Qualunque vero interista (e il sottoscritto, modestamente, lo nacque) ha aspettato la fine di Sheriff-Real Madrid prima di stappare una bottiglia di quello buono. Non perché ci fossero oggettivamente le reali condizioni perché i simpatici moldavi potessero bissare l'impresa con la Casa Blanca e tenere viva la matematica rincorsa alla qualificazione. Piuttosto per le recenti, scottanti delusioni che i tifosi hanno patito in ambito europeo, quando tutto sembrava a portata di mano e puff, si è dissolto nel vuoto. Rispetto alle edizioni precedenti, però, stavolta l'Inter ha fatto la sua parte, superando 2-0 lo Shakhtar Donetsk al Meazza davanti al pubblico delle grandi occasioni entro i limiti del consentito. Forse, psicologicamente, l'avere a disposizione due match point ha dato maggiore serenità alla squadra. Oppure, semplicemente, la stessa ha fatto finalmente quello step mentale che le ha permesso, rientrando dopo un punto in due giornate, di inanellare tre successi consecutivi e mettere in ghiaccio la tanto attesa qualificazione agli ottavi di finale, bramata più dalla proprietà che dai giocatori stessi.
Certo, è servita la successiva agevole vittoria del Real Madrid per certificare il traguardo con tanto di sigillo matematico, ma già dalla prestazione contro gli ucraini, il cui fortino ha resistito, dalla rete di Lukaku all'83' all'Esprit Arena al destro di Dzeko al 61' poche ore fa, 338 minuti più recupero. Tra palle gol divorate, miracoli a turno dei vari Trubin e Pyatov, salvataggi sulla linea dei propri compagni e, novità dell'ultima sfida, reti annullate, lo 0-0 è stato duro a morire. Un gol, il primo del bosniaco, atteso a lungo, come questa qualificazione che in casa nerazzurra mancava dalla gestione di Claudio Ranieri (10 anni fa, di questi tempi), preludio alla beffa del carneade Brandao in Inter-Marsiglia nel marzo 2012. Per tre edizioni, una con Spalletti e due con Conte, l'autolesionismo nerazzurro ha impedito alla squadra di accedere alla fase a eliminazione del torneo. Un po' per sfortuna, molto per immaturità, l'obiettivo ha assunto i contorni di un miraggio. Ma stavolta, con Inzaghi e forte dello Scudetto sul petto, l'esame europeo è stato superato con personalità, addirittura con il lusso di andare a Madrid a giocarsi il primo posto altrimentipazienzavabeneuguale.
Bravi tutti, perché nonostante una condizione fisica non esaltante (a parte Perisic, perché Perisic si ricarica in una notte come le auto elettriche) e un avversario che sin dall'inizio ha giocato per speculare sullo 0-0, anche con i classici trucchetti finalizzati a perdere tempo (atteggiamento un po' deludente da parte di una squadra che pratica il Dezerbismo), con pazienza e concentrazione alla fine la scatola è stata aperta. Due volte, per giunta. E potevano essere molte di più con un conversion rate migliore, ma ormai è un limite atavico. Bene che sia stato Dzeko a firmare il successo, lui che nel primo tempo tra errori tecnici e un linguaggio del corpo poco incoraggiante aveva attratto qualche mugugno. Il Cigno di Sarajevo ha aperto le ali ed è planato addosso allo Shakhtar e non gli ha lasciato scampo, facendo valere tutta la sua esperienza mista a qualità proprio nel momento in cui se ne sentiva più bisogno.
Adesso, a qualificazione ottenuta, finalmente un po' di meritato relax per i ragazzi. Ah no, sabato bisogna andare in Laguna dove c'è chi recentemente è già affondato. Avversario ostico, da prendere con le molle e soprattutto non sottovalutare. Magari da affrontare con un pizzico di ragionato turn over. Nelle prossime ore, l'input è ricaricare le pile perché le tossine possono essere un fastidioso avversario e le energie vanno e vengono. Non per Perisic, ovviamente.
Certo, è servita la successiva agevole vittoria del Real Madrid per certificare il traguardo con tanto di sigillo matematico, ma già dalla prestazione contro gli ucraini, il cui fortino ha resistito, dalla rete di Lukaku all'83' all'Esprit Arena al destro di Dzeko al 61' poche ore fa, 338 minuti più recupero. Tra palle gol divorate, miracoli a turno dei vari Trubin e Pyatov, salvataggi sulla linea dei propri compagni e, novità dell'ultima sfida, reti annullate, lo 0-0 è stato duro a morire. Un gol, il primo del bosniaco, atteso a lungo, come questa qualificazione che in casa nerazzurra mancava dalla gestione di Claudio Ranieri (10 anni fa, di questi tempi), preludio alla beffa del carneade Brandao in Inter-Marsiglia nel marzo 2012. Per tre edizioni, una con Spalletti e due con Conte, l'autolesionismo nerazzurro ha impedito alla squadra di accedere alla fase a eliminazione del torneo. Un po' per sfortuna, molto per immaturità, l'obiettivo ha assunto i contorni di un miraggio. Ma stavolta, con Inzaghi e forte dello Scudetto sul petto, l'esame europeo è stato superato con personalità, addirittura con il lusso di andare a Madrid a giocarsi il primo posto altrimentipazienzavabeneuguale.
Bravi tutti, perché nonostante una condizione fisica non esaltante (a parte Perisic, perché Perisic si ricarica in una notte come le auto elettriche) e un avversario che sin dall'inizio ha giocato per speculare sullo 0-0, anche con i classici trucchetti finalizzati a perdere tempo (atteggiamento un po' deludente da parte di una squadra che pratica il Dezerbismo), con pazienza e concentrazione alla fine la scatola è stata aperta. Due volte, per giunta. E potevano essere molte di più con un conversion rate migliore, ma ormai è un limite atavico. Bene che sia stato Dzeko a firmare il successo, lui che nel primo tempo tra errori tecnici e un linguaggio del corpo poco incoraggiante aveva attratto qualche mugugno. Il Cigno di Sarajevo ha aperto le ali ed è planato addosso allo Shakhtar e non gli ha lasciato scampo, facendo valere tutta la sua esperienza mista a qualità proprio nel momento in cui se ne sentiva più bisogno.
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