E fu così che in una tiepida serata torinese anche l’unica vera impresa di questo 2016 dell’Inter venne cancellata nella maniera più brusca possibile: se la prova di Napoli, escludendo le polemiche successive, aveva comunque regalato un bagliore in un inizio d’anno piuttosto grigio, nello spazio di sette giorni l’Inter è ripiombata pesantemente nelle tenebre. Prima col pareggio interno, meritato al di là come è maturato, ottenuto contro il Carpi, poi con il capitombolo doloroso di ieri sera. In una partita capitata di certo nel momento storicamente peggiore della stagione: molto più in palla la Juventus di Massimiliano Allegri rispetto alla formazione nerazzurra, imballata e svuotata anche delle minime idee che l’avevano tenuta a galla fino a fine 2015. Il risultato, ma anche i meccanismi messi in campo dalle due squadre, rendono pienamente le misure della differenza che corre tra le due squadre, con buona pace di chi parlava di gap ridotto anche dopo il match di campionato dove andarono in campo due versioni in progress di entrambe le squadre.

Già, versioni in progress: anche se poi la versione veramente in progress era quella della Signora che dopo il ko di Reggio Emilia avrebbe iniziato un crescendo rossiniano imperioso, mentre quella nerazzurra comunque reggeva l’urto con le armi della solidità difensiva e della forza fisica, sufficienti per buona parte di stagione a tenere botta e restare ai vertici della classifica. Ma il giocattolo, ad un certo punto, ha finito con l’incepparsi: davanti alla sconfitta con la Lazio prima della vigilia erano stati forniti gli alibi delle feste di Natale con troppo anticipo, dei troppi sorrisi, dell’atteggiamento troppo light denunciato anche dallo stesso Mancini. Alibi destinati a evaporare in fretta, perché dal ritiro invernale di Doha è tornata un’Inter in una versione ai limiti dell’horror: la sua proverbiale solidità si è clamorosamente liquefatta, alcuni giocatori che avevano fornito segnali confortanti hanno compiuto clamorosi passi indietro; altri, o per meglio dire uno, arrivato tra grandi squilli di tromba e che adesso ciondola per il campo quasi impaurito nel provare a fare una giocata che vada al di là dell’elementare. E soprattutto, attaccanti che non riescono a fare il loro mestiere nemmeno nell’abc che sarebbe quello di provare anche a tirare in porta, e che per due volte consecutive si sono presi le decise tirate d’orecchie pubbliche da parte del tecnico.

La partita di ieri sera con la Juventus ha rappresentato in un certo qual modo l’emblema di questa nemesi negativa dell’Inter: un inizio anche dignitoso, nel tentativo di reggere l’urto delle prime iniziative importanti bianconere, anche se Neto, a parte un colpo di testa di Jeison Murillo che ne ha esaltato le doti di acrobata, è stato praticamente spettatore non pagante. Ma dire che questa partita è stata emblematica del momento difficile è dire che forse, nemmeno troppo tempo fa, questa squadra non avrebbe commesso errori letali in fase difensiva anche grossolani, tra palloni non protetti a dovere e interventi ingenui; non avrebbe perso palloni con passaggi talmente banali da essere leggibili almeno un minuto prima, come ha fatto Cuadrado su quello straccio servito da Kondogbia a Nagatomo che ha generato l’azione culminata con il doppio giallo proprio di Murillo. E chissà, magari avrebbe anche trovato un modo per punire una disattenzione, seppur rara, della retroguardia bianconera, che invece nella ripresa si è praticamente presa gioco degli avversari mettendone miseramente alla berlina le difficoltà di costruzione della manovra e la clamorosa farraginosità dei meccanismi.

D’accordo che forse il termine di paragone di ieri sera, come già detto, alquanto mortificante, ma a questa Inter, se prima aveva poco ma con quel poco comunque riusciva a portare in tavola piatti magari non da cultori della cucina ma che comunque davano la giusta sostanza, adesso sembrano mancare all’improvviso tutti gli ingredienti per cucinare, dall’acqua fino al sale. Al di là delle belle parole del post-partita di Massimiliano Allegri, questa squadra è in totale fase di smarrimento, come capita con inquietante regolarità a gennaio da qualche anno a questa parte. Il tecnico reclama rinforzi sul mercato per il settore offensivo, oggi sarà accontentato con l’acquisto di Eder, anelato già in estate e che finalmente per lui chiuderà il cerchio approdando in nerazzurro nel tentativo di dare una scossa a questa squadra intorpidita.

Ma in attesa di capire cosa può offrire l’oriundo azzurro a questa squadra, la sensazione è che l’arrivo di Eder, per il momento, va solo a rinfoltire un reparto magari non ricco nel contributo ma già numericamente bello intasato. Quando, per esempio, la frustrazione mostrata spesso e volentieri dai vari Gary Medel, Geoffrey Kondogbia e Felipe Melo nel non saper come fare per trovare varchi nella retroguardia bianconera, limitandosi ad un malinconico giro palla, ha evidenziato la lacuna di un giocatore in grado di accendere la luce lì in mezzo e magari imbeccare gli avanti col pallone giusto, che sa di scoperta dell’acqua calda ma che ormai è diventato un buco sempre più evidente.

Non si discutono le qualità di Eder, che lo stesso Mancio ha benedetto nell’immediato dopogara; ma non può essere questa l’unica pezza da porre ad una squadra in piena crisi d’identità. Il tempo stringe, un nuovo passo falso nel derby diventerebbe certamente deleterio per l’ambiente. I buchi sono tanti, e la sensazione di una squadra sempre in cantiere, con moduli e uomini che girano, entrano e spariscono dalla scena senza soluzione di continuità, alla lunga mette alla prova la pazienza di tutti. Il ricorso continuo al mercato, ponderati anche i risultati ottenuti, funziona fino a un certo punto, specie se poi l’influenza si presenta ciclicamente e l’organismo diventa autoimmune alle aspirine…

Sezione: Editoriale / Data: Gio 28 gennaio 2016 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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