Il masochismo è una componente caratterizzante dell'interismo. Ogni ciclo e stagione, ogni allenatore e ogni squadra hanno avuto la tendenza all'autolesionismo, come una spada di Damocle sempre pericolosamente oscillante anche su annate vincenti. Una sorta di fantasma sempre pronto a spaventare gli interisti, certi che la propria squadra potesse farsi male in qualunque momento, potesse sempre crollare sul più bello. Lo stesso Mancini, uno che i trofei li ha portati eccome a Milano, rischiò di impantanarsi nel fango di Parma nel 2008 e offrire gentilmente lo scudetto a una Roma forte ma non paragonabile alla corazzata nerazzurra di quegli anni. Anche perché allora c'era un maghetto scaccia-paure di nome Zlatan che con i suoi colpi anti panico allontanava fantasmi e paure, almeno in campionato.
Ora di fenomeni che da soli cambiano la partita e fanno svoltare la serata dal dramma alla gioia in pochi attimi non ce ne sono, con buona pace dei pur talentuosi Jovetic, Ljajic e Brozovic. Questa squadra ha bisogno di spingere sempre al massimo, di scendere in campo con un livello di agonismo da saper sapientemente e difficilmente dosare evitando che sfoci nell'isterismo finale di Melo di ieri sera ma che nello stesso tempo non ristagni nel molle e fiacco atteggiamento avuto per la maggior parte della gara. Questa Inter deve sempre avere il coltello tra i denti senza mai sentirsi appagata, senza mai credere di aver ottenuto qualcosa perché non ha ancora la qualità e la maturità per poter mollare anche un solo centimetro. Altrimenti si cade.
Mancini nel post partita ha confessato di aver notato un atteggiamento strano già durante il riscaldamento e di aver avuto la tentazione di fare un cambio dopo soli 25 minuti. Ecco, il cambio andava fatto e altri sarebbero dovuti seguire nell'intervallo. Era palese che l'Inter di ieri sera non girava, che Montoya, Melo e Jovetic non erano in serata. E allora il segnale andava dato subito. Un rischio enorme, certo, ma pensare che quella squadra con quell'atteggiamento potesse portare a casa la vittoria è stato un rischio anche più grande. Contro Fiorentina, Napoli e Lazio i nerazzurri hanno perso subendo sempre gol nei minuti iniziali: vuol dire che, a volte, l'approccio è sbagliato e l'inesperta banda manciniana non se lo può permettere. Se accade, serve la punizione esemplare ovvero un cambio anche dopo 20 minuti, la bocciatura forse peggiore e più umiliante per un calciatore ma certamente l'insegnamento migliore per un gruppo condannato a stare sempre sul pezzo.
Un solo allenatore non avrebbe avuto, e non aveva, paura di farlo: Mourinho. Il solo ad aver allontanato per un paio di stagioni il masochismo dall'interismo, il solo ad aver dato così tante certezze da scacciare i fantasmi, persino quelli del 5 maggio, facendoli dimenticare e persino rendendoli altro, ovvero l'inizio del sogno Triplete. Certo, lo Special One aveva ben altri giocatori tra le mani ma di fronte a certi errori, di sufficienza soprattutto, non perdonava niente a nessuno. Era il primo a difendere i suoi giocatori ma anche il primo a metterli alla gogna, anche mediatica come successe a Maxwell dopo una sconfitta a Bergamo, di fronte all'evidenza di errori assurdi e disattenzioni costate care. Un po' più di polso a sana cattiveria mourinhiana servirebbero a un gruppo che se non rende sempre al 100% fatica e perde punti.
L'Inter di Mancini dovrebbe somigliare caratterialmente a quella di José anche se il confronto tra le due squadre è evidentemente impietoso. Roby non può permettersi calciatori che giocano con leggerezza o perdono la testa causando la sconfitta della squadra. In un campionato così equilibrato ogni singolo punto può essere fondamentale e il confine tra una gara persa è una pareggiata diventare enorme. Per questo non serve solo accusare il Melo di turno in considerazione di una squadra che ha giocato male nella sua totalità. Sarebbe servito il coraggio, forse anche la sfrontatezza, di cambiare ben prima, quando era già evidente che serviva una scossa. Serviva e servirà un carattere alla Mourinho, uno che il rumore dei nemici lo sentiva e lo riconosceva bene. Quello stesso rumore che non si è fatto attendere alla prima vera stecca di Mancini. Ma la Scala del calcio è con lui e ieri sera i tifosi hanno applaudito una squadra che comunque sta facendo più delle aspettative. Perché il momento di continuare a crederci è proprio questo. Imparando dagli errori ma senza fare drammi o cadere nel masochismo.
Giulia Bassi
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