Cominciate col fare il necessario, poi ciò che è possibile e all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile. Un'Inter umile, tarchiata e modellata in formato Champions League mette al tappeto il Borussia Dortmund tra le mura amiche, emulando - sull'identico manto erboso di San Siro - le gesta sportive degli uomini di Herrera che la sera del 29 aprile 1964 sconfissero gli stessi tedeschi per due reti a zero. Stavolta non decidono l'incontro Mazzola e Jair, bensì l'audace Lautaro Martinez e il belligerante Antonio Candreva. Il discorso qualificazione, allo stato attuale, è completamente riaperto per i nerazzurri, rispettosi di un avversario dimostratosi in fin dei conti pallido e al medesimo tempo accaniti nel raggiungimento della linea di arrivo prefissata.
I teutonici si presentano al Meazza decimati per colpa delle assenze del capitano Marco Reus (sindrome influenzale) e del centravanti Paco Alcacer (infiammazione del tendine d'Achille). Anche se i loro sostituti meritano, in ogni caso, di calcare un palcoscenico talmente prestigioso: Thorgan Hazard, fratello di Eden, occupa il reparto offensivo unitamente a Julian Brandt - che Löw nel 2018 ha portato con sé in Russia al posto di Sané - e al giovanissimo Jadon Sancho, mago degli assist e dotato di un dribbling stupefacente, oltre che di una velocità oltre la media. Non impeccabile, però, l'ala destra britannica per quel che concerne gli atteggiamenti da professionista: per un ritardo agli allenamenti, la società l'ha multato con un'ammenda da 100.000 euro. Sul rettangolo di gioco, del resto, il classe 2000 parla da sé. Come tutti i suoi compagni, all'altezza di una ribalta così luccicante: padronanza del pallone, continui tocchi di prima, occupazione esemplare degli spazi, perpetua ricerca della profondità. Il livello è elevato e per contrastare una compagine organizzata in questo modo occorre una fiera prestazione.
Se poniamo a confronto il fiume e la roccia, il fiume vince sempre non grazie alla sua forza, ma alla perseveranza. E il punto cardine dell'Internazionale è proprio questo: mai arrendersi, restare sempre sul pezzo, non staccare la spina mentale neanche per un istante. Il lavoro di squadra divide i compiti e moltiplica il successo. La cooperazione dei ragazzi nerazzurri si basa sulla profonda convinzione che nessuno riesce ad arrivare alla meta se non ci arrivano tutti. Infatti, il gruppo è compatto e di questo passo - un'andatura per volta - si riesce a completare l'ardua scalata. Degno di una coccarda di merito Roberto Gagliardini, ferito l'anno scorso quando rimase escluso dalla lista Champions mentre i suoi compagni scendevano in campo a Wembley e al Camp Nou. Vecino non c'è? Nessun patema d'animo: il numero 5 onora la sua presenza in campo sfoderando un'eleganza palla al piede vecchio stampo e un'efficace fisicità nei contrasti.
Parlare ed insegnare spetta al maestro, tacere ed ascoltare si addice al discepolo: Nicolò Barella, nel giro di pochi mesi, testimonia d'aver già perfettamente appreso i segreti di Antonio Conte, al suo tempo mezzala incontrista tutta garra e ghirigori in mezzo al campo. Esemplare anche Antonio Candreva, che dopo aver percorso tutta la fascia per 89' trova la forza di sgroppare ancora una volta lungo la corsia destra per concludere a rete dopo uno scatto di 80 metri in ripartenza. Decisivo, nel bene e nel male, Lautaro Martinez: segna un gol d'autore (su lancio perfetto di Stefan de Vrij), si rivela prezioso come una pepita d'oro in fase di non possesso ma sciupa, forse perché fissa troppo il pallone e un po' poco lo specchio, un calcio di rigore eseguito tra il surreale silenzio dell'intero stadio. Oltre 65.000 anime senza respiro, una scena difficilmente replicabile se non in Piazza San Pietro durante l'Angelus domenicale.
Altra indicazione positiva, l'eccellente esordio stagionale di Sebastiano Esposito. È il più giovane, dopo Bergomi, a debuttare con la maglia dell'Inter in Champions League. E non delude le attese, esibendo giocate dall'alto tasso tecnico dinnanzi a una difesa non da poco: il classe 2002 di Castellammare di Stabia - subentrato al posto di uno spento Lukaku - sguscia via alla marcatura Mats Hummels (campione del mondo al Maracanã nel 2014), riuscendo con caparbia a guadagnarsi il tiro dal dischetto poi fallito dal suo compagno di reparto. "Corri tanto e usa la testa", gli sussurra Antonio Conte poco prima che l'enfant prodige nerazzurro faccia il suo ingresso in campo. Il segno più evidente dell'umiltà è la prontezza nell'obbedienza: non andrà ai Mondiali Under-17 per restare a disposizione della prima squadra, ma intanto risalta agli occhi come una delle promesse più stuzzicanti in ottica Qatar (o, perché no, Euro 2020, se progredisce in tempi rapidi).
La prestazione di Esposito fotografa una serata magica: l'Inter torna a vincere in Europa dinnanzi al proprio pubblico, facendosi rispettare da un avversario che da anni in ambito internazionale sfoggia la sua classe e solidità di squadra. L'ostinazione con cui i nerazzurri vogliono vincere è merce assai rara. E adesso in casa Beneamata il maledetto Girone F prende tutta un'altra piega. Se la bellezza salverà il mondo, sarà la tenacia (più del talento) a governarlo.
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Autore: Andrea Pontone / Twitter: @_AndreaPontone
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