Partì da Bologna l'avventura di Roberto Mancini come calciatore. E la prima parte del lungo racconto concesso a Paolo Condò per 'Mister Condò' riguarda proprio i suoi esordi sul campo: “Il ricordo è abbastanza limpido, nonostante l'età. Tante volte, in questi anni, ho pensato se avrei mai lasciato partire mio figlio a 13 anni. Non perché i miei genitori mi avessero abbandonato, ma perché 13 anni sono pochi. All'inizio volevo tornare a casa, ci volevano 7-8 gettoni per chiamare i miei. Di giorno era bello perché c'era il campo, i compagni ed era un sogno giocare in una squadra professionistica. La sera andava un po' meno bene: vivevo in un convitto a Casteldebole, dove c'erano anche ragazzi più grandi di noi. Il cibo era un po' scarso, alcuni mangiavano al ristorante. Il Bologna pagava forse 5mila lire a pasto e io avevo fame, sinceramente. Sono stati duri i primi mesi, c’era qualche problema. In campo era cambiato tutto, avevo modificato il modo di allenarmi e dovevo fare in fretta a capire come andavano le cose. Sono stato fortunato perché ho trovato dirigenti e allenatori per bene. Ero un ragazzo timido e sono andato da Bicocchi, il cosiddetto 'Mago' che gestiva il centro di Castelbebole, che mi portò a scuola per il mio primo giorno. Sono arrivato davanti all'istituto, ma avevo vergogna a entrare: così sono tornato indietro con l'autobus per Casalecchio, ho comprato 'Stadio' e mi sono messo a leggerlo per un'oretta. Poi, a un certo punto, mi arriva uno schiaffo, mi giro e mi ritrovo davanti il Mago, che poi mi ha riportato di corsa a scuola. Sono entrato in classe alle 12.30, e alle 12.50 è suonata la campanella: quello fu il mio primo giorno di scuola a Bologna". In quegli anni, avvenne l’evento che sconvolse la città e la Nazione, ovvero la bomba esplosa alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980: "Io sono passato due giorni la strage di Bologna, andai con mio padre perché stavamo andando in ritiro. Il ricordo è indelebile, non si può dimenticare un momento così triste, nessuno poteva pensare potesse capitare una roba simile. Furono mesi difficili per la città".

Arriva il momento del debutto in Serie A coi rossoblu: “Ero già andato in panchina l'ultima partita con la Prima squadra con Gigi Radice, a quel tempo bisognava avere 16 anni per debuttare. Mi allenavo con loro e prendevo dei gran calci, al confronto oggi è una passeggiata di salute. L'anno dopo andai in ritiro con la prima squadra di Tarcisio Burgnich, assieme a Marco Macina, l'altro ragazzo giovane che giocava con me. Facemmo tutto il ritiro e poi, il giorno del debutto, sarei dovuto andare a Rimini a giocare con gli Allievi e mio padre si stava recando al campo, invece Burgnich mi tenne lì con la prima squadra e io dimenticai di dirglielo. Successe, quindi, che mio padre andò a Rimini e lì l'allenatore gli disse 'cosa fai qui?'. Partii dalla panchina, ma poi debuttai contro il Cagliari, 13 settembre '81 a 15 minuti dalla fine. Io ero un incosciente come tutti i ragazzi, però in quegli anni lì ci furono momenti difficili. Abbandonai la scuola perché subivo i ragazzi più grandi, poi volevano mandarmi a casa e invece mi mandarono a lavorare con il magazziniere a lavare e stirare le maglie. Non credo volessero mandarmi via, ma arrivai vicino. Giusto che un ragazzo abbia un comportamento ideale”. 

Sezione: News / Data: Sab 13 febbraio 2016 alle 20:20
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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