Il prossimo 29 novembre, direttamente dal presidente Mattarella, Astutillo Malgioglio riceverà l'onorificenza al merito per il suo impegno ormai di anni e anni in aiuto ai bambini disabili e alle loro famiglie. "L’ho saputo due giorni fa. Ho già ricevuto talmente tanto dalla mia vita, che non penso di meritare anche questo - dice alla Gazzetta dello Sport -. Non so se sono degno di ricevere questa onorificenza, voglio condividerla con le famiglie di quegli angeli che mi hanno dato la possibilità di fare la cosa più bella del mondo: aiutare il prossimo. E ogni volta che ci riesco, mi sento l’uomo più fortunato della Terra. Quando ho ricevuto la notizia ero con i genitori di un bambino disabile, si sono commossi e questo per me è il senso di tutto.
Malgioglio, vice di Zenga nell'Inter scudettata con il Trap, ricorda: "Avevo 19 anni ed ero titolare del Brescia in Serie B quando, grazie ad un amico, visitai per la prima volta un centro per disabili. Mi impressionò la loro emarginazione, l’abbandono - racconta -. Fu un’emozione fortissima, un pugno nello stomaco. I miei genitori si sono sempre impegnati nel sociale, mi avevano già “insegnato” il rispetto e la solidarietà verso gli altri, ma quel giorno tutto mi apparve chiaro. La vita non poteva essere solo una palla di cuoio che rotola. Mi sono messo a studiare e mi sono specializzato nei problemi motori dei bambini. Poi col primo ingaggio ho aperto una palestra, ERA 77, dalle iniziali dei nomi di mia figlia Elena nata nel 1977, di mia moglie Raffaella e del mio. Lì offrivamo terapie gratuite ai bambini disabili. Li aiutavamo a camminare, a muoversi da soli. Nel calcio sono sempre stato un sopportato. È un mondo che gira solo intorno a se stesso e ai suoi piccoli drammi della domenica; ogni voce fuori dal coro è un pericolo. In tutta la carriera non ho mai saltato un allenamento. Ero uno di quelli che si definiscono “professionisti esemplari”. Eppure, spesso, non bastava. Qualsiasi altro interesse diverso dal pallone viene visto come una pericolosa distrazione, anche quando aiuti dei ragazzi disabili. Avevo sempre gli occhi di tutti puntati addosso. Dovevo rendere al 110% per non sentire le chiacchiere odiose di chi davanti a un errore in campo magari commentava «Quello pensa agli handicappati invece che a parare...». Per anni ho fatto la spola tra il campo d’allenamento e la mia palestra a Piacenza: nessuno stress, nessuna distrazione, solo la sensazione di essere un uomo migliore".
Famoso lo striscione in curva laziale: "Tornatene dai tuoi mostri" durante un match perso in casa. E al termine della partita, Malgioglio si sfilò la maglia e la calpestò in segno di protesta. "Mi fa male tornare su questo episodio. Non rifarei quel gesto. Solo io e la mia famiglia sappiamo la sofferenza provata. Quello che mi ferì di più non furono le cattiverie nei miei confronti ma la mancanza di rispetto, di solidarietà, di umanità per quei bambini sfortunati che non c’entravano niente. Il giorno dopo a Piacenza rividi i genitori di quei bimbi. Incrociando i loro occhi, non sapevo cosa dire. Molti di quei bambini non sono riusciti a diventare adulti", spiega l'ex portiere. Trapattoni lo chiamò all'Inter proprio quando pensava al ritiro, arrivato poi a 34 anni dopo l'esperienza all'Atalanta.
Dopo un periodo duro e la chiusura nel 2000 della palestra, Malgioglio ha intrapreso un percorso alternativo: seguire i casi più gravi a domicilio. "E questo mi ha aperto un mondo umanamente ancora più intenso e appagante: perché siamo entrati a far parte di queste famiglie, abbiamo condiviso sofferenza, dolore, ma anche sorrisi, miglioramenti e risultati, riuscendo a capire meglio e a vivere sulla pelle la loro situazione e la disabilità. Il rimpianto per la chiusura della palestra è stato sostituito da questo infinito bagaglio umano che ha riempito definitivamente la nostra vita - racconta -. Non rimpiango nulla e mi sento un uomo enormemente fortunato".
Malgioglio, vice di Zenga nell'Inter scudettata con il Trap, ricorda: "Avevo 19 anni ed ero titolare del Brescia in Serie B quando, grazie ad un amico, visitai per la prima volta un centro per disabili. Mi impressionò la loro emarginazione, l’abbandono - racconta -. Fu un’emozione fortissima, un pugno nello stomaco. I miei genitori si sono sempre impegnati nel sociale, mi avevano già “insegnato” il rispetto e la solidarietà verso gli altri, ma quel giorno tutto mi apparve chiaro. La vita non poteva essere solo una palla di cuoio che rotola. Mi sono messo a studiare e mi sono specializzato nei problemi motori dei bambini. Poi col primo ingaggio ho aperto una palestra, ERA 77, dalle iniziali dei nomi di mia figlia Elena nata nel 1977, di mia moglie Raffaella e del mio. Lì offrivamo terapie gratuite ai bambini disabili. Li aiutavamo a camminare, a muoversi da soli. Nel calcio sono sempre stato un sopportato. È un mondo che gira solo intorno a se stesso e ai suoi piccoli drammi della domenica; ogni voce fuori dal coro è un pericolo. In tutta la carriera non ho mai saltato un allenamento. Ero uno di quelli che si definiscono “professionisti esemplari”. Eppure, spesso, non bastava. Qualsiasi altro interesse diverso dal pallone viene visto come una pericolosa distrazione, anche quando aiuti dei ragazzi disabili. Avevo sempre gli occhi di tutti puntati addosso. Dovevo rendere al 110% per non sentire le chiacchiere odiose di chi davanti a un errore in campo magari commentava «Quello pensa agli handicappati invece che a parare...». Per anni ho fatto la spola tra il campo d’allenamento e la mia palestra a Piacenza: nessuno stress, nessuna distrazione, solo la sensazione di essere un uomo migliore".
Famoso lo striscione in curva laziale: "Tornatene dai tuoi mostri" durante un match perso in casa. E al termine della partita, Malgioglio si sfilò la maglia e la calpestò in segno di protesta. "Mi fa male tornare su questo episodio. Non rifarei quel gesto. Solo io e la mia famiglia sappiamo la sofferenza provata. Quello che mi ferì di più non furono le cattiverie nei miei confronti ma la mancanza di rispetto, di solidarietà, di umanità per quei bambini sfortunati che non c’entravano niente. Il giorno dopo a Piacenza rividi i genitori di quei bimbi. Incrociando i loro occhi, non sapevo cosa dire. Molti di quei bambini non sono riusciti a diventare adulti", spiega l'ex portiere. Trapattoni lo chiamò all'Inter proprio quando pensava al ritiro, arrivato poi a 34 anni dopo l'esperienza all'Atalanta.
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