"La gente va a occhi chiusi al Real Madrid. A me sembrava più spettacolare l'Inter. In questo ha a che fare Faustino Asprilla, che ci faceva alzare presto per vedere il calcio italiano. Era il campionato migliore del mondo, e pensare che avrei giocato al fianco di Ronaldo, Baggio, Zanetti...". Parole e ricordi di Ivan Ramiro Cordoba, intervistato dalla rivista colombiana Soho. L'ex difensore e poi team manager nerazzurro ha narrato tappe e retroscena della sua esperienza a San Siro.
REAL O INTER - "Sono stato venduto per 17 milioni di dollari. Il presidente del San Lorenzo venne da me il giorno prima: "Ivan, il Real pagherà 20 milioni e ti darà più soldi". Gli risposi che mi dispiaceva, ma io avevo già deciso".
IL RAPPORTO CON ZANETTI - "Il primo giorno mi disse: "Vieni a casa mia e passiamo un po' di tempo insieme, così non rimani rinchiuso in albergo". Questo ci aiutò, soprattutto mia moglie che era incinta. Aveva la compagnia della moglie di Javier, Paula, così io potevo concentrarmi sulle mie cose".
LA PRIMA PARTITA - "È stata in casa, contro il Perugia, vincemmo 5-0. Ricordo l'ingresso allo stadio. Sette anni prima collezionavo le figurine di Italia '90 e mi mancava quella del Giuseppe Meazza... Ho pensato a questo e mi sono detto: "Incredibile!" I tifosi mi hanno accolto bene. Lì i giocatori sono ben voluti ancora prima di arrivare. Non c'è bisogno che il giocatore conquisti subito la curva. Il pubblico canta subito il tuo nome e ti appoggia".
I NUMERI - "Ho iniziato con il 21, perché il 2 era occupato da Christian Panucci. Quando arrivai mi disse: "So che a lei piace il 2, però stia tranquillo perché a breve io andrò via e glielo lascio". Così dopo sei mesi ce l'avevo io".
IL PRIMO ANNO CON LIPPI - "Fu una stagione tramautica. Non riuscimmo a qualificarci per la Champions, ci eliminarono dalla Coppa UEFA e al di là di questo fummo sconfitti dalla Reggina in un match che non potevamo perdere. Fu lì che il mister disse: "A questi giocatori bisognerebbe metterli al muro e prenderli a pedate...". Il giorno dopo non era più il nostro allenatore".
L'ARRIVO DI TARDELLI - "Con lui fu un anno molto difficile perché non aveva esperienza come tecnico. Non sapeva come gestire il gruppo e ci dava poche idee. A un certo punto eravamo penultimi. Quando fummo eliminati dalla Coppa UEFA i tifosi ci lanciarono i seggiolini in campo e non ci lasciavano uscire dallo stadio. Allora andammo io e Zanetti a metterci la faccia per calmare gli animi. Una volta lanciarono una molotov verso il bus. Eravamo dentro quanto sentimmo il botto. Dicevano che sarebbero potuti essere tifosi dell'Inter o del Milan per creare confusione, questo non si seppe mai. Stavamo messi molto male, eravamo penultimi e l'Inter è l'unico club in Italia a non essere mai retrocesso".
UNA DIFESA IN DIFFICOLTÀ - "Io ero uno dei tre difensori e giocavo a destra. Laurent Blanc giocava a centro e Simic a sinistra. Erano marcature a uomo, così a uomo che se l'attaccante andava a prendere dell'acqua io dovevo seguirlo. Quindi si creava un buco per l'altra squadra e noi perdevamo e perdevamo... Poi Zanetti, Blanc, Peruzzi, insomma i leader organizzarono una riunione. Ai difensori ci chiesero come ci sentivamo e io dissi che se avessimo giocato a quattro avremmo avuto più copertura. Informarono il mister, lui cambiò schema e la squadra iniziò a migliorare parecchio, fino ad arrivare al sesto posto".
IL PRIMO DERBY - "Io non vedevo l'ora di scambiare la maglia con Maldini. Lo ammiravo moltissimo. Quandò fini la partita andai di corsa a domandargliela. Quella fu la prima maglia che scambiai. Non ho mai polemizzato con i tifosi del Milan. In campo non mi risparmiavo con interventi decisi, però ero sempre leale. Ancora oggi mi fermano dicendomi: "Anche se sono del Milan facciamo una foto. Sei un grande"".
IL PRIMO TROFEO - "Mi toccò alzare la coppa a San Siro con lo stadio pieno, contro la Roma. Era la Coppa Italia del 2006, Javier non giocava e io ero il capitano. Erano sette anni che l'Inter non vinceva. Quando al presidente Moratti chiesero cosa pensasse della celebrazione rispose: "Molto bella, però un po' esagerata, quasi come una Champions...".
ADDIO VICINO - "Tanti giocatori lasciarono l'Inter, io resistetti. Il mio agente voleva portarmi alla Lazio, in quel momento la squadra più forte e più potente dal punto di vista economico in Italia, ma io gli dicevo: "Non mi muovo senza aver vinto nulla di importante". Però sono stato vicino all'addio. Nel 2010, prima di vincere tutto. Non giocavo quasi mai. Mancini allenava il Manchester City e mi chiamò, mi voleva lì. Parlai con Moratti, lui mi disse: "Ivan, se fosse per me ti lascerei andare, però Mourinho mi liquida. Ha una grande immagine di te, dice che sei un vero professionista e un esempio. Ti prego di restare". Così feci e nei successivi sei mesi giocai molte partite in campionato e in Coppa Italia, anche se meno in Champions".
MOURINHO - "Lui è un mondo diverso, una bibbia. Abbiamo avuto un rapporto di stima e rispetto. Gli dicevo le cose in faccia, non mi sono mai nasconto nemmeno nelle situazioni più scomode. Per questo ci scontravamo, ma è stata una cosa positiva perché faceva parte di una comprensione reciproca. Alla fine me lo riconobbe. Mi schierò in finale di Coppa Italia, la prima finale dei tre titoli per cui eravamo in gioco. Mi infortunai a entrambe le gambe nel primo tempo. Pensavo già alla finale di Champions, era quindici giorni dopo e io me la sarei persa. Però Mourinho mi disse: "Tranquillo, hai fatto tanto per arrivare fin qui, ti sostituisco". Mi misi in panchina e mi infiammai nonostante il dolore, indimenticabile. Ricordo tutto, quando Javier alzò la Coppa io lo afferrai e appoggiai la testa sul suo petto, come se ci passassimo dell'energia per quello che avevamo raggiunto".
MURILLO 'NUOVO CORDOBA' - "Lo spero. Ha le qualità per fare bene nell'Inter. Lì è consentito sognare".
Autore: Daniele Alfieri / Twitter: @DaniAlfieri
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