Protagonista di una chiaccherata via Instagram con Performance Training Studio, Cristian Chivu, ex difensore dell'Inter, spiega tra le varie cose quale è stata la sua evoluzione sul piano tattico: "L'altro giorno, in un'intervista o in una lettera avevo detto che fino a 14 anni giocavo da punta, poi negli anni ho cambiato diversi ruoli. Ciò mi è servito perché così allenavo il cervello, sono situazioni diverse da ruolo a ruolo. All'Ajax, poi, ti insegnano sempre calcio a prescindere dal ruolo in cui giochi. Anche se sei terzino, ti impongono allenamenti anche da prima punta. Queste cose ti permettono di migliorarti senza importi cose già pensate.  Il calcio non si gioca senza testa, non si può guardare solo la palla. Per me risultava facile giocarla su Wesley Sneijder, conoscevo i suoi movimenti e lui conosceva le mie qualità. Ci fidavamo reciprocamente dell’altro". 

C'era qualche rito prepartita nelle sue abitudini? "A volte si parla, ma si parla poco perché nessuno ammette di avere scaramanzie, che noi chiamavamo routine... Ne avevo eccome, all'inizio no ma dopo l'arrivo a Roma ho sentito varie storie. A volte ti accorgi di esagerare nelle cose che fai, quindi inizi a lottare anche contro te stesso: sapevo la storia del gatto nero e quando ho conosciuto mia moglie, la prima volta che sono andato a casa dai suoi, ho scoperto che ne avevano uno... Riti scaramantici comunque ne avevo: usavo le stesse mutande in partita, avevo rituali nel mettere le calze o nell'andare in bagno a bere un caffè o fumare. Sono cose che ti condizionano nel bene e nel male, se non le fai alla fine trovi l'alibi. Ti aiutano comunque a mantenere la lucidità giusta in partita, se non le fai vuol dire che giochi male. Ti condizionano, meglio non averle ma le hanno in tanti". Chivu ha anche belle parole nei confronti di Sebastiano Esposito, la giovane stella nerazzurra che si presenta tra gli spettatori: "E' giovane ed ha tanto da imparare, anche se ha la possibilità di farlo in una squadra di professionisti di altissimo livello. Così può capire quali sono le richieste. Poi, senza umiltà e sacrificio il talento non basta per fare una grande carriera. Mi sarebbe piaciuto incontrarlo: le giocate le ha, non a caso è già nell’Inter dei grandi. Credo che abbiamo fatto anche un allenamento insieme, penso fosse di posizione. Forse in partita lo avrei menato, perché i difensori per far vedere la loro cattiveria agli attaccanti danno di tutto nei primi 10 minuti". 

Cosa comporta essere allenatore delle giovanili? "Da allenatore cambia la prospettiva, sei responsabile di 22-23 ragazzi. Noi allenatori abbiamo l'obbligo di farli crescere come calciatori ma anche e soprattutto come persone. Parlo di molte cose che non c'entrano nulla col calcio prima degli allenamenti perché abbiamo l'obbligo di trasmettere loro la realtà della vita, poi l'obiettivo è consentire loro di raggiungere loro un certo livello. Molti sognano la Serie A, anche se in pochi ci riusciranno. Ma questo non vuol dire che non possano apprendere gli insegnamenti della vita, perché l'obiettivo è insegnare loro a diventare uomini e aiutarli a ragionare su cosa vogliono fare da grandi. Penso che stiamo facendo un grande lavoro, se riesci ad abbinare passione e la volontà di migliorare è meglio". 

Sezione: Copertina / Data: Ven 17 aprile 2020 alle 19:21
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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