Alzi la mano chi non è rimasto impressionato dalla prestazione di Thiago Motta durante il derby contro il Milan. Gol a parte (bellissimo, dopo un’azione da flipper degna del calcio totale olandese anni ’70), l’italo-brasiliano è stato protagonista di una prova eccellente, fatta di corsa, interdizione e costruzione del gioco offensivo. Provare a chiedere ai vari Flamini, Zambrotta e compagnia rossonera che girava dalle sue parti, per credere. Nulla di nuovo sotto il sole, che Motta fosse un gigante del centrocampo lo si sapeva da tempo, i più esperti lo ricorderanno persino ai tempi del Barcellona, prima che una serie impressionanti di calamità fisiche interrompessero la sua corsa di giovane fenomeno del calcio internazionale. Oggi l’ex Barça si è preso le sue rivincite e potrebbe gridarlo ai quattro venti, ma da onesto professionista del pallone continua a nascondersi dietro la sua abituale corazza di modestia, pensando a dare una mano alla squadra che punta a vincere tutto. A domanda specifica, però, Thiago Motta ha risposto che dentro di sé il sogno di vestire la maglia azzurra lo cova, eccome. Dopotutto, burocraticamente parlando non gli mancherebbe nulla per rispondere alla chiamata azzurra, così come in passato ha fatto Mauro Camoranesi (diventato poi campione del Mondo nel 2006). Il doppio passaporto e il fatto di non aver mai giocato per una rappresentativa professionista brasiliana gli consentono infatti di essere convocabile, e tutti sappiamo quanto la nostra Nazionale abbia bisogno di forze fresche e affidabili in mezzo al campo per dire la sua anche in Sudafrica a giugno 2010.
La convocazione da parte di Lippi, a questo punto, sarebbe anche logica, al di là di ogni demagogia legata alla reale nazionalità dei cosiddetti oriundi. Una volta accettato Camoranesi, perché ignorare le altre candidature quando non porterebbero che benefici? Basti pensare che da mesi va avanti la telenovela Amauri, che solo recentemente, dopo un lungo (e fastidioso) tira e molla, sembra essersi convinto ad accettare la maglia azzurra, quasi a voler farci un favore, rifiutando la Seleçao (di rimbalzo, visto che Dunga non lo ha mai preso in considerazione). Lippi finora ha atteso il verdetto e a breve anche la burocrazia renderà l’attaccante juventino convocabile. Thiago Motta si dice pronto, a metà agosto ha ammesso che dentro di sé sente scorrere sangue italiano e che non ci penserebbe un secondo a dire sì a un’eventuale chiamata di Lippi. Se non è un messaggio diretto questo, poco ci manca. La risposta del ct non è tardata: "È bellissimo lo spirito di questi giocatori con il doppio passaporto che avvertono questo richiamo verso la maglia azzurra, ma non vogliamo fare una Nazionale con tantissimi elementi con queste caratteristiche". Già, ma allora perché svenarsi tanto per regalarsi Amauri? "È diverso, se ne parla da un anno". Ma come? Quale differenza c’è tra i due casi? A parte l’entusiasmo manifestato dal centrocampista dell’Inter, decisamente più coinvolgente e stimolante rispetto ai silenzi e ai ‘dribbling’ sull’argomento da parte del centravanti juventino, una volta che Amauri avrà il passaporto italiano i due casi saranno equiparabili.
Fosse una questione di natura tecnica, vale a dire l’inutilità di inserire un giocatore come Thiago Motta nella lista degli azzurri, capirei anche. Ma è sotto gli occhi di tutti che la nostra squadra pecchi di scarsa freschezza in mezzo, oltre che di talento, doti che rendono un campione lo stesso Motta. Ben venga una punta come Amauri, ci mancherebbe, ma perché ignorare la disponibilità di un grande giocatore, che anche sul campo ha dimostrato di parlare benissimo la nostra lingua? Invece il commissario tecnico, che merita sempre ringraziamenti per quanto fatto in Germania nel 2006, si rivela contrario all’inserimento di troppi ‘oriundi’ nella selezione italiana, guarda caso proprio nel momento in cui a proporsi è un giocatore dell’Inter. Nulla da dire, invece, quando si trattava di convocare Camoranesi e, oggi, Amauri. Entrambi bianconeri, un colore che per Lippi è una seconda pelle. Non voglio essere sospettoso, ci mancherebbe, ma il recente battibecco tra il ct e Mourinho non aiuta a stemperare le ipotesi. Che l’esperienza nerazzurra del buon Marcello non sia stata positiva è ormai parte della storia. Non dimentichiamo che fu lui stesso a ‘obbligare’ Moratti a licenziarlo dopo una sola giornata di campionato (e una sconfitta a Reggio Calabria), sparando a zero sui suoi giocatori e invitando il proprio datore di lavoro a prendere tutti a calci nel sedere (espressione ormai degna dell’enciclopedia del calcio…). Un modo per tirarsi fuori da una situazione diventata troppo scomoda. Prima di questo episodio, tanta Juventus nella carriera dell’attuale ct, e scontri epici contro l’Inter, sui quali persiste ancora oggi il velo oscuro di Calciopoli.
Ma non voglio dissotterrare quella vicenda, la questione oggi riguarda Thiago Motta e il fatto di essere ignorato dalla nazionale italiana. La legge deve essere uguale per tutti, se possono diventare azzurri Camoranesi e Amauri, può essere così anche per l’interista (che, tra l’altro, rispetto ad Amauri vanta parenti italiani diretti, e non una nazionalità regalatagli dalla moglie…). Non voglio pensare che sia un problema di colori, guai a dimenticare che se Lippi è campione del Mondo lo deve anche a Materazzi e Grosso, entrambi giocatori dell’Inter nel 2006. Il problema è che sarebbe un bel gesto (oltre che un favore tecnico alla nostra selezione) premiare la disponibilità e il sangue italiano di Motta, che ha detto chiaramente no a Dunga per essere libero di dire sì a Lippi. Ma, evidentemente, al ct questo non basta. Pazienza, avrà le sue ragioni, che però tiene per sé come quelle che gli impediscono di chiamare un fenomeno come Cassano. Dispiace però constatare che nel nostro movimento calcistico, prendendo spunto da una famosa espressione di George Orwell ne “La fattoria degli animali”, gli oriundi siano tutti uguali, ma ve ne sono alcuni più uguali degli altri…
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