Il secondo ciclo della Figc presieduta da Giancarlo Abete è iniziato bene o male come si concluse il primo: male. Ma questo non è avvenuto tanto per i risultati sul campo quanto per il primo provvedimento generato dall’Abete-bis, ovvero la riduzione a un solo nuovo giocatore extracomunitario ingaggiabile da ciascuna squadra di Serie A, contro i due fin qui previsti. Una decisione presa in fretta e furia, accolta con grandi polemiche dai club del massimo campionato, che devono in questo modo rivedere drasticamente i loro piani di mercato. La Figc ha inoltre congelato 24 milioni di Euro di finanziamenti previsti per le società di A e B, che verranno destinati alla tutela e al rinforzamento dei vivai. Ma della tempistica del provvedimento, o dei toni coi quali Beretta o Zamparini hanno commentato la decisione della Federazione, è bene parlarne in separata sede.
Lascia invece un po’ basiti però la sostanza della delibera federale: questo, a loro dire, sarebbe il primo passo della rinascita del calcio italiano dopo la pessima figura del mondiale sudafricano. Ma, lasciatemelo dire, delle tante idee che potevano essere avanzate, questa sembra decisamente quella più scarna, quasi ‘di facciata’, una soluzione di ripiego che in fin dei conti non fa altro che danneggiare i club senza dare garanzie in senso assoluto nemmeno ai giovani italiani: i dodici (ebbene sì, questa temuta ondata di nuovi giocatori provenienti da oltreconfine si compone di ben dodici elementi!) posti possono essere presi benissimo da altrettanti giocatori dell’area UE e buonanotte ai suonatori. Semmai, questa è la conferma di un sistema, quello calcistico, che mette a nudo le sue fragilità: un sistema ingolfato da 132 squadre professionistiche (quest’anno però, almeno in Lega Pro, potrebbe esserci una ‘cura dimagrante’) addirittura più di quelle che giocano i campionati americani di baseball, football, hockey e basket messe insieme; e che si regge su un regolamento che più che unire disgrega le parti, rendendo le fondamenta sempre più traballanti.
Si dirà che questo è un tentativo, magari rabberciato alla bene e meglio, di difendere l’Inter, da sempre bersagliata da una critica che ormai sta diventando un assillante luogo comune, quello della scarsa presenza di italiani in squadra. Nossignori, qualora lo pensiate, state sbagliando di grosso, non solo perché l’Inter, come ha sottolineato Marco Branca dalle pagine della ‘Gazzetta’, da questo punto di vista sta procedendo in maniera inappuntabile, sia sul piano del mercato (Ranocchia e Faraoni vi dicono qualcosa?), ma anche col lavoro del settore giovanile orchestrato magistralmente da Piero Ausilio (e poi, personalmente non mi sembra che le altre squadre abbiano fatto un eccezionale sfoggio di talenti del proprio vivaio, o stiano pensando di fare dei propri ragazzi i pilastri della prima squadra, vedi ad esempio Immobile e Marrone che la Juve ha ceduto al Siena in B in cambio di tre ragazzi da inserire nelle giovanili). Semmai, l’Inter ha centrato bene qual è il vero problema, commentando la scelta come “una reazione da provinciali al flop mondiale”.
No, questo più che altro vuole essere un invito alla nuova Lega di Serie A a prendere il toro per le corna: se questi regolamenti appaiono come restrittivi e forzati, se i club soprattutto vogliono come auspicato una lega più forte, che possa avere nuovi poteri, che possa avvicinarsi al modello Premier League, comincino adesso a fare un passo verso una nuova autonomia gestionale. Si cominci a costruire da qui un campionato nuovo, forte, indipendente, che si relazioni alla Figc il minimo indispensabile ma che adotti regole più funzionali alle loro esigenze e soprattutto atte a ridare maggiore dignità e spettacolarità alla Serie A. Insomma, si cominci da qui a pensare davvero ad una lega ‘moderna’, forte, che possa tornare a competere ad armi pari con le altre Leghe europee. Perché, con tutto il rispetto per le intenzioni della Figc, i grandi club non possono accollarsi tutto il peso della tutela dei vivai e dei giocatori nostrani; questi sono compiti che vanno svolti alle basi, nelle categorie inferiori. I giovani vanno lanciati a grandi livelli, ovvio, ma non per partito preso, bensì per meriti acquisiti.
Questa è una svolta che però va fatta con coraggio, e soprattutto, senza pensare all’interesse particolare ma a quello generale, ovvero quello di creare un campionato ad altissimo livello che possa tornare ad attrarre il pubblico negli stadi. Per una Lega moderna questo deve essere un obiettivo basilare. Perché, alla fine, certi problemi si risolvono con soluzioni nette, non partorendo topolini dalle montagne (come ha detto il presidente di Lega Beretta a proposito della nuova regola) o cercando, come ha fatto il capitano della nave azzurra naufragata miseramente, di coprire la figuraccia mondiale del nostro Paese usando come scudo chi invece l’Italia, almeno a livello di club l’ha fatta brillare.
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