Mentre in Inghilterra la tenzone agonistica della Premier League è iniziata in questo weekend, mentre la Francia intera impazzisce per l’arrivo al Paris Saint-Germain di Neymar, acquisto al quale con ogni probabilità il club di Nasser Al-Khelaifi vuole aggiungere quello di Kylian Mbappé per complessivi 400 milioni, con buona pace di tifosi economisti dell’ultima ora e seguaci delle teorie salutiste del Fair Play Finanziario che però, quando hai soldi da spendere e sai inquadrare bene eventuali falle, vanno beatamente a farsi benedire, in Italia sta per scadere il tempo delle amichevoli. Amichevoli incrociate con le squadre della Liga spagnola, che scatterà dai blocchi in contemporanea alla Serie A, le cui rappresentanti si sono difese decisamente bene.
Si è chiuso proprio con due test match contro formazioni iberiche il precampionato dell’Inter, che dopo la bella vittoria contro il Villarreal, convincente per il volume di gioco espresso prima ancora che nel risultato ha sostanzialmente confermato le buone sensazioni, seppur con qualcosa ancora da sistemare, contro un Real Betis bravo nel giropalla ma raramente davvero offensivo dalle parti di Samir Handanovic. Nella serata contraddistinta da un campaccio che ha causato parecchi errori, in cui Dalbert Henrique si è presentato a sorpresa davanti al suo nuovo pubblico (non sarà sembrato vero nemmeno al cielo sopra Lecce dal quale dopo settimane di caldo si è scatenata una burrasca incredibile), scelta azzardata visto che comunque il brasiliano allenamenti tattici con la squadra non ne ha praticamente svolti e l'imbarazzo per una prima uscita raffazzonata così in fretta e furia non è rimasto latente (ma l'aver voluto giocare subito va comunque interpretato come un segnale di grande autostima e attributi), e gli andalusi si distinguono per una certa foga extra-agonistica che li porta spesso a buttare in caciara anche le situazioni più banali, l'Inter incamera un altro successo grazie al rigore segnato da Mauro Icardi, successo che poteva anche essere più rotondo ma dove anche gli avversari hanno avuto le loro brave opportunità per segnare.
Si è chiusa pertanto così, davanti ad un pubblico comunque festante, la sessione di gare estive della squadra nerazzurra, tutto sommato con una decisa e confortante inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni dove, per questo o per quell’altro motivo, l’Inter non riusciva quasi mai a cavare un ragno dal buco, in diversi casi rimediando sonore bambole. Questa volta, invece, anche contro avversari di alto calibro come quelli affrontati nella tournée asiatica, e al di là dell’approccio avuto da queste ultime agli incontri, i nerazzurri hanno fornito nel complesso indicazioni importanti, riuscendo a far passare almeno temporaneamente in secondo piano le potenziali lacune della rosa attuale. Lavoro per completare il quale il tempo sta iniziando a stringere (il mercato ancora in corso a campionato iniziato è qualcosa di deleterio, inutile girarci intorno) e per il quale Walter Sabatini e soci si stanno comunque muovendo pur tra una difficoltà vera, una presunta e un’altra possibile.
Luciano Spalletti, intanto, incamera le indicazioni e continua a guardare dritto per la sua strada, che fra una settimana esatta porterà al primo impegno ufficiale contro la Fiorentina. Che se non bastassero i tanti motivi che rendono questa sfida particolarmente affascinante, leggasi freschi ex tra campo (Borja Valero, Matias Vecino) e panchina (Stefano Pioli), ecco aggiungersi il fatto di affrontare una squadra che è passata in breve tempo da un contesto di totale grigiore e disapprovazione per via delle tante partenze di rilievo, quelle dei nuovi interisti ma soprattutto quella di Federico Bernardeschi, ad un’improvvisa rialzata di cresta visti i recenti, interessanti arrivi di gente come Marco Benassi, Jordan Veretout e Valentin Eysseric, ai quali potrebbe aggiungersi, pare, anche lo spagnolo Jesé. Questo per dire come la lunghezza della campagna acquisti estiva renda fuori luogo isterismi e cassandrate preventive da parte della tifoseria, ad ogni latitudine.
