Intervista della Gazzetta dello Sport a Christian Vieri, un ex non troppo amato dai tifosi dell'Inter soprattutto per quanto detto (e fatto) dopo l'addio al club nerazzurro. Ecco qualche passaggio delle sue dichiarazioni rialasciate alla rosea.

Sono passati anni, però in molti, soprattutto fra i tifosi, non hanno ancora capito come si possa essere arrivati a una rottura così dura fra lei e l’Inter. 
"È davvero un peccato che sia finita in un determinato modo. Amavo l’Inter, ho dato tutto, mi sono ammazzato per la maglia nerazzurra, ogni giorno. Agli allenamenti ero il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. Non mi sono mai tirato indietro e a volte ho giocato nonostante non stessi in piedi. Però, mi dicevano: vai in campo, resta lì davanti anche fermo, che per noi va bene così. E io accettavo, perché ci tenevo davvero, anche a costo di fare figure di merda... Sì, scriva così. Il mio rapporto con Moratti era speciale, forte, decisamente forte. Ci sentivamo parecchie volte durante il giorno, anche alle 3 del mattino, ci confrontavamo su ogni cosa. Mi faceva sentire uno di famiglia. Insomma, stavo bene professionalmente e umanamente, e davo ogni mia energia per la squadra. Capite bene la terribile delusione nel momento in cui è emerso che mi pedinavano e addirittura intercettavano. Cavolo, queste sono cose che si fanno coi mafiosi...".

Ma non ha mai avuto segnali che qualcosa si stesse incrinando con Moratti? 
"Diciamo che dopo l’arrivo di Adriano le telefonate con il presidente si erano fatte meno frequenti... Ma io so come vanno le cose, in particolare nel calcio. Bastava parlarci direttamente e non avrei avuto problemi ad andarmene in buoni rapporti. C’era aria di rinnovamento e dopo sei anni era forse anche normale puntare su altri giocatori. Ma perché non vedercela fra di noi, in amicizia? Perché cercare la rottura in quel modo? Un giorno dissi: “Presidente, non ti preoccupare, se devo andarmene basta che me lo dici, non ci sono problemi”. E lui: “No, no. L’Inter siamo io e te, le colpe sono sempre nostre per gli altri, le responsabilità ce le prendiamo sempre noi due. Ti voglio al mio fianco...” . Io allora insisto, per essere sicuro: “Davvero presidente, se ci sono problemi...”. Risposta secca: “Va tutto bene!”. Altro che tutto bene quando poi vieni a scoprire di essere intercettato...".

E al momento di rescindere? 
"Hanno trattato Ghelfi e Branca con il mio procuratore. Io e il presidente non ci siamo più sentiti...".

E se incontrasse ora Moratti? 
"Gli stringerei la mano. E lo abbraccerei anche. Lo ringrazierò comunque sempre: mi acquistò a peso d’oro dalla Lazio e mi ha permesso di vivere sei anni meravigliosi, travