Parla Roberto Mancini e lo fa alla Gazzetta dello Sport alla vigilia del Natale. In fondo, anche per lui è una vigilia, quella del mercato che dovrebbe dare all'Inter quei pezzi giusti per allestire una squadra in grado di puntare dritta al terzo posto. "Se arriviamo in Champions, e io ci credo fortissimamente, vado alla Cattedrale di Santiago de Compostela. In bici", fa il Mancio, con la consueta carica.
Mancini vuole riprendersi tutto ciò che conquistò 10 anni fa?
"Sì. Ci vuole tempo, lavoro, programmazione e attenzione. Ma bisogna tornare a vincere. Lo penso e lo ribadisco".
Gli ostacoli più grandi?
"Le altre squadre, che giocano insieme da anni. La Juve, la Roma, poi il Milan e il Napoli che è miglioratissimo".
E gli ostacoli in… casa?
"E’ giusto che io sottolinei una cosa: prendere una squadra a metà stagione non è mai facile. Pian piano devi conoscere situazioni, giocatori, condizione di ognuno. E rispetto a dieci anni fa è tutto meno semplice perché là c’era una squadra che aveva già vinto, sapeva come fare. Però questi ragazzi hanno appreso subito: in tanti anni di carriera non ho mai avuto una squadra così ricettiva in pochi giorni a disposizione".
Detto questo, ecco i soliti errori difensivi.
"E’ successo anche con la Lazio, ma la ripresa è stata buonissima: questa squadra ha carattere. E si cresce anche dentro e con gli errori".
Serve mercato, ma il fairplay finanziario è una mannaia.
"Per quel che potrà fare, la società mi ha dato pienissima disponibilità: un bel sentire.
Veniamo al sodo. Cerci è in pole.
"Giocatore forte e importante, e mi pare di aver capito (ride, ndr) che voglia tornare in Italia. Ci vuole un colpo di fortuna... L’esterno d’attacco è un obiettivo, poi vediamo come si evolverà il mercato di gennaio. Dobbiamo seguire chi non gioca, chi non è motivato ed è infelice dove si trova. Cerci ha difficoltà a Madrid, non gioca, ma forse se l’Atletico l’ha preso è perché ha un progetto anche attorno a lui. Quante possibilità ci sono di prenderlo? Ci siamo dietro da tempo. Diciamo alte, ma lo diciamo piano".
Lavezzi?
"Nel calcio può succedere di tutto. Lui è un big, conosce la serie A ma è pur sempre del Psg. A giugno? Chissà (ride, ndr)".
L’egiziano Salah?
"Giovane molto interessante".
Perisic vi piace, esatto?
"Sì. Buon giocatore, profilo giusto: poi nemmeno lui è facile da prendere".
Centrocampo: Lucas Leiva? Capoue?
"Il brasiliano è sempre un big, la sua esperienza ci sarebbe utile. Ma è sempre del Liverpool, vediamo... I club non mollano facilmente".
Può darsi che ci siano cessioni per arrivare a un obiettivo?
"Beh, sì, nel calcio succede: magari con un’uscita importante puoi acquistare giocatori che creino una base anche per il futuro, giovani o meno".
E gli obiettivi immediati sono: prendere un giocatore entro il 6 gennaio per poi magari tenerlo a giugno.
"L’idea è quella".
La situazione-Guarin com’è?
"Fredy ha tante qualità, e quell’anarchia che ha addosso può perderla solo lavorando".
Mancini, c’è chi ha ipotizzato una clausola nel suo contratto. Di uscita e in caso di non-Champions.
"Mai fatta. Non esiste alcuna clausola. E se la Champions non arrivasse non sarebbe un dramma. Ci si riproverà. Di certo faremo il possibile e l’impossibile per arrivarci".
Faccia un Buon Natale a Mario. Perché, attorno, sembra avere sempre più gente che lo schiva?
"Beh, c’ha messo anche un po’ del suo… Credo che Mario debba passare un buon Natale, e che ritorni ad essere com’era. Se tornasse forte com’era un tempo, prima o poi lo rivorrei. Dipende tutto da lui".
Kovacic non dà l’idea di potersi… cestinare.
"E’ un ragazzo dalla faccia pulita e un bravissimo giocatore. Cosa voglio da lui? Che si diverta a giocare a calcio e che segua il suo percorso di crescita naturale, come uomo e fisicamente".
Non c’è giocatore che non dica quanto segue: «Mancini ci ha cambiato la mentalità».
"Le racconto questa: quando arrivai a Manchester eravamo i cugini noisy, rumorosi. Bolingbroke può confermare... All’Old Trafford i tifosi dello United esponevano sempre uno striscione, e lo facevano ogni stagione con gli anni da cui non vincevamo nulla, quindi 36 anni senza vincere, poi 37. Arrivai quando eravamo settimi, nel 2009. Allora ai ragazzi e alla società dissi: “Facciamo sparire quello striscione”. Abbiamo conquistato coppa, campionato e cambiato le gerarchie di Manchester. Qui all’Inter si può fare la stessa cosa".
Il suo primo discorso alla squadra: «Voi contate quanto me».
"Ho detto ”voi contate più di me”: ed è così".
Si può dire che lascerà questa Inter solo per la Nazionale?
"Non lo so, nel calcio spesso succedono cose inattese. Io non pensavo nemmeno di essere qui e invece sono tornato a Milano, dieci anni dopo. Ed è stato come ritrovare un affetto, casa. Detto questo, se in futuro dovesse arrivare l’azzurro, sarebbe un onore".
Quei giorni in cui dal martedì 11 novembre c’era un suo nì a giovedì 13 quando ha detto sì, cos’è successo? Che ore sono state?
"Momenti belli, intensi, il martedì avevo detto “ne parliamo”, poi ho detto sì. Si è svolto tutto in tre giorni, ma mi è parso un mese: ore lunghissime, non passavano mai, ma belle".
Ma cosa le ha promesso Thohir per farle dire quel sì?
"La prima cosa che mi hanno detto è stata: “Guarda che non abbiamo una lira, ma ti vogliamo”. Io? Io non c’ho creduto, al fatto delle... lire, e ho detto di sì: perché l’affetto che mi lega a quest’ambiente è forte, perché l’idea di affrontare una cosa difficile mi ha esaltato e perché quando arriva l’Inter, beh. è l’Inter".
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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