Purtroppo, però, le notizie principali, e non certo belle, per il tecnico di Certaldo, non arrivano né dal campo né dal mercato, ma dal fronte… disciplinare. Siccome è sciagurata consuetudine per l’Inter il non riuscire a vivere per un lungo periodo di tempo senza complicarsi l’esistenza, ecco che un’estate trascorsa in modo relativamente tranquillo viene sconvolto dalla notizia dell’ammutinamento di Geoffrey Kondogbia che ha deciso di non presentarsi all’allenamento di venerdì mattina nel risibile tentativo di mandare un segnale forte di disagio e di voglia di lasciare la squadra. Ultimo anello di una impressionante catena di eventi che hanno visto protagonista il giocatore prelevato due stagioni fa a peso d’oro dal Monaco al termine di un testa a testa col Milan. Due anni tra poche luci e molte ombre, tra qualche spunto interessante ma anche tante giocate imbarazzanti, e soprattutto contraddistinte da una manifesta fragilità sul piano caratteriale che ne ha influenzato pesantemente rendimento e visione agli occhi di tifosi e addetti ai lavori. L’autorete tragicomica firmata contro il Chelsea è stata presumibilmente la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Pur con tutte le difficoltà e le stranezze legate al suo repentino arrivo in Italia, dove bei ricordi sicuramente non ha lasciato, Frank de Boer (che, per inciso, ha bagnato il suo debutto in Premier League in maniera peggiore di quello in Serie A, con un ko interno per 0-3 contro il neopromosso Huddersfield) aveva certamente captato qualcosa in merito all’atteggiamento del francese: quanto avvenne in occasione della gara col Bologna fu una rappresentazione scenica plateale e rumorosa di qualcosa che sotto la cenere evidentemente già covava. Ma in quel caso a pagare fu il tecnico, nella sana tradizione italiana. Spalletti, invece, a questo giro è andato oltre, mettendo pubblicamente alla berlina il puerile comportamento dell’ex Monaco (e di chi lo consiglia) evidenziandone le differenze con altri giocatori che sono andati o sono in procinto di lasciare l’Inter, e sottolineando come questo suo atteggiamento potrebbe anche causargli un pesante pentimento. Perché è vero, quanto fatto da Kondogbia stride in senso assoluto e stride se confrontato con la professionalità di chi si è presentato all’allenamento mattutino pur sapendo che comunque il suo destino lontano da Milano stava per compiersi o di chi ha lasciato l’Inter riservandole solo parole di grande affetto.
Le parole di Luciano Spalletti sono comunque un segnale, un importante segnale di rottura: in casa Inter è probabilmente in corso un processo di evoluzione in tutti i sensi. È finita l’epoca del presidente mecenate, di chi per troppo legittimo amore preferisce blindare i giocatori che più hanno dato alla causa nerazzurra (o più rispondono al suo ideale di bel gioco) elargendo loro rinnovi contrattuali anche pesanti, o del dover ritrovarsi ad accettare offerte per così dire ‘patetiche’ per giocatori comunque importanti. Adesso c’è una nuova proprietà e soprattutto un nuovo modo di agire. Nessuno viene tenuto a forza, ma chi vuole andare deve presentare offerte che rispecchino le condizioni ritenute necessarie e sufficienti dalla dirigenza nerazzurra. Spalletti indubbiamente si sente tradito da chi non ha voluto capire che avrebbe potuto avere una chance e non l’ha sfruttata, e al tempo stesso non ha capito che si indossa l’Inter prima del proprio nome. E quindi, anche in base ai dettami di Steven Zhang dei giorni scorsi, si è autoaccompagnato all’uscita senza troppi convenevoli.
Un’evoluzione nella mentalità che si rispecchia anche nell’evoluzione tattica: via progressivamente i muscoli tanto cari a Roberto Mancini, spazio all’intelligenza tattica, a chi sa giocare il pallone, a chi si esprime al meglio manovrando la sfera. Il tutto condito da un nuovo concetto di educazione, quella sintetizzata dal “non si fa così” dettata da Spalletti che può sottintendere molte cose sui suoi pensieri, peraltro bene esplicitati qualche ora dopo quando ha ironizzato sulle sue illogiche volontà. Lo scettico sempiterno dice che non durerà, il filosofo si chiede se tutto questo non sia troppo bello per essere vero; un po’ di sano realismo suggerisce che i presupposti perché questo nuovo castello possa reggere alle intemperie. Anche perché, se qualcosa dovesse andare storto anche questa volta, bisognerà fare i conti con un tecnico che non è tipo che le manda di certo a dire e che il concetto di ‘educazione’ potrebbe anche metterlo molto da parte.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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