che l’approccio mentale alla partita sarà fondamentale. Ecco, dovessimo cominciare come contro la Sampdoria, molli, farraginosi, reattivi come una colonia di bradipi, probabilmente saremmo sotto di un paio di schiaffoni dopo venti di minuti.

Insomma, vorrei tanto vedere grinta e cattiveria sportiva. Sicché ciascuno mantiene le posizioni che gli vengono assegnate, ciascuno è attento per se stesso e per il compagno che ha a fianco, ciascuno è pronto a sacrificarsi per la causa comune a discapito della prestazione personale. Cose che fino a prima di Natale erano parte del bagaglio che ci apparteneva e che oggi sembrano irrimediabilmente smarrite, perse in un fraseggio inutile a centrocampo senza guizzi o invenzioni. Calma piatta. Poi ci sta di perdere, fa parte del gioco. Ma c’è modo e modo di farlo. E se il modo deve essere quello di una inguardabile Inter formato coppetta nazionale no, non va bene.

Io voglio, non vorrei, undici leoni che sputino sangue sul campo, che escano con la maglietta bagnata non per la pioggia ma per il sudore, che alla fine abbiano i lineamenti stravolti per la fatica. Siamo l’Inter. E non dobbiamo temere nessuno. Io ci credo. Mi piace l’ipotesi che ci credano anche loro. Amatela. Sempre. E buona domenica a Voi!

Sezione: Editoriale / Data: Dom 28 febbraio 2016 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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