E’ tutto cominciato (o per lo meno, io l’ho vissuto in questa maniera), come una trovata, simpatica, carina e atta anche a stemperare i lugubri toni dei quali si era colorato il cielo un tempo nerazzurro. Ora tutto pare divenuto pesante, insostenibile e molto poco gradevole per chi negli anni ha imparato a soffrire per questa squadra e gioire per lei solo dopo tanti patimenti. Mi riferisco alla vicenda del piccolo Filippo, vero e proprio protagonista attuale del mondo Inter, più di quanto Diego Forlan o Wesley Sneijder avrebbero dovuto esserlo ieri sera a Marsiglia. Bisogna ammettere che chiunque, dopo l’ennesimo tonfo casalingo, abbia sorriso alla vista della foto del piccolo che reggeva lo striscione, venerdì scorso. Lì per lì lo abbiamo trovato divertente seppur nella sua semplicità. Ma pensandoci meglio, l’interista più navigato si è detto tra sé e sé ‘Io uno striscione del genere non lo avrei mai fatto reggere a un bambino’.

Lungi dal prendersela con il piccolo biondino dallo sguardo simpatico e dalla mente vispa. Il mandante dello striscione è qualcun’ altro. Filippo è solo l’esecutore del ‘delitto di esposizione’. A che pro tale striscione? Per avere gli obiettivi delle telecamere e dei fotografi? Per scatenare gare tra testate giornalistiche pronte ad affrontarsi per lo scoop di un’intervista esclusiva? Da idea simpatica, il tutto si è trasformato nei soliti stucchevoli sfottò che ci accompagnavano 10-15 anni fa. Abbiamo ancora una volta mostrato il fianco ai bontemponi dalla battuta facile, a coloro che facevano ridere con banalità del tipo ‘Cosa ci fanno gli interisti nell’orologio? I secondi’, a coloro che non aspettavano altro che risultati negativi che praticare lo sport più diffuso in Italia, la ‘Caccia all’Inter’.

Siamo tornati quelli ‘Simpatici e perdenti’, quelli presi in giro da chiunque. Come dice Beppe Severgnini, l’Inter è ‘Un esercizio per la vita’. Non lo è stato per il piccolo Filippo (non per colpa sua, lo ripetiamo) il quale si trova catapultato in una realtà che non ha compreso del tutto. L’interista vive con cuore e impeto, ha vissuto le sconfitte e ha pianto lacrime di gioia. Magari, quando il piccolo sarà più grande e leggerà la storia nerazzurra degli ultimi vent’anni, leggerà del 26 aprile 1998, della sconfitta contro l’Helsingborg, del 5 maggio 2002, della semifinale europea contro il Milan e tante altre debacle, penserà: "Che motivo c’era nel nell’esporre quello striscione? Da buon interista so che ci sono state tante cadute, tante vittorie, altre cadute e nuove vittorie. E’ questo il bello dell’Inter, la pazzia, portatori sani di diversità, camminare sempre a testa alta. La sofferenza è insita nel nostro dna, non esistono vie di mezzo. E di certo non saranno alcune sconfitte a scalfire il mio amore per questa squadra".

Forse Filippo ha già capito e magari oggi si sarà svegliato deciso ad andare a scuola e a stampare in faccia ai suoi compagni di classe il suo orgoglio nerazzurro. Magari, per farlo, avrà letto quanto diceva il compianto Giacinto Facchetti: “Ci sono giorni dove essere interista è facile, altri dove è doveroso e giorni dove esserlo è un onore". Oggi non è facile, Filippo, lo sappiamo tutti. Oggi è doveroso. Oggi più che mai è un onore, essere interisti.

Sezione: CALCI E PAROLE / Data: Gio 23 febbraio 2012 alle 12:00
Autore: Alberto Casavecchia
vedi letture
Print