Uno spettacolo nauseabondo, osceno. Forse intollerabile. Siamo arrivati in basso, molto in basso. Siamo arrivati in quel punto dove mai ti auguri di poter vedere la tua squadra sin da quando il papà ti insegna cosa significa la fede calcistica. Sostenere quei colori, sempre e comunque. Anche nelle difficoltà. Ma arrivare a digerire nella normalità un'umiliazione è quanto di peggio. L'Inter non è più se stessa. Quasi verrebbe voglia di non chiamarla più così, poi c'è il sussulto d'orgoglio. L'Inter c'è sempre, e sempre va amata. Nella gioia e nel dolore. Eppure, siamo arrivati fino a reagire con sconforto e non con rabbia a una sconfitta interna - l'ennesima - contro il Bologna. Una squadra composta per larga parte da giocatori non degni di vestire quei colori, gente che a San Siro si squaglia come neve al sole, un gruppo privo di veri e propri campioni e stracolmo di ragazzi mediocri che nelle difficoltà si nascondono. Siamo al fondo.
Li guardavi, col Bologna, e sembrava fosse tutto normale. Ordinaria amministrazione. Gestione del risultato, quasi. Nessuna foga, nessun accenno di reazione. "Tirate fuori i coglioni", urlava la Curva Nord. Quest'anno purtroppo non tirerà fuori nulla nessuno, perché non ne hanno (tranne rarissime eccezioni, le solite). L'Inter si è lasciata andare perché nelle mani di gente inadeguata. Dall'alto verso il basso. L'esempio si è palesato in campo. Contro un onesto e rispettabile Bologna, sotto 0-3 in casa, neanche un accenno di reazione. Prendere schiaffi e rimanere in silenzio, a piangere. Come un soldato ferito sulla neve e colpito a ripetizione. Immobile. Questa non è l'Inter, o meglio, non è degno dell'Inter chi la rappresenta. In campo e fuori. E sia chiaro, chi ha meno colpe è il signor Claudio Ranieri, facile capro espiatorio in favore di una rosa scadente e composta da uomini per la maggior parte deboli - perché a salvarsi sono i soliti Zanetti e pochissimi altri -, ma anche di una società che non ha saputo sostenerlo. Chiedeva un esterno sinistro, ha avuto... Palombo. Ricordate a Genova, in Genoa-Inter? Pur di proporre il 4-4-2, costretto a schierare Poli a sinistra. Un paradosso calcistico. Questa rosa è inadeguata come chi l'ha costruita.
Il terrore vero è non solo legato al presente, ma proiettato al futuro. Chi ha costruito tutto ciò pagherà? Chi adesso infanga la maglia dell'Inter, pagherà? O a pagare sarà solo il buon Claudio Ranieri, ormai già alle porte tra adesso e giugno? Perché proprio lui di colpe ne ha pochissime. Quelle sette vittorie consecutive sono state una manna dal cielo per evitare un dramma chiamato Serie B. Sembra uno scherzo, eppure chi vive il calcio sa bene che quando si inizia a scivolare nel burrone tirarsi su è estremamente complesso. Molto più semplice crollare, come stiamo vedendo con i nostri occhi ormai ogni weekend. E allora il messaggio che deve passare dev'essere chiaro: è giunta l'ora di azzerare e ripartire.
Basta con l'eterna riconoscenza, basta con i mezzi giocatori. Perché dietro lo sdegno di chi ha cantato il nome di José Mourinho e di chi ha contestato la squadra c'è la speranza di chi vuole un futuro migliore. Proprio perché l'Inter la amiamo tutti adesso come la amavamo al 22 maggio del 2010 e come la ameremo tra un anno in questo stesso giorno. La speranza e l'orgoglio dei nostri colori non moriranno mai. L'interista è speciale. Altrove avrebbero contestato in maniera molto diversa, lo sappiamo bene. Ma l'interista non è stupido, e adesso ha voglia di tornare a sostenere una squadra, non un branco di gente senza coraggio. Azzerare e ripartire. Per il bene dell'Inter, per il bene di chi l'Inter la porta nel cuore, di chi per l'Inter fa sacrifici ogni settimana. Restituite loro il sogno, perché l'unica cosa che non si discuterà mai è l'amore per i nostri colori, il nero e l'azzurro. Infinito, dal 9 marzo 1908. Ma allo stesso tempo colmo di ambizione. Basta con questo strazio, più guerrieri e meno ragazzini viziati, più campioni e meno fantasmi. Azzerare e progettare, per il bene di un amore eterno. Perché alla fine siamo sempre tutti lì a sostener l'Internazionale. Ogni maledetta domenica.
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