Oggi, anno domini 2018, la domanda delle domande sul significato della felicità che ha occupato un posto di rilievo nel pensiero di quasi tutti i filosofi di ogni epoca entra prepotentemente di diritto anche tra le pagine bianche della storia ancora in fieri della stagione interista. Un quesito al quale Luciano Spalletti, prima della gara con la Fiorentina, ha risposto facendo una specie di esame di coscienza pubblico: "Vedo che ho fatto gli stessi punti dell'anno passato, però poi io devo ambire a fare qualcosa di più, quindi non sono contento del mio lavoro".

Insomma, una condizione di perenne insoddisfazione che spesso tormenta i perfezionisti, coloro i quali vedono incompiutezza in ogni loro attività. Sia essa ben riuscita o un'impresa, come nel caso del tecnico di Certaldo che ha issato un'Inter depressa nell'animo di un settimo posto a una terza piazza che è il massimo desiderabile per il materiale umano a disposizione.

Già, perché quando ci si imbarca in un'avventura esistenziale come quella che è propria di chi siede sulla panchina nerazzurra, bisogna tenere conto anche di tutti i fattori che non sono direttamente controllabili da chi vuole raggiungere l'eudaimonìa. Tra questi è impossibile ignorare il 'calciomercato', quello spazio geografico che si posiziona agli antipodi rispetto al calcio giocato e che da anni lascia un senso di frustrazione nel cuore di tutti gli attori della scena Bauscia. Non fa eccezione nemmeno Mr. Luciano, che dopo la prestazione fornita dai suoi a Firenze non è riuscito a mascherare il suo stato d'animo di fronte alle asfissianti domande formulategli dai giornalisti di turno sulla poco profondità della sua rosa: "Non ce la faccio più, non so che dire – ha sbottato ai microfoni di Premium Sport - Vada lei a dirlo negli spogliatoi, giudicate come vi pare (rivolto al giornalista Alessio Conti). Ora siamo in difficoltà numerica, ma che devo dire? Che non sono buoni? Giudicate voi, io faccio il mio lavoro, poi ci si deve prendere delle responsabilità".

Ecco, appunto, il richiamo alla responsabilità di Spalletti è sicuramente a se stesso, ma anche a una proprietà silente sul tema. Al 10 di gennaio, giorno della stesura di questo editoriale, non c'è una sola parola di Suning sull'argomento, al massimo spifferi provenienti da Nanchino circa la resistenza di Zhang Jindong all'opera di convincimento in cui si è adoperato Walter Sabatini per ottenere un anticipo di una parte del budget estivo per rinforzare ora la rosa. Niente da fare, il quarto posto in campionato, che dà accesso alla felicità, non è un diritto costituzionale nella Repubblica Popolare orientale, piuttosto un dovere che va perseguito con l'autofinanziamento. Questa è la realtà amara della sessione mercantile di riparazione che, complice la lunga sosta, potrebbe fatalmente rovesciare i piani di giudizio su una squadra che ha elevato il lavoro sul campo a unico arbitro del suo destino.

Scelta più realista del re viste le contingenze, ma che comunque non aiuta a capire quanto il sentiero verso la felicità sarà lastricato di trappole o imprevisti. Serve, forse ancora più di un rinforzo di grido che difficilmente arriverà ad Appiano Gentile, la chiarezza tanto invocata negli scorsi giorni da parte di chi comanda. I tifosi, prima di sapere se arriveranno Ramires, Rafinha, Deulofeu, Pastore e compagnia cantante, vogliono la verità. Anche perché, citando Seneca: "Nessuno lontano dalla verità può dirsi felice. 

Solo a quel punto Spalletti potrebbe prendere il cellulare per chiamare Mr. Zhang e sussurrargli piano: "Chiedimi se sono felice". 

Sezione: Editoriale / Data: Gio 11 gennaio 2018 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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