Partiamo da qui. Partiamo da questa giornata pazzesca di campionato delle tartarughe. Avanti piano, pianissimo. Tranne Lazio, Milan, Bologna, e ovviamente Catania, sembra il gioco dell’oca, una casella alla volta. Il punto è che noi siamo indietro, i dadi non girano dalla parte giusta. Viene fuori sempre zero. Eppure ancora una volta questa sfilza di pareggi altrui significa molto. Prima di tutto che si tratta di un campionato pazzo e affascinante, imprevedibile e ancora indecifrabile. E poi che l’Inter non è ancora fuori, anche se siamo in piena zona retrocessione. Brividi lungo la schiena, scongiuri, incredulità. Ma è tutto vero. Quattro punti in sei partite. Abbiamo avuto la possibilità di dare la colpa a Gasperini (giustamente), poi agli arbitri (giustamente), ora ai giocatori (giustamente). L’unico che si salva, per insufficienza di prove, e anche perché può mettere al suo attivo due primi tempi positivi (Napoli e Catania) e una ottima partita in Russia, è Claudio Ranieri. Impassibile, onesto, per niente vittimista. Ma tenace nella sua fiducia, determinato a far girare i dadi dalla parte giusta. E obiettivamente incolpevole.
Allora proviamo a mettere in fila le ragioni della speranza. Sono molto seccato, in queste ore, per la sensazione, sgradevole, di una sorta di compassione generale, da parte degli “altri”: tifosi milanisti che non riescono neppure a sfottere, giornalisti che frenano la penna e la lingua. Non mi piace la commiserazione, non è bello che l’Inter venga compatita, che si parli di noi come di una grande decaduta, alla fine di un ciclo, destinata solo a soccombere, o perfino a soffrire per salvarsi da una impronunciabile sentenza, che non ci ha mai riguardato, e che non ci sfiorerà neppure quest’anno.
Non mi piace essere compatito. Mai nella vita. E lo dico ben sapendo il peso delle parole, da persona che vive a rotelle, e che non per questo vuole essere giudicato, o aiutato. So bene quanto pesi, nelle persone, nel carattere, nel cuore, l’umiliazione della pacca sulla spalla, del sorriso di compatimento. L’Inter non è questa roba qua. L’Inter è orgoglio, è sofferenza, è grinta, è coraggio, è qualità. Ora a queste doti storiche dobbiamo aggiungere l’umiltà. Affrontare ogni partita come se fossimo gli ultimi della classe, e non i primi. Sarebbe giusto che i nostri ragazzi scendessero in campo con una maglia nerazzurra senza i simboli dei trionfi passati e recenti. Via i lustrini, via le patacche. C’è solo l’Inter, la sua storia, il suo cuore.
E mai come adesso è indispensabile che i tifosi si stringano attorno alla squadra e alla società. Mi rendo conto che non è facile. Ma è necessario ripartire dall’umiltà che ci ha permesso di crescere e di vincere, anno dopo anno, uscendo dall’incubo dei campionati falsi. Umiltà e rabbia, determinazione e fiducia. Un po’ più di spazio a qualche giovane che se lo merita, un po’ più di turnover fra gli intoccabili, perché ora si vede che hanno paura, che non si fidano di se stessi, che si muovono per il campo cercando di ricordare le giocate magiche del passato. Un ciclo forse è finito, anzi, sicuramente è finito. Ma questo non significa che l’Inter non sia, ancora adesso, una delle migliori squadre in Europa.
Dal punto di vista tecnico io punterei su reparti corti, un centrocampo più grintoso a sostegno di una difesa in emergenza, e attaccanti pronti a raccogliere, come in passato, intuizioni e lanci, al centro come sulle corsie laterali. Pazzini e Milito non possono ragionevolmente essere scomparsi nel fango e nella pioggia di Catania. Il rientro di Sneijder può essere determinante per aprire varchi improvvisi, per illuminare anche singoli frammenti di gioco.
Dobbiamo tornare a difendere e ripartire, restando corti e compatti, attenti e feroci nell’interdizione. Per il calcolo delle probabilità prima o poi troveremo un arbitro decente. In Europa forse è più facile, in Italia meno. Ma succederà. E poi i nostri devono cominciare a porsi alcuni obiettivi precisi per questo campionato. Il primo, capace di restituire il sorriso ai tifosi, è quello di vincere gli scontri diretti nelle classiche, nei confronti diretti. Ce la possiamo fare. Con calma. Cominciando almeno da un secondo tempo degno del nostro passato anche recente. A Lille, ad esempio, tanto per confermare la cabala e dare un senso statistico alla sconfitta di Catania. E poi in casa con il Chievo. Due vittorie, adesso, subito. E poi, con calma, ragioneremo. Tutti insieme.
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