Chi si loda, s’imbroda. Non si dovrebbe fare. Ma ciò che apprezzo maggiormente del mio primo libro: “Storie di tifosi dipendenti dai sogni” è che emerge da tutti i protagonisti dei vari racconti la loro passione primordiale per il calcio. Affiorano quei dettagli fanciulleschi che portano qualsiasi bambino a iniziare a praticare questo sport. Altro che soldi, veline e fama. C’è chi piange solo per aver conosciuto Mourinho. Chi ha dormito fuori all’aperto e si è fatto due giorni di coda per acquistare i biglietti della Champions di Madrid. Chi si è imbarcato su un volo dal Cile all’Europa per seguire una partita, sì solo una partita, della sua squadra del cuore. Da piccoli si gioca per piacere. Per il gusto di farlo. Bastano due scarpe o due alberi più o meno vicini per delimitare le porte, e poi via. Non ti importa di nulla. Di sporcarti. Di romperti i jeans nuovi. Di sbucciarti le ginocchia. Vuoi fare gol, difendere il tuo amichetto. Correre per lui, aiutarlo se è in difficoltà.

E badate bene, solo i grandi Campioni, una volta diventati professionisti, hanno il pregio di non disperdere per strada questa grandi doti. Primarie e fondamentali per poter diventare un fuoriclasse. Credo che sia proprio quando si incominci a pensare ad altro che paradossalmente la carriera di un giocatore rischia di essere destinata inevitabilmente al declino. A tal proposito mi viene in mente una frase di Mourinho. Ne riassumo il senso: molti giovani atleti dei nostri tempi guadagnano sin da subito stipendi faraonici. E probabilmente anche inconsciamente credono di essere più forti degli altri. Forse sulla carta sono realmente migliori, ma se poi non lo dimostrano, le belle parole spese per loro sono buttate al vento.

Ecco io in parte credo sia un problema dell’Inter attuale. Spiace sottolinearlo, ma la stragrande maggioranza dei giocatori in rosa della Beneamata non ha vinto nulla. Chi ha alzato al cielo qualche trofeo non lo ha fatto da assoluto protagonista. O si è trattato di sporadiche competizioni. Tuttavia si percepisce proprio come taluni giocatori nerazzurri si sentano arrivati. Per un gruppo che ha come score: zero scudetti, zero coppe Italia, zero successi europei. Ecco, per costruire un top team serve esattamente l’opposto: la fame di vittorie. Di spaccare il mondo. Una mentalità vincente. La voglia di entrare nella storia di un glorioso club come quello meneghino. Che è visto come un punto d’arrivo e non di partenza per trionfi futuri con quella gloriosa maglia.

Intendiamoci bene: il curriculum in campo vale zero. Conta solo il verde. Ma se i risultati non ti sorridono, beh una volta può essere sfortuna, l’altra un errore arbitrale. Ma poi è solo la ricerca continua di scuse. Sono anni, dal 2010 in poi, che moltissimi giocatori arrivati a Milano hanno fallito, dimostrando semplicemente di non essere da Inter. In questa stagione serviva un upgrade ulteriore e ad oggi non c’è stato. Il rendimento è troppo altalenante e i sogni di gloria sembrano essere già infranti ad inizio febbraio. O io chiedo troppo (ma non credo, perché puntare a provare a vincere, che è diverso da vincere, è il minimo quando difendi i colori di un club così blasonato). O il peso della maglia si fa sentire. Fosse semplicemente una condizione fisica precaria basterebbe cambiare preparatore. Ma dato che si tratta (anche) di un problema di testa è ancor più preoccupante. Non si è Campioni solo con i piedi. Per esserlo in toto servono tenuta psichica e attributi. Capacità di risposta alle pressioni. Altrimenti ciao ciao. Capita esattamente quello che sta succedendo oggi al Suning Training Centre.

