Forse è giunta l’ora di giocarsi carte diverse. La gara col Crotone regala queste suggestioni, le sole suggestioni, a un pubblico comprensibilmente sconfortato dopo l’ennesima prova confusa e incolore, con un pareggio subito – anzi, autoindotto - al quarto d’ora della ripresa, quando restava una mezz’ora abbondante ai padroni di casa per far la voce grossa, la voce propria della grande che si riversa in area avversaria e prima o poi il gol lo trova. All’Inter non resta neanche più questo, nemmeno la consapevolezza dei grandi. Quando va in malora tutto quel poco che ha costruito, quando il suo avversario demolisce l’impalcatura di un vantaggio striminzito grazie anche alle colpe nerazzurre, la squadra di Spalletti sbanda. Eccome se sbanda. Le carte fresche, quelle nuove di zecca o finora poco usate, possono appunto essere l’unica soluzione, la sola trovata che sia in grado di rinverdire una situazione ormai inaridita. La qualità e la spensieratezza con cui sono entrati in campo Cancelo e Rafinha devono diventare la risposta a un momento in cui la qualità latita, latitano i gol e la stessa spensieratezza, manco a parlarne, manca del tutto; lo stesso Karamoh, in qualche modo, può sventolare il ventaglio a questa squadra appassita.
Sono tanti gli interpreti che ieri sera hanno aggiunto una brutta figura personale alla loro storia nerazzurra. Perisic ha le polveri bagnate da tempo, o forse un fiore incastrato nella canna del suo fucile: il modo in cui ha tirato verso la porta dell’ex Cordaz sembrava un nobile omaggio, come quando vuoi risparmiare il tuo rivale all’avversario e allora spari in aria o per terra. Vecino, dal canto suo, è in una fase di profonda involuzione, con un’incredibile difficoltà nel palleggio di prima che l’Inter cerca con Borja regista basso e quel 4-3-3 che, se non si nutre di dialogo, fatica maledettamente a portare il pallone davanti. E, ancora, un Candreva volenteroso ma poco a suo agio persino col primo controllo non è riuscito a dare una sterzata al suo momento: è stato certo apprezzabile il tentativo di servire Eder con traversoni bassi e tesi, vista la stazza non imperiosa dell’oriundo, ma per il resto l’ex Lazio si è prodigato invano nelle solite corse a testa bassa sulla fascia di competenza. La pioggia di fischi destinata alla sua uscita dal campo è forse motivata dalla tendenza, tipica da queste parti, alla ricerca del capro espiatorio, da immolare sull’altare in attesa che arrivi il prossimo. Si creano mostri, si crocifiggono e si va avanti così finché il mostro non è più in circolazione, e a quel punto ce ne sarà già un altro bello fresco, pronto a essere sacrificato.
Il problema, però, è ben più ampio: a Candreva potrebbero forse giovare un paio di turni di riposo, anche sul morale, ma Spalletti non ha tutti i torti nel sottolineare che l’apporto di Karamoh, ad esempio, è tanto più fresco ed evidente quando l’aletta francese è chiamata in causa nei momenti di arrembaggio: “Nelle difficoltà reagisci in maniera più dura e convincente, non hai niente da perdere”, oppure “Karamoh ha fiammate importanti e qualità, però offre solo quelle: quando brucia ha bisogno di recuperare, non ha continuità di gioco, è un attaccante”. Ecco, le nuove energie esistono. In qualche caso, come per Cancelo o per lo stesso Rafinha, potranno verosimilmente farsi notare fin dal 1’, mentre uno come Karamoh può risultare utile appunto quando c’è da assaltare il fortino nemico senza se e senza ma. Di fronte al problema mentale, all’ansia di non riuscire a far più le cose per bene, Spalletti giustamente suggerisce la via delle piccole cose, i passi sicuri da indicare prima di tutto a chi ha portato l’Inter in un’eccellente posizione di classifica: nessuna rivoluzione dunque, ma piuttosto una ripresa collettiva.
Eppure, esistono lacune che non possono essere colmate se non con la novità: l’Inter segna poco, e il gioco statico di Icardi non ne può essere certo la causa, dal momento che l’argentino è l’unica arma letale all’arco di Spalletti. Il problema, semmai, risiede ancora e da sempre nello scarso numero di nerazzurri che attaccano l’area avversaria: troppo spesso, da quelle parti, i difensori hanno buon gioco nel rimandare al mittente ogni traversone, forti di una superiorità da 3 contro 1. Vecino accompagna l’azione soltanto di rado, Brozovic – sostanzialmente – quando gli va, e in area c’è solo il centravanti, Icardi o Eder che sia, a cercare lo spiraglio in mezzo alle strette maglie della difesa. Arriva dunque la respinta e, di solito, le grandi squadre sanno colpire in modo letale proprio in questo momento, andando a concludere da fuori contro una difesa avversaria per forza di cose in difficoltà. L’Inter, invece, tiratori da fuori non ne ha, e dunque ecco quella irritante circolazione di palla al limite dell’area, coi vari nerazzurri che se la passano in attesa che uno di loro tiri fuori il tiro della domenica. Non accadrà mai, e dunque si torna sulle fasce, cross in mezzo e respinta. Punto e a capo.
La mente, insomma, è senz’altro il problema di fondo, e però è altrettanto vero che la testa si cura solo coi risultati. Troppi nerazzurri presenti in rosa sono stati protagonisti, e in qualche occasione causa, dei cali verticali che si ripropongono almeno da due anni a questa parte: l’impressione che tutto stia andando in questo modo anche stavolta può soltanto deprimerli ulteriormente, e appunto l’unica chiave per invertire la tendenza è la scossa tecnica. Spalletti, in queste gare, dovrà senz’altro rimodellare quel gruppo di tredici-quattordici giocatori che possa condurlo all’obiettivo, a costo di operare scelte importanti e, in qualche modo, rivoluzionarie. Con la prima vittoria, magari, tornerà anche la serenità, e il buio sarà passato. Ma il buio, da queste parti, è più buio che altrove. “L'Inter è un posto splendido dove lavorare e si può fare bene”, afferma il tecnico. Non è totalmente vero. L’Inter ha una maglia bella e prestigiosa, ma è un posto inospitale, dove il lavoro non è mai sufficiente e far bene, negli ultimi anni, è diventato un privilegio che si son concessi davvero in pochi. È colpa degli insuccessi, dei passaggi societari, è colpa delle inevitabili attese di rinascita che ad ogni stagione si fanno sempre più forti e pressanti. La sfida che attende Spalletti è tra le più ostiche che abbia mai affrontato, roba che Totti e il suo ricco fan club erano una storiella di gossip. La sterzata sarà difficile, eppure è proprio qui che l’ex Roma, e tutti i suoi ragazzi, potranno guadagnarsi una nuova statura. Dall’Inter si esce vincitori o vinti, non c’è altra strada.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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