Alle 18.37 di lunedì, minuto più minuto meno, è iniziata l’ennesima nuova era in casa Inter: è infatti sbarcato all’aeroporto di Milano Linate Frank De Boer, nuovo allenatore del club nerazzurro in sostituzione di Roberto Mancini, con il quale l’Inter è arrivata, a sorpresa ma in verità non troppo, alla fine della storia dopo un’estate fatta di tormenti, di incomprensioni, di vedute distanti, di tentativi di riappacificazione che sembravano avere avuto qualche effetto salvo poi l’ultimo precipitare degli eventi, tutto questo a meno di due settimane dall’inizio di un campionato che per l’Inter si preannuncia come cruciale, nonostante da questo precampionato e dai risultati nelle varie amichevoli di preparazione, pur con tutta la tara possibile dei vari contesti opinabili, siano arrivati segnali negativi per non dire funesti. 

E alla fine, l’ultima pagina di una storia tribolata è arrivata. Sorprendente fino a un certo punto nei modi, certamente sorprendente nei tempi, visto che il matrimonio è stato sciolto in una fresca serata domenicale di inizio agosto. Quando gli avvocati del tecnico jesino hanno cominciato a discutere con la dirigenza nerazzurra circa la risoluzione del contratto; il tutto proprio in quelle ore in cui, dall’altra parte dell’oceano Atlantico, la spedizione olimpica italiana cominciava a collezionare medaglie a raffica regalando soddisfazioni in serie allo sport nazionale, quasi un tentativo di togliere la scena e distogliere l’attenzione dei più dai fatti di Rio de Janeiro (credo però non si possa biasimare chi ha preferito festeggiare davanti alle imprese dei vari Basile, Cagnotto-Dallapé, Garozzo). E proprio nella notte, la decisione: risoluzione del contratto, grazie e (forse) arrivederci. Mancini saluta la compagnia dopo quasi due anni nei quali, accolto come l’uomo della svolta dopo l’esperienza di Walter Mazzarri, è riuscito più ad accaparrarsi le critiche per la poca qualità del gioco espresso, per l’incredibile turnazione di uomini comprati e poi accantonati, per i risultati mancati, deludendo in sostanza quelle che erano le attese legate al suo ritorno, al di là dei ringraziamenti di rito. E ribaltando la percezione di gran parte della tifoseria che dopo averlo accolto in maniera positiva il suo ritorno ha espresso sollievo per non dire giubilo alla notizia dell’addio.

Il tutto viene ufficializzato la mattina di lunedì, prima col comunicato della società poi con una serie di tweet del diretto interessato, che incassata anche la buonuscita ha voluto ringraziare tutti, augurare all’Inter le migliori fortune (sinceramente, perché dovrebbe essere il contrario?) e sottolineare come, comunque, alla fine questo divorzio si sia consumato in totale serenità. E su questo punto, scusate, è difficile essere completamente concordi: davvero i malumori più o meno manifesti di questi primi due mesi di stagione sono stati messi da parte nel momento in cui gli avvocati del tecnico si sono presentati alla porta di Corso Vittorio Emanuele? Davvero la percezione crescente di solitudine e l’allontanamento coatto dalle scelte di mercato (Antonio Candreva a parte) non ha lasciato strascichi? E soprattutto, davvero può essere stato digerito con serenità il fatto che Mancini aveva incominciato a intravedere sulla nuova proprietà nerazzurra un alone di confusione ulteriormente offuscato dall’ombra di un elemento esterno col quale il rapporto non è mai stato esattamente idilliaco, un uomo che agisce come potente consigliere/consigliore di una proprietà che una volta completata l’acquisizione del club ha preferito concentrarsi quasi esclusivamente sui propri affari locali demandando il resto ad altri? Del resto, è difficile accettare, sempre nella più totale serenità, il fatto che da un lato il club provi a fare uno sforzo per riallacciare un rapporto con tanto di dichiarazioni di pubblico sostegno, ma poi, come volti le spalle, comincia ad allacciare contatti con altri tecnici come ad aspettare il momento giusto per far saltare il tappo. 

