"Seguo l'Inter da solo, senza distrazioni, per convogliare tutte le energie sui ragazzi. Sono abbastanza scaramantico. Tengo l’amo hawaiano che ciondola dalla collana stretto tra i denti e le dita incrociate nei momenti chiave. Un lavoraccio, ma fa parte dell’interismo, del credere di poter determinare le vittorie con certi gesti. Nell’anno del Triplete avevo una chitarra blu metallico usata, comprata da un amico, con battipenna nero. La tenevo sulle gambe durante una vittoria e da lì è sempre stata al mio fianco. Il terrore però mi ha preso quando sono andato a Madrid per la finale e non potevo portarmela dietro. Temevo che crollasse tutto, invece...". Lo dice Max Pezzali, il cantautore dalla nota fede nerazzurra.

Si aspettava un’Inter là in alto?
"No, non credevo che potesse fare così presto e così bene. Pensavo che scegliendo un allenatore come Spalletti l’idea fosse di costruire nel medio termine per essere competitivi tra un anno. Con la sua grandissima capacità di interpretare il calcio però ha avuto il merito di ridare vita sportiva a giocatori che non sapevano di averla. Quando vedi San Siro che inneggia a Nagatomo capisci che il mondo si è capovolto. Spalletti insegna calcio, ma a persone capaci di ascoltare e di sacrificarsi".

Chi è il giocatore simbolo?
"Ho visto tutti con una carica diversa, però direi Borja Valero: fa, briga, si sacrifica. Poi non è che venga tutto bene, ma c’è sempre. E Skriniar? Continuo a chiedermi dove sono vissuto per non avere capito che avevamo in casa il nuovo Samuel. In questo momento abbiamo un grande allenatore e una vera squadra, che è molto più importante che mettere insieme dei campioni".

Dove può arrivare l’Inter?
"L’interismo esistenzialista vede qualsiasi cosa per il futuro, anche il baratro. Mentre l’interismo ottimista ci vede nelle prime quattro, che farebbe tutta la differenza del mondo".

E il Milan?
"Noi ci siamo avvicinati a loro vincendo la Champions e capendo un po’ del loro mondo. Loro stanno capendo il nostro vedendo che se metti insieme delle figurine non sempre ne esce una squadra. Vedendo che se prendi undici giocatori da 10 poi non è automatico che arrivi a 110. Puoi anche fermarti a 30. Spesso servono più gli uomini giusti del talento. Il Milan tira su di morale, crea empatia. In questo momento i milanisti mi sono molto simpatici".

Sezione: News / Data: Ven 17 novembre 2017 alle 10:26 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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