Per questo non trovo corretto individuare solo in Spalletti il capro espiatorio della crisi Inter. Sicuramente il mister di Certaldo avrà sbagliato. Se è vero che il tecnico toscano ha grandissimo merito nell’approdo in Champions dello scorso anno, adesso mi sembra in difficoltà. Alcune sue scelte mi sono parse confuse e poco coraggiose. Deve essere giudicato per il non gioco da mesi della sua squadra. Parliamo di un team che ultimamente non segna neanche con le mani. Ma pensare che sia solo colpa sua sarebbe errato. I giocatori devono dare di più. Se non per il loro tecnico, almeno per amor proprio. Figuracce come Sassuolo, Torino, Lazio e Bologna segnano. Fanno disinnamorare e inviperire il pubblico amico, che si sente tradito. E giustamente anche il buon Luciano sarà risentito delle prestazioni dei suoi.

Che dire poi di Ausilio? Da quando è stato mandato via Marco Branca non si è vinto nulla. Certo, lavorare in condizioni di settlement agreement non sarebbe stato semplice per nessuno. E poi per correttezza si deve anche dire che lui non avrebbe mai speso più di 70 milioni per Gabigol e Joao Mario, ma gli sono stati imposti. Ma dopo sessioni e sessioni di mercato i nerazzurri non hanno ancora un vero e proprio zoccolo duro su cui affidarsi senza se e senza ma. E anche qui per me vale il ragionamento sui giocatori. La Beneamata deve essere composta da fuoriclasse in ogni ambito. Pure i magazzinieri devono essere migliori di quelli delle altre squdre. A malincuore, nonostante l’ottima stampa di cui gode il dirigente della Beneamata, mi permetto di pretendere molto dì più pure da lui. L’Inter è un privilegio da meritarsi stagione dopo stagione. Ho sempre pensato che un grande Direttore Sportivo sia quello che vende a tanti denari giocatori non troppo meritevoli. Ecco, l’Inter non riesce mai e poi mai a liberarsi dei propri esuberi. E questo è un problema. Se poi regali Zaniolo alla Roma e investi non in modo così ottimale i tanti soldi che Suning che ti concede, beh si deve riflettere.

E a proposito della proprietà. A loro, per esborso economico cosa vuoi ribattere? Nulla. Si sono fidati di specifici uomini designati e hanno speso milioni su milioni. Ma in un momento così delicato per la squadra non si prende un volo per l’America per festeggiare il Capodanno cinese. Capisco la giovane età del signor Steven. Anche io quando non avevo superato la soglia dei 30 anni, pur lavorando parecchio, mi concedevo più di uno svago. Ma se sei il dirigente più importante di una società in difficoltà come l’Inter attuale, resti a Milano. Fai un cazziatone a tutti dopo la sconfitta contro il Bologna e lavori ancor più sodo per arrivare a quel: “Schiacceremo i nostri avversari” proferito alla festa aziendale. 

Alla fine in Italia competi con il Milan, che dopo solo una sessione di mercato ha cacciato subito Mirabelli. Con la Lazio che ha un budget molto più limitato di quello dei nerazzurri. Con la Roma che venduto mezza squadra in estate e con l’Atalanta che è una grande provinciale ma di certo non una big. Va bene il fair play finanziario, o il settlement agreement, ma alla lunga diventa un disco rotto e un mettere sotto la sabbia responsabilità di errori dei quali si vuole fare finta di nulla. Ma esistono. Eccome se esistono. Poi attenzione: è come quando prendi una botta in testa. Il dolore non può durare per sempre. E quando ti riprendi, torni sulla retta via. Non escludo che possa succedere anche all’Inter. A dir la verità io credo che i nerazzurri abbiano tutte le carte in regole per centrale la Champions piuttosto facilmente e competere davvero in Europa. Si possono sbloccare di nuovo. Ma tutti devono darsi una mossa. Senza cercare per forza i colpevoli degli ultimi disastrosi risulti. Servono soluzioni, non lamentale. Serve unità, non puntare il dito gli uni contro gli altri.

Per questo credo sia giusto che tutti oggi si prendano le proprie responsabilità. Che tutti si sentano sulla graticola. Che tutti possano perdere quel bellissimo sogno, o quella splendida opportunità, chiamata Inter. Tutti, nessuno escluso. Basta al culo incollato, metaforicamente e non, su quella poltrona di sicuri e lauti guadagni che si chiama Inter. Il posto ce lo si deve guadagnare annata dopo annata. Anzi, giorno dopo giorno.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 08 febbraio 2019 alle 00:00
Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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