Quando scrivo e parlo di José Mourinho non so quanto io possa essere obiettivo. Per me lui rappresenta l’evoluzione di un percorso giornalistico (ma anche di vita) iniziato da lontano, senza favoritismi e solo di natura meritocratica, che porterò con me per sempre. Mi spiego meglio: giustamente tutti i tifosi dell’Inter identificano nella sua figura quella del vate di Setubal: la guida che ha portato i nerazzurri a vincere tutto, in Italia e in Europa. Per quel che mi riguarda nel 2010, nonostante avessi già il tesserino da pubblicista, provavo a districarmi e ad emergere nel tortuoso mondo dei cronisti sportivi. Da fuori può sembrare tutto luccicante, ma in realtà non è solo rose e fiori, anzi. Oltre al talento, capacità e passione, ci vogliono studio e abnegazione, altrimenti non si va da nessuna parte. In tanti cercano scorciatoie (magari anche trovandole), ma la cosa comunque più bella è che alla fine è come giocare una partita di calcio: se vali, in un modo o nell’altro emergi. Sia che tu scriva per il New York Times, che per il giornaletto della scuola. Conta la bravura del giornalista, non la testata che rappresenta.

Ecco quindi che praticamente dal nulla, e grazie al fatto che io parlassi correttamente spagnolo, si presentò per me la possibilità di andare a seguire il Real a Madrid ogni due settimane. Quella compagine allenata da Mou, che puntava a superare il Barcellona di Guardiola. Se le Merengues giocavano in casa in Champions o in Liga, prendevo un volo per la Spagna, stavo qualche giorno e potevo interloquire con Mourinho. Il compenso era adeguato all’impegno lavorativo, ma soprattutto ero il solo in Italia che aveva questa possibilità di rivolgersi con frequenza all’allenatore del momento. Tolti i corrispondenti locali, solo io facevo su e giù e col Paese iberico. E allora ecco che ogni volta che c’era la possibilità, in conferenza stampa e quindi in occasioni pubbliche, facilmente reperibili su internet, si ponevano domande, spesso riguardanti il suo passato (ma anche sul possibile futuro) a quel tecnico così amato e che già tanto mancava al pubblico nerazzurro.

Tra le varie risposte: “Io sono interista e non mi interessa chi sia l’allenatore. Voglio solo che l’Inter vinca”. O ancora: “Guarderò il Derby di Milano con la maglia della mia squadra”. E altre perle, alcune private, che terrò per me. Oggi è cambiato tutto. Sono diventato professionista, ho scritto un paio di libri, non seguo più il Real, ma l’Inter. Mentre Mou ha continuato a vincere in Inghilterra (ma anche a subire qualche esonero di troppo) e ora è tornato in Italia. Sabato per la prima volta, in occasioni ufficiali, José sfiderà il suo passato. Non sarà così facile per lui a livello emotivo, ne sono sicuro. Oggi ovviamente deve pensare al bene della sua Roma e farà di tutto per portare a casa i tre punti, come è giusto che sia. Ma l’amore che prova per l’Inter e che i tifosi gli rivolgono, non cambierà mai.

“Se l’Inter è la squadra in cui mi sono sentito più amato? Sì”, la sua risposta ad una domanda che gli posi prima di Inter-Sampdoria di qualche anno fa, quando venne da spettatore a seguire la sua squadra del cuore. Ci sta. Sabato José tenterà di svolgere al meglio il proprio mestiere. Ma resterà un’interista per sempre. In bocca al lupo J.M.
Sezione: Editoriale / Data: Ven 03 dicembre 2021 alle 00:01
Autore: Simone Togna
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