Quando da umile studente liceale incontravo il termine ‘epico’ e il suo sostantivo derivato dei brividi mi correvano lungo la schiena. Il dover studiare, talvolta a memoria, versi dei poemi omerici e virgiliani era un’impresa ardua e quando sento tutt’oggi questo termine mi sobbalzano alla mente i vari Achille, Enea, Menelao ed Agamennone. Di certo non dei compagni di viaggio ideali per il sottoscritto. Perché questa divagazione classico-letteraria, vi starete chiedendo: il motivo è presto detto. La parola ‘epica’ sta a raffigurare qualcosa dai toni leggendari, ovvero di cui non si sa la reale esistenza nella storia e sentirla associata al pragmatismo dell’Inter mi sembra addirittura sconveniente.

Certamente il tutto nasce da quell’hashtag irriverente e canzonatorio utilizzato da Brozovic (sontuoso ieri sera contro il Cagliari), ma abusarne per definire questa squadra, in sede di commento, non fa che minimizzare i meriti della banda del Mancio. Questa Inter strenua e solida è quanto di più concreto e reale ci possa essere in questo momento nel calcio europeo. Per tentare un paragone nell’altro senso, il Barcellona è epico: quella è una squadra le cui imprese, con il passare del tempo, non faranno che arricchirsi di dettagli sempre più tendenti alla mitologia classica. Questa Inter no. Non perché non stia facendo bene, anzi sta facendo qualcosa di inimmaginabile se si confronta con il medesimo periodo della scorsa stagione, ma perché bada molto più all'empirico, alla concretezza che ai frizzi e ai lazzi che tanto appassionano gli osservatori di questo periodo storico.

D’altronde, se si valuta la storia recente dei nerazzurri, non si è mai visto il calcio ‘epico’ che tutti invocano. Si è sempre vista una squadra di guerrieri con i piedi ben fissati sul terreno che vincevano grazie alla caparbietà e alla forza mentale del gruppo. Eccezion fatta per l’azione del gol di Thiago Motta nell’arcinoto derby dell’agosto 2009, difficilmente si ricorda un’Inter che fraseggiava al limite dell’area facendo sentire gli avversari come una pallina di un flipper impazzito.

La realtà che la filosofia di questo club è devota al pragmatismo e alla concentrazione e averla importata è stata proprio Roberto Mancini. Si pensi alla gara di Coppa contro il Cagliari: quanti altri allenatori di Serie A hanno portato praticamente tutta la rosa titolare a disposizione per un match di ottavi di finale? Nessuno. Quanti hanno la possibilità di ottenere prestazioni di alto livello anche da ipotetiche seconde linee? Nessuno, se si confronta ai top club della Serie A. E i risultati si sono visti con la qualificazione del turno in scioltezza.

Quest’anno i nerazzurri hanno ritrovato quella filosofia di gioco che dal 2010 è andata via via sparendo e questa può essere un’arma in più contro le avversarie dirette per il titolo. Una riflessione sorge dopo questo lungo discorso: la Juventus migliore vista dall’inizio della stagione, quanti punti ha recuperato in 6 gare a un’Inter tacciata di non essere convincente? Tre. Ciò vuol dire che appena i nerazzurri inizieranno a essere anche convincenti con regolarità la squadra di Allegri dovrà fare ancora di più. In proiezione le servirebbero 12 gare per arrivare a pari punti con l’Inter e, guarda caso, fra 11 turni di campionato ci sarà lo scontro diretto. Ma questi pseudo-modelli matematici a poco servono in questo momento e non sono affidabili, come le narrazioni epiche.

L’Inter non ha bisogno di voli pindarici né di qualcuno che invochi le Muse per descrivere al meglio le gesta di questa squadra. Non ce n’è alcun motivo. Non chiamatela EpicInter, lasciate che siano gli altri a vestirsi da Ercole nel tentativo di raggiungerla. Chiamatela semplicemente Inter, perché tutti gli aggettivi che la descrivono al meglio sono contenuti in quelle cinque lettere e nella filosofia che porta con sé.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 16 dicembre 2015 alle 00:00
Autore: Gianluca Scudieri / Twitter: @JeNjiScu
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