Chissà da quanto tempo era che due interisti non giocavano insieme nel centrocampo della nazionale italiana. A memoria, forse, da Gigi Di Biagio e Cristiano Zanetti. O magari ancora più in là, con Nicola Berti e Alessandro Bianchi. Poco cambia nelal sostanza: era una vita fa. Due nerazzurri in mezzo al campo, insieme, dall'inizio, è tornato a schierarli uno che del nerazzurro è stato l'allenatore che ha riaperrto la bacheca. Contro la Finlandia, nella partita che ha virtualmente regalato il pass per Euro 2020, Roberto Mancini ha piazzato in mediana fin dal 1' sia Nicolò Barella che Stefano Sensi. Un esperimento riuscito, che ha fornito ulteriori feedback positivi anche ad Antonio Conte, il quale potrebbe replicare ben presto il tandem ai lati di Brozovic. Barella e Sensi hanno disputato certamente una buonissima partita, con qualche momento di appannamento, ma soprattutto con tanta qualità e tanta grinta. Hanno dimostrato di poter essere protagonisti anche a livello internazionale, confermando quanto di buono ha visto in loro chi li ha voluti a Milano. La condizione fisica non è ancora ottimale, ma le premesse sono ottime per entrambi. Considerando il rientro tardivo di Vecino dagli impegni con l'Uruguay, non è da escludere l'impiego contemporaneo dei due per la prima volta anche in nerazzurro nel match con l'Udinese di sabato prossimo.

Eppure, nonostante tutto, si avverte sempre quell'antipatica sensazione di mancanza di fiducia. Quasi di diffidenza. "Bravi, sì, però...". Una spiacevole percezione. Un sospetto che s'insinua: sembra che a chi arriva dall'Inter viene chiesta sempre una conferma ulteriore. Se per altri si sprecano immediatamente titoli e appellativi galattici, per i nazionali interisti c'è spesso un'attenzione maggiore. Uno scrupolo in più. Come se non ci si fidasse. E poi quelle ironie gratuite e quelle prese di posizioni nette che fanno scrivere e dire "Barella strapagato" oppure "Sensi preso in prestito perché non si fidano?". L'Inter sempre a braccetto con l'accezione negativa. E così pure Mancini, se si arrabbia in Armenia, sembra essere tornato "quello dei tempi dell'Inter". Come se poi il Mancio non fosse stato uno fumantino pure sulle panchine di Fiorentina, Lazio, City o Zenit.

Ma va così. Sono anni che va così. Perché prima l'Inter era la squadra "troppo straniera". Quella che, pur facendo il Triplete, non aiutava il movimento italiano in quanto priva di nazionali. Adesso che in nazionale di giocatori ne ha tre (Sensi, Barella e D'Ambrosio) e tanti altri papabili (Ranocchia, Gagliardini, Biraghi, Candreva e Politano – visto il rendimento loro e di chi è stato convocato al posto loro – possono reclamare senza scandalo una chiamata), allora non se ne parla più. Il tema è stato accantonato.

Figli di un azzurro minore.

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Sezione: Editoriale / Data: Mar 10 settembre 2019 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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