Diciamoci la verità, fino a pochi minuti fa tutti attendevamo lo scoccare della mezzanotte come un evento simbolico che ci liberasse da un peso insopportabile, associato al 2020. Un anno che rimarrà nella storia del genere umano e verrà ricordato come quello della pandemia che ha ucciso milioni di persone nel mondo e che ha privato della normalità, anche quella più scontata, gran parte della popolazione del globo terracqueo. Ovvio che da oggi non sarà tutto in archivio, serviranno ancora mesi per tornare a una parvenza di serenità grazie alla diffusione di un vaccino prodotto a tempo di record. Dove prima all'orizzonte non c'era che buio, ora si intravede una luce.

Anche il pallone, inevitabilmente, si è dovuto fermare di fronte all'evidenza. Così, all'improvviso, nonostante goffi tentativi dei vertici del calcio italiano di portare avanti un luna park con le luci ormai spente, con l'atteggiamento di chi è totalmente distaccato dalla realtà. Roba da darkest clown. Non che i vertici internazionali siano spiccati per empatia, visto che hanno imposto che la stagione proseguisse (nel rispetto delle regole sanitarie, sia chiaro) a costo di protrarla oltre i limiti del buon senso, in noime della salvezza di tutto il sistema. Ma tant'è, l'obiettivo alla fine è stato raggiunto e i trofei sono stati assegnati negli stadi tristemente vuoti in cui, prestando orecchio con attenzione, si poteva sentire il riecheggiare del dolore tutto intorno a essi. The show must go on.

È stato un anno intenso per l'Inter, ricco di sfaccettature. La squadra ha raggiunto i migliori risultati da 9 anni a questa parte, un secondo posto con più punti dell'armata 2010, una finale di Europa League traboccante di rimpianti e soprattutto la sensazione di avere intrapreso il percorso giusto, seppur in un contesto in cui il processo di crescita aziendale si è interrotto e si è creata la necessità di fare le nozze con i fichi secchi. Discorso che comunque va ampliato un po' a tutti i club, costretti a fare i conti prima di lanciarsi in operazioni finanziarie senza controllo.

È stato l'anno di Antonio Conte sulla panchina nerazzurra, esperienza sì iniziata qualche mese prima ma con l'apice in questo 2020 vissuto intensamente, tra polemiche gratuite, dichiarazioni senza filtro, conferenze insofferenti, incomplete rivoluzioni tattiche ma anche la consapevolezza di avere alla guida dell'Inter il tecnico più adatto a questo momento storico. Sempre che il furore e la voglia ossessiva di vittoria non lascino il posto in concreto, e non solo a parole, a concetti troppo filosofici che mal gli si addicono.

È stato l'anno di Romelu Lukaku, quello del first touch, del "non segna contro le big", del "vale davvero 83 milioni?" e tante altre frecciate estemporanee. Oggi Big Rom è simbolo del nuovo corso, non solo per il numero di gol con la maglia nerazzurra, quanto piuttosto per la leadership dimostrata in un ambiente non facile, colmo di pressioni e aspettative. Lukaku oggi è il leader spirituale dell'Inter e quando c'è un problema i compagni vanno da lui perché sanno che troveranno una porta spalancata. E non sono un autogol in finale o una respinta inopportuna che possono cambiare questa consapevolezza.

È stato l'anno di Nicolò Barella, che incarna l'interismo come nessun altro. Centrocampista totale, elettrizzante, con qualche difetto da limare ed enormi margini di crescita. Irrinunciabile nel centrocampo nerazzurro così come in quello azzurro. E quei 45 milioni impegnati nell'estate 2019 oggi hanno l'odore del grande affare. Ad maiora, Nico.

È stato l'anno di Alessandro Bastoni, al quale Conte ha affidato la responsabilità di occuparsi del centrosinistra del tridente difensivo. Da giovane di belle speranze, destinato come molti coetanei a fare esperienza (o panchina) altrove, si è ritrovato titolare inamovibile, collezionista di like da tifosi e addetti ai lavori e candidato a una maglia azzurra per gli Europei. Tutto stra-meritato sul campo.

È stato l'anno della finale di Europa League, nell'edizione più inconsueta di sempre. Retrocessa nella competizione, impegnata ad agosto, la squadra ha restituito dignità europea alla storia nerazzurra raggiungendo, in un percorso entusiasmante di gare senza replica, la finalissima di Colonia. Si è fatto 30, non si è fatto 31: Siviglia più pronto mentalmente e fortunato in un match combattuto che l'Inter attendeva da 10 anni e che avrebbe meritato miglior sorte. Si può imparare dalle sconfitte, anche se bruciano.

È stato l'anno di Villa Bellini, il Concilio di Nicea versione Inter in cui si è scelto di non rivoluzionare, in barba a un ambiente in cui il ribaltone è sempre stata l'unica soluzione presa in considerazione. Sarà stata saggezza cinese, saranno state motivazioni meramente finanziarie, fatto sta che Steven Zhang ha scelto di andare controcorrente e disfare, idealmente, le valigie di Conte restituendogli la responsabilità di raggiungere l'obiettivo per cui è stato chiamato, non senza remore, a guidare l'Inter. Se sarà stata o meno la mossa giusta, lo diranno i consuntivi di questo 2021.

È stato l'anno dell'ultimo posto nel girone di Champions League, impensabile persino per i più strenui pessimisti. Sorteggio come al solito sgarbato, ma gruppo tutt'altro che insuperabile. Permane la fastidiosa sensazione, diventata consapevolezza, di aver dilapidato un ottavo di finale ampiamente a portata di mano. Più che nelle precedenti due edizioni.

È stato l'anno dell'austerity per Suning, con sessioni di mercato autofinanziate avvolte da una narrativa mediatica distorta e tradotte come un passo indietro (e a gennaio ne sentiremo...). Come se la crisi economica non riguardasse la proprietà da cui si pretende che ignori la realtà e spenda e spanda ininterrottamente per perseguire sbandierati sogni di gloria. Tana per tutti, nessun club sta investendo come in passato e il dito è meglio puntarlo altrove (memorandum anche per molti tifosi).

Non è stato l'anno di Christian Eriksen, sbarcato alla Scala nerazzurra in pompa magna, pronto a dirigere la nuova orchestra. Aspettative rimaste deluse dopo 12 mesi complicati per lui sul piano personale (con salvataggio last minute della secondogenita, auguri), tattico ed emotivo. "Non è funzionale", con questa motivazione arida e quanto più lontana dal suo talento gli è stato dato il benservito, in attesa di conoscere la prossima destinazione e di lasciarsi alle spalle l'enorme rammarico di occasione cestinata. Soprattutto dall'Inter, che da anni attendeva un giocatore di questo livello che ne nobilitasse il centrocampo. Amleto andrà così unirsi alla folta schiera dei 'se' che hanno caratterizzato la storia recente nerazzurra e che verranno sempre ricordati con un velo di tristezza. Ma se una storia finisce, non è mai solo per colpa di una metà.

Infine un augurio per questo 2021 appena iniziato. No, non riguarda i risultati dell'Inter. L'auspicio è che la gente possa tornare presto allo stadio, perché significherà la fine, o quasi, dell'incubo. Se poi potrà assistere a tante vittorie della Beneamata, ancora meglio. Ma questo è un aspetto secondario.

Benvenuto 2021, e niente scherzi.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 01 gennaio 2021 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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