Non è mai facile pronunciare un addio, o meglio un arrivederci. Salutare un campione che ti ha dato tanto negli anni più bui per poi vedere la luce fiero di portare quei due colori addosso, orgoglioso di tatuarsi l'Inter sulla pelle non una ma più volte, straofrdinariamente amato da chi la Beneamata la porta dentro perché lui è semplicemente uno di noi. Saluta l'Inter uno che per quella maglia che in tanti tradiscono, o che mettono in discussione perché "il futuro è nelle mani di Dio", avrebbe dato l'anima. Lui che "avrebbe dato un rene" per vincere un derby, lui che quando sentiva aria di rossoneri si esaltava, lui che era criticato da tutto il mondo del calcio e continua ad esserlo oggi dagli stessi che però magari cantavano il suo nome quando è stato meraviglioso protagonista del Mondiale vinto in Germania. Lui che ha esorcizzato il 5 maggio a suon di gol, lui che ad ogni rete è sempre presente per ogni esultanza, lui che difende l'Inter contro tutto e contro tutti fregandosene delle critiche dei buonisti. Lui è Marco Materazzi, che ci saluta.
Mi fa strano anche dirlo, mi tremano le dita. Custodisco ancora gelosamente una sua maglietta, il numero 23 mi è entrato nel cuore da subito, quando vedevi quel guerriero insanguinato uscire dal campo e beccarsi pure appellativi come quello di 'Macellazzi'. Non riuscirei mai a dimenticare le sue punizioni ai tempi di Cuper, il suo record di gol nella stagione dello scudetto in pompa magna, le sue esultanze strampalate, la sua rovesciata contro il Messina, la 'pulizia delle scarpe' a Luis Figo, la rete nel derby e il suo Mondiale che era scritto nel destino, perché era un incantesimo. Compatisco chi critica Marco Materazzi, perché significa che non lo conosce. Marco non farebbe male neanche a una foglia, Marco è uno che quando ha uno dei suoi figli tra le braccia perde la testa, gli occhi iniziano a diventargli lucidi, proprio come quando guarda sua moglie di cui è innamoratissimo, o come quando esulta sotto la Curva Nord. Quella è la sua casa. Nerazzurra non è la sua maglia, è la sua pelle.
Lui che si è emozionato come un bambino ad ognuna delle recenti vittorie, da straordinario protagonista o da gregario fondamentale per lo spogliatoio. Tutto questo perché Marco c'è stato e ha amato alla follia l'Inter nel momento più terribile della nostra storia recente, credendo di poter un giorno realizzare quei sogni che negli ultimi cinque anni sono diventati realtà. Marco è un uomo che nella vita ha vinto, e non solo trofei. Materazzi vince ogni maledetta domenica, quando gli ignoranti che compatisco gli cantano 'Materazzi figlio di putt...' e lui riesce a contenersi. La mamma lui l'ha persa da piccolo, a 15 anni, e la cerca ancora nel cielo come accadde a Berlino, o dopo ogni gol. Mi ha sempre affascinato il Marco uomo, che a queste meschine provocazioni replica chiedendo di insultare magari lui in persona, ma non chi non c'è più. La sua è una ferita ancora aperta, la ferita di un uomo straordinario che incarna l'interismo, oltre che di un calciatore che ha giocato a livelli altissimi per anni e che adesso decide di andare a spendere l'ultimo gettone valido della sua carriera da giocatore in un club che gli permetta di divertirsi ancora sul campo.
E' un arrivederci, dunque, quello che porgo al mio idolo di sempre e all'idolo di tutta la Nord. L'idolo che viene osannato anche quando non è neanche in panchina, l'idolo che l'Inter la ama. Lo so, ci rivedremo presto Marco, perché il buon Matrix tornerà a fare il dirigente tra un anno. Ma posso garantire che a non vedere più le sue facce, le sue emozioni, le sue esultanze, le sue incornate sui calci d'angolo e quel numero 23 in mezzo al campo, non riuscirò proprio ad abituarmi. E allora grazie di tutto guerriero, non ti dimenticheremo mai e non ci dimenticherai mai. In realtà siamo ancora legati, lo saremo per sempre, saremo ogni domenica pazzi per Materazzi. Già, l'Inter e Marco Materazzi. Non questione di contratti, questione di pelle. Questione d'amore.
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