Penso di dire una banalità sostenendo che nell’ultimo decennio il calcio inglese ci ha lasciati fermi al palo, e purtroppo non è l’unico. Il dislivello con i maestri del football, fino agli anni 90 palesemente a nostro vantaggio, si è ribaltato e oggi è aumentato a dismisura. Non mi riferisco solo ai risultati sul campo (per quanto ci sarebbero 4-5 club che potrebbero demolire anche la miglior formazione italiana del momento), alla qualità degli interpreti, allo spettacolo che settimanalmente la Premier League offre, al livello di organizzazione e di sicurezza degli stadi (tutti di proprietà...) o alla crescita vertiginosa del volume d’affari che caratterizza il movimento, anche grazie a investimenti provenienti dall’estero. La vera, grande differenza tra il calcio d’oltre Manica e quello italiano vive nella mentalità. Mi spiace sostenerlo, ma rispetto ai britannici rasentiamo la zona retrocessione. Non abbiamo più l’appeal di un tempo, i soldi che girano sono pochi e mal spesi e sul rettangolo di gioco soffriamo un qual certo complesso di inferiorità contro le rivali inglesi di turno. Fortunatamente, ogni tanto qualche sprazzo di vitalità ce lo permettiamo nei confronti diretti (l’ultima impresa, il pareggio del Napoli in casa del City), ma sono gocce nel deserto. È un dato di fatto, oggi siamo noi a dover prendere esempio dal calcio di sua Maestà.
Vorrei prendere spunto da un recente episodio per ribadire il concetto del ‘dislivello’: dopo il derby di sabato scorso Everton-Liverpool (0-2), un polverone di polemiche si è sollevato per l’espulsione assurda di Jack Rodwell (23’) a opera dell’arbitro Martin Atkinson, internazionale e quindi assai quotato. Episodio che ha indirizzato l’andamento del match a vantaggio dei Reds, bravi a capitalizzare la superiorità numerica. Sul campo, dunque, è stata commessa una palese ingiustizia, ma la Football Association ha posto rimedio togliendo la squalifica (automatica) al giocatore dell'Everton, il cui intervento falloso non meritava il cartellino rosso. Non si tratta di un episodio isolato, perché in tempi non sospetti anche il più noto Frank Lampard beneficiò di un’assoluzione dopo essere stato espulso in un match, guarda caso, contro il Liverpool. In un’epoca in cui ogni partita viene vivisezionata dalle immagini televisive, la FA ha dimostrato di avere buon senso, usando il mezzo non solo per punire, ma anche per assolvere.
In Italia possiamo dire altrettanto? No. Basta anche l’ultimo esempio di Inter-Napoli, arbitrata da Rocchi: Obi ammonito per un fallo inesistente a centrocampo, quindi espulso nell’azione che ha portato al rigore (inventato) per un contatto spalla a spalla che il buon senso (per chi ne è dotato) avrebbe consigliato di non punire con un secondo giallo. Nulla da fare, nigeriano espulso e Inter destinata al tracollo nella ripresa perché priva di un giocatore e sotto di una rete. Pochi giorni dopo, ecco le squalifiche di Ranieri (che ha avuto solo la colpa di aver protestato legittimamente e civilmente) e di Obi, entrambi appiedati per un turno. Fossimo stati in Premier League, il centrocampista giocherebbe la prossima partita a Catania, perché le immagini inchiodano palesemente Rocchi e ripuliscono l’immagine del giocatore nerazzurro. Ma non siamo in Inghilterra, quindi le sospensioni vengono biecamente confermate e l’Inter pagherà doppiamente le nefandezze di un direttore di gara inadeguato.
Basta questo esempio che certifica una mentalità retrograda del nostro sistema calcio? Ne ho un altro, altrettanto recente: Ranocchia viene espulso a Novara per fallo in chiara occasione da gol (inventato da Bergonzi) e rimedia ben tre turni di squalifica. Non per l’intervento che è costato all’Inter la fine di ogni speranza di rimonta al Piola, ma per le proteste rivolte all’arbitro. Plateali, certo, ma più che giustificate dato il momento della partita e l’innocenza del difensore umbro. Forse il giudice sportivo, con un guizzo di buon senso, ha evitato una punizione a Ranocchia? Macchè, tre giornate di squalifica e perfetta integrazione tra danno e beffa.
Obi e Ranocchia sono solo gli ultimi due agnelli sacrificati all’altare di un sistema grezzo, non certo in grado di adeguarsi ai parametri di un calcio moderno che può avvalersi della tecnologia post-partita ed evitare ingiustizie macroscopiche. Abbiamo gli strumenti ma non adeguiamo le regole, sin troppo vetuste: un’assurdità. Anche sotto questo aspetto, oltre a quelli prima citati, abbiamo molto da imparare dagli inglesi. Poi non lamentiamoci se il nostro calcio annaspa rispetto a quelli esteri, dove invece mantiene il suo status di divertimento e produce ricavi importanti. Finché non cambierà la nostra forma mentis, l’evoluzione sarà solo una prerogativa altrui: la serie B è dietro l’angolo, riflettiamoci.
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