Tante gioie, tante lacrime, quella notte irreale. Tante volte maggio è stato memorabile per chi scrive e per chiunque segua l’Inter da più di sette anni. E grazie, potreste dire, a maggio finisce la stagione. Devi arrivarci però, a maggio. E chi se lo ricordava più che effetto fa un maggio in cui sia in gioco qualcosa di grosso, anche se stavolta non era una coppa, non aveva le grandi orecchie, l’età dell’oro è ormai lontana e nei fiumi non scorrono più latte e miele insieme ai soldi del prodigo Moratti. Che epilogo memorabile, però, che notte anche stavolta. È vero, piangere di gioia per il ritorno in Champions è quasi degno di compatimento, esultarne smodatamente una bestemmia contro la storia del club. Ma che notte quella di Roma, che bello esser tornati tra gli avversari dei bei tempi che furono.
GLI ULTIMI GIORNI - Poi, c’è da dire, maggio si è concluso in modo strano. Da una settimana, infatti, alla festa si è sostituita l’ansia, la perplessità, la depressione. La miccia l’ha accesa Spalletti con una conferenza forte, pungente verso la stampa e verso la società, onesta nell’ammettere in modo fin troppo rassegnato gli impedimenti che, di qui al 30 giugno, frenano l’Inter anche nel far definitivamente sue due pedine rivelatesi fondamentali per il buon esito della stagione ormai finita. Poi, un soffio da Torino, una roba troppo insensata per ragioni anagrafiche e di bilancio, nessuna paura. Ma il soffio, se sai soffiarci su, diventa vento, vento forte, e addio quiete. Un abile gioco di rimbalzi, come una fastidiosa catena Whatsapp cui ognuno aggiunge ciò che più gli conviene: la volontà della Juve di cedere Higuain fa sì che il suo nome, in quell’ambiente, sia sventagliato ed esposto ancor più in alto della bandiera con tot scudetti; la furbizia di Wanda cavalca l’onda, giocando su un filo sottilissimo con connazionali, amici, parenti di amici e parenti di colleghi del marito di lei.
IERI - L’Inter, dal canto suo, ha sorpreso per la tiepidezza verso il suo centravanti, tiepidezza che si è rotta soltanto di fronte alle frasi di netta chiusura alla partenza del capitano che oggi ha pronunciato chi capitano è per eccellenza. Son parole grondanti di nerazzurro, quelle del vicepresident Zanetti, ma non possono celare il mutato atteggiamento da parte interista: se braccio di ferro deve essere, l’Inter sembra insomma voler far forza a suo tempo, quando riterrà di avere maggior potere contrattuale perché magari la clausola per quest’anno si sarà già estinta, il tutto anche a costo di rischiare che in quella prima quindicina di luglio qualcuno dall’estero approfitti dello stallo. Che l’Inter stia diventando una società cazzuta, che stia mettendo i suoi interessi, tornati finalmente nobili, e la propria fermezza al di sopra del suo singolo più illustre?
IERI L'ALTRO O ANCOR PIU' IN LA' - Chissà, e onestamente non sarebbe una brutta novità. Sia chiaro, Icardi non si discute o, meglio, non si dovrebbe discutere: è diventato stancante, negli ultimi anni, lottare contro i mulini a vento di chi gli addossava la qualunque, ed ora si pone invece come l’ultimo samurai a guardia del capitano. È che l’Inter, come il calcio tutto, è diventata oggetto di un orribile fraintendimento. Nessuno le tocchi la gloria, la storia, il prestigio che solo altre due società in Italia possono contare, e pochissimi altri nel mondo. La storia dell’Inter, però, non inizia certo col 2006: è storia sofferente, fatta di vette di inarrivabile bellezza e pause di un decennio; è una storia familiare, coi Moratti, e socio-economica, con gli altri imprenditori italiani che le si son succeduti alla guida con alterne fortune, prima del tuffo inedito nel mondo orientale. Non’è una storia di condanna al successo, di “vincere è l’unica cosa che conta”, ché non è vero, e non ha diritto a gioire solo chi vince. È semmai la storia di una società tenuta a lottare, a provarci, a banchettare al tavolo dei grandi senza calpestare tutto e tutti per due scudetti in più. È la storia di chi deve arrivare fino in fondo, fino a maggio.
ERA DE MAGGIO - E allora ecco che l’isteria può essere anche messa da parte, e si può lavorare per una nuova fase vincente al più presto o, ancora meglio, perché il futuro non sia proprio più fatto di fasi. Si può gioire, insomma, nonostante il Settlement Agreement, Icardi e Wanda, l’ambiente bianconero che prova a lavorare l’Inter ai fianchi. L’Inter è arrivata a maggio. Era de maggio, e piangevo quando ho visto quello che doveva essere il mio primo scudetto liquefarsi sui piedi di Poborsky. Era de maggio, guardavo gli occhi di Milito e non ci credevo. Era de maggio, però, è soprattutto una stupenda canzone di addio e, insieme, di rinnovato amore. Ora, maggio è finito. Saluto questa testata per altre avventure professionali, saluto un gruppo che mi ha voluto bene e cui ne vorrò un po’ di più, non fosse altro perché leggerò ogni mattina cosa stiano scrivendo. Saluto l’Inter, soprattutto, e la saluto fisicamente, come si fa nell’ultima notte d’amore prima di partire per un lungo viaggio. La lascio bene, tutto sommato, dopo un bel mese che dovrebbe ripetersi all’infinito nel suo esito felice. Ma poi sarebbe ancora l'Inter? Poi saremmo ancora noi? Intanto, non posso augurarle che bene, fin dal prossimo maggio. Torna maggio e torna ammore, fa' de me chello che vuò.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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