E finalmente, questa sera, il pallone tornerà a rotolare sul prato anche per l’Inter. Sul prato del Bentegodi per la sfida contro il Chievo Verona, prima di campionato dipinta al momento della diramazione dei calendari come il déjà-vu di Roberto Mancini dopo 12 anni e che invece segnerà l’inizio ufficiale di una nuova era, quella targata Frank de Boer, il tecnico tanto desiderato dal presidente Erick Thohir che alla fine è riuscito a realizzare questo suo grande sogno, ultimo regalo importante prima di lasciare definitivamente il testimone alla nuova proprietà di Suning con tanti saluti e tanti bei soldini di buonuscita in tasca. De Boer arrivato al culmine di un’estate, per così dire, particolare, vissuta sul filo del rasoio per vicissitudini di vario genere e numero, che la società non ha forse saputo affrontare nei tempi e nei modi più ortodossi ma che alla fine è riuscita in qualche modo a sbrogliare. Ma per cortesia, ora è tempo di parlare di campo.

Certo, forse l’attesa per l’inizio del campionato di calcio non è più quella di una volta. Forse adesso l’avvio della Serie A suscita meno entusiasmi di un tempo, quando il fremito per quello che, in base a quell’assioma poi abusato al punto da perdere di valore, era ‘il campionato più bello del mondo’, mentre oggi sembra ormai ridotto, almeno a ogni vigilia, al ruolo di comprimario europeo rispetto ad altri tornei che riescono a calamitare l’attenzione praticamente di tutto il globo terracqueo. Basti pensare alla grande attesa intorno alla stagione di Premier League, generata dalla concentrazione di grandi giocatori e tecnici (e di annessi investimenti), da una corsa al titolo che si preannuncia estremamente ampia e combattuta, il tutto condito da un sapiente ed efficace tam-tam mediatico. Un monumentale giardino all’inglese che a livello estetico fa fare brutta figura all’orticello nostrano, che si prevede pronto a dare gli stessi frutti ben noti da ormai cinque anni. Poi, chiaro, la sorpresa è sempre dietro l’angolo, ma tutto lascia presagire che il copione, almeno per quel che riguarda chi dovrà occupare il trono, non cambierà. E l'anticipo di ieri non fa che rinforzare questa teoria.

Una Serie A, quindi, che poco o nulla pare offrire di veramente nuovo, vittima predestinata di un cannibalismo a tinte rigorosamente bianconere, tendenza avviata da qualche anno anche in Germania e Francia. E suona alquanto curioso che in questo campionato che si può definire sul piano tattico come il più difficile ma che sostanzialmente, a parte qualche piacevole eccezione, si dimostra anche arido sul piano del gioco espresso, abbia deciso di tuffarsi per la prima esperienza da head coach al di fuori della patria natia Frank de Boer. Lui che cannibale lo è stato in Olanda con l’Ajax trascinato al poker di titoli di Eredivisie vinti prima di perdere il pokerissimo nella maniera più rocambolesca possibile; lui che però sin qui ha vissuto in un microcosmo particolare, quello del calcio olandese che gli stereotipi universali, generati dall’abbagliante ‘Big Bang’ dell’Ajax e soprattutto dell’Olanda ‘Arancia Meccanica’ di Rinus Michels e Johan Cruijff, vedono concepito come prettamente offensivo e di conseguenza poco attento alla fase difensiva, come testimoniano certi punteggi allegri che si vedono spesso nel campionato locale, un qualcosa che applicato in Italia, sempre secondo il filo logico dei luoghi comuni, ti porta dritto dritto al suicidio, specie se sei neofita del posto.

De Boer è arrivato in Italia da poco, certamente non per colpa sua, e pochi giorni ha avuto per approntare una sua idea tattica ben definita già in vista del proprio debutto in campionato. Ma anche in questo brevissimo lasso di tempo di lavoro, qualche piccolo segnale confortante si è visto: una sola sfida di preparazione, quella col Celtic dello scorso fine settimana, pur contro una squadra imbottita di seconde linee, ma nella quale si è vista una squadra con idee e proposte di gioco. E soprattutto, con la giusta serenità, quella che le turbolenze estive avevano certamente tolto a questo gruppo. Certe dichiarazioni su questa nuova aria arrivate nel corso dei giorni sono state in questo senso significative, ma alla fine, forse, le parole più importanti le ha dette il diretto interessato. Che non si è voluto nascondere dietro ad un dito, chiedendo sì qualche mese prima di poter dire che su questa squadra ci sarà il suo marchio, ma che nel frattempo vuole un rodaggio che porti più punti possibile perché questa, si sa, non può più essere una stagione di transizione.

È un Frank de Boer che almeno con le parole arriva con le migliori intenzioni possibili, provando a infondere al gruppo la giusta carica per affrontare questa stagione e soprattutto allontanando il concetto di essere troppo legato alla propria scuola, anzi guardando con ammirazione altri modelli, dall’Inghilterra alla Germania, un po’ come dettato anche dal suo passato calcistico che lo ha visto protagonista anche con la maglia del Barcellona oltre che nel Galatasaray e nei gloriosi Glasgow Rangers. De Boer è uno che ha ben chiaro quello che vuole, soprattutto quando dice che, prima ancora che giocare bene, la sua è un’Inter che deve giocare col cuore e ‘dominare’ le partite, inteso non solo come superiorità sul campo ma anche come capacità di indirizzare a proprio piacimento il gioco dell’avversario, come su una grande scacchiera dove certe sottigliezze strategiche fanno la differenza.    

Non resta che attendere i fatti, intanto De Boer si fa apprezzare per le idee e per l’uso sapiente delle parole. Parole con le quali ha saputo colpire nel segno i dominatori designati del campionato, quando ha affermato che a suo modo di vedere non è certo che la Juventus si sia poi così rafforzata. Apriti cielo: sul fronte bianconero queste dichiarazioni sono state accolte come una sberla improvvisa in mezzo a tante lodi, come testimoniano le reazioni piccate dell’ad Beppe Marotta (come se una carriera quasi trentennale tra campo e panchina e una sfilza di trofei vinti non facessero del  tecnico olandese uno che abbia l’esperienza giusta per parlare di calcio) e del numero uno di Exor John Elkann.  Una legittima riflessione presa quasi come una dichiarazione di guerra, un ‘mind game’ forse creato ad arte ma che forse ha svelato un nervo scoperto, una piccola crepa nel castello di certezze sabaudo. Ovvio, in termini assoluti è poca roba, ma un campionato lungo ed estenuante si gioca anche sulle sfumature della psicologia. E questo De Boer probabilmente lo ha già capito, in attesa di vedere se anche la sua Inter recepirà i suoi messaggi e, come auspicato, andrà a comandare.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 21 agosto 2016 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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