Interrogativi, comunque, ai quali non deve dare risposta Mancini, casomai una società e una proprietà che sin qui hanno lasciato nella mente dei più la sensazione di essersi preoccupata essenzialmente di chiudere al più presto l’affare per poi tornare ad occuparsi di faccende interne e di altri business, delegando tutta la gestione sportiva a chi è rimasto in sella pur con un contratto a termine oppure affidandosi ai vari cardinali Richelieu di turno che non vedono l’ora di approfittare della situazione per fare al meglio i loro interessi (in attesa di capire se e quanto il lavoro dell’uomo inviato da Suning a Milano possa essere prolifico e salvifico in tal senso). E che soprattutto ha menato fin troppo il can per l’aia, perché a Mancini tutto si può rimproverare tranne che comunque la sua posizione in tal senso non l’abbia chiarita, anzi in più di una circostanza ha chiamato i proprietari a guardarlo occhi negli occhi e dirgli chiaramente cosa pensassero di loro: le parole di circostanza servono a poco, arrivare ad una risoluzione nell’aria da tempo dopo che le divergenze erano note ormai anche all’erba intorno alla Pinetina a soli 13 giorni dal via del campionato, mentre la squadra, sotto la cappa di cotanta confusione, collezionava inerme bambole a destra e manca, e ricominciare da zero proprio a questo punto può avere effetti devastanti per un ambiente comunque già provato e minato nelle fondamenta. Tutto questo mentre si sollevano già paragoni con quello che dovrebbe essere il nuovo assetto del Milan, che sarà virtuale finché si vuole ma che comunque, in attesa del fatidico closing, pare avere dei nomi di riferimento nei gangli dirigenziali, quei nomi che mai nessuno nella nuova Inter ha mai fatto. Eccessiva fiducia verso chi c’è già (seppur per poco)? O relativo interesse per la tematica? Perché prestare il fianco a valutazioni così?

Gli interrogativi sollevati prima non possono riguardare nemmeno il nuovo allenatore, Frank De Boer, arrivato nell’assolata Milano con un equivoco piumino, per il quale mi avvalgo per il momento della necessaria ‘epoché’ in attesa di vederlo all’opera. Frank De Boer del quale una prima cosa assolutamente lodevole è il coraggio: a voler fare dell’ironia spiccia e un po’ grezza, è stato coraggioso a tentare la sua prima avventura fuori dall’Olanda in un Paese che da calciatore gli regalò una delle più grandi amarezze della carriera, quella semifinale di Euro 2000 persa dagli Oranje dove sbagliò due rigori al cospetto di chi poi avrebbe indossato proprio la maglia dell’Inter come Francesco Toldo. Più seriamente, è stato coraggioso a volersi rimettere in gioco in un contesto particolare come quello italiano, lui che è reduce da una serie di trionfi con l’Ajax chiusa però con una Caporetto nell’ultima giornata dello scorso campionato. Prendendo in mano le redini di una squadra  a ridosso del via del campionato e auspicando al momento dell’arrivo una stagione “ricca di successi”, frase legittima (la mia sensazione sul valore della rosa non cambia) ma che visti gli ultimi accadimenti rischia solo di suscitare qualche sguardo perplesso. 

Casomai, sono altre le risposte che il tecnico di Hoorn dovrà dare, anche in tempi più o meno rapidi, al di là anche di una conferenza stampa comunque interessante, specie in una risposta abbastanza importante sull’altro tema spinoso dell’estate, quello legato a Mauro Icardi e alla sua permanenza all’Inter. De Boer dovrà dare in breve tempo risposte a chi prospetta un’annata di scogli insormontabili, con una rosa non costruita da lui (ma che lui ha fatto capire di potersi fare bastare) e un gioco tutto da reinventare ed adattare; a chi pensa che adattarsi al calcio italiano sia per lui un'impresa ai limiti dell'impossibile; al pubblico di San Siro, al quale dovrà presentare una squadra ben diversa da quella all’insegna del gioco latente vista di recente, e che come oggi ti esalta facilmente dopo qualche partita storta inizierà a brontolarti dietro; a chi lo vede come un capriccio che Erick Thohir, suo grande ammiratore, ha voluto togliersi come ultimo regalo prima di smontare le tende o a chi vede in lui il primo frutto della ‘longa manus’ dell’agente sull’Inter. Infine, a chi pensa che si ritroverà già a vivere con l’incombente nube minacciosa proveniente dalla Spagna e lo bolla come ’scaldapanchina’ in vista dell’arrivo del tanto atteso Diego Pablo Simeone (quelle parole dette in sincerità da Roberto Carlos all’aeroporto di Trondheim non possono non far riflettere), nonostante  un contratto di tre anni (seppur con buonuscita prevista dopo una stagione).

Ha avuto coraggio, De Boer, coraggio e buona dose di spalle larghe, nel voler accettare la sfida di questa Inter provando ad addentrarsi nell’ennesimo ginepraio nel quale il club ha voluto infilarsi. E dal quale lo stesso club dovrà uscire dando una mano al suo nuovo tecnico ed evitando che questa venga esperienza venga dipinta per lui come una specie di Erasmus con annessa exit strategy già definita. Buon lavoro, Frank; lavoro che non ti mancherà.

 

Sezione: Editoriale / Data: Mer 10 agosto 2016 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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