Non è bello passare in un batter di ciglia dai tre punti conditi di elogi relativi alla gara interna con il Genoa, preceduti dal beneagurante secondo tempo e conseguente pareggio nel bunker della Juventus, al nulla assoluto visto a Empoli. Anche i più inguaribili ottimisti avranno pensato che se la splendida squadra di Sarri ammirata contro i nerazzurri avesse avuto in campo un attaccante discreto, saremmo stati costretti a commentare una sconfitta e non uno 0-0 strappato con le unghie e con i denti. Quel “Siamo l'Inter”, slogan manciniano sbandierato come un mantra per scuotere le menti, è rimasto tra le mura della Pinetina.
Al 'Castellani' solo la curva gremita dai soliti numerossimi e vocianti tifosi nerazzurri faceva intuire che in campo ci fosse la Beneamata. Non certo i giocatori e il loro modo di stare sul terreno di gioco. A fine gara, nell'angusta sala stampa dello stadiuolo empolese, Maurizio Sarri, il bravo tecnico dei toscani, svelava come avesse capito dalle gare con Juve e Genoa, che l'Inter fosse una squadra in grado di fare bene a bassi ritmi, ma assolutamente vulnerabile al cospetto di giocate ad alta velocità. Aveva ragione, lo ha detto ai suoi ragazzotti che lo hanno seguito in maniera ammirevole mentre all'Inter non riuscivano due passaggi di fila, soprattutto dalle retrovie e il pallone veniva lanciato lontano a più riprese per tentare di rifiatare. In quei frangenti a Roberto Mancini, fautore del fraseggio sempre e comunque, sarà venuta l'orticaria e lo scoramento per aver capito di non avere la bacchetta magica. E se anche l'avesse, servirebbe a poco, visti i risultati del Milan dopo il regalo di una bacchetta “presunta” magica a Pippo Inzaghi da parte dei colleghi di fede rossonera.
Scherzi e magie a parte, dopo aver convinto la società a ingaggiare i due esterni di attacco che, seppur ancora in ritardo di condizione, serviranno eccome alla causa, Mancini dovrà riuscire a ottenere anche il sospirato centrocampista capace di iniziare l'azione senza farsi spaventare dal pressing avversario. Un tempo si chiamava regista. Il ruolo non era contemplato nell'idea di gioco di Mazzarri e i risultati si sono visti. Risultati purtroppo non buoni, tanto da dover esonerare, nonostante la spada di Damocle del Financial Fair Play, un allenatore ancora sotto contratto e con un ingaggio importante, per far tornare il Mancio che guadagna, giustamente, altrettanto bene. La mossa presuppone che il superamento delle difficoltà, economiche e di campo, possa avvenire non stringendo ulteriormente la cinghia, ma con una politica espansiva che porti in dote quel posto in Champions League, tanto caro alle svuotate casse nerazzurre.
Servirà un'impresa, anche pensando alla soluzione Europa League, quindi dopo aver fatto 30, in sede di mercato occorrerà fare 31 per tentare il tutto per tutto. Già lunedì sera, intervistatato dal brillante Gianluigi Pardo a 'Tiki Taka', Roberto Mancini aveva fatto capire di aver archiviato in fretta la delusione per i due passi indietro di Empoli, pronto a ripartire. “Nella prossima stagione dovremo lottare per lo scudetto”, ha detto. Ecco il tecnico che fa la differenza, che pensa in grande, che costringe società e ambiente a pensare in grande. Bisogna seguirlo, assecondarlo, sostenerlo. Anche quando, speriamo il meno possibile, la squadra vivrà giornate non certo memorabili come quella di Empoli. Ma la strada intrapresa è quella giusta, lo si capisce da certe sfumature.
Intanto questa sera si torna in campo per un primo verdetto importante. Al Meazza, contro la sorprendente Sampdoria di Sinisa Mihajlovic, in tribuna perché squalificato e dell'amico Paolo Viganò all'ufficio stampa, l'Inter si gioca l'accesso al quarto di finale di Coppa Italia o Tim Cup, come dicono quelli che amano l'esotico. Vincere sarebbe fondamentale per svariati motivi, anche perché proprio dopo la conquista della prima Coppa Italia nel 2005, battendo la Roma, Mancini disse: “Vincere aiuta a vincere”. Fu buon profeta il Mancio, visto cosa riuscì a conquistare l'Inter negli anni successivi, grazie anche alla fine della vergogna chiamata Calciopoli. L'Italia calcistica visse a lungo sotto una bellissima dittatura nerazzurra.
Tornando alla sfida odierna, ringrazio personalmente l'Everton per aver ritardato l'arrivo in blucerchiato di Samuel Eto'o. Vederlo in campo contro l'Inter e magari metterla dentro, mi avrebbe provocato un certo malumore che non avrebbe di sicuramente fatto la gioia di chi mi sta vicino. In buca la mettesse il grande ex Maurito Icardi, fresco papà con tanto di selfie rivelatore. Lo hanno attaccato anche per questo, per aver condiviso un bel sorriso in sala parto accanto a moglie e figlia neonata. Non so se gli accusatori avessero del tutto torto, però mi pare che stia succedendo di peggio nel mondo. O no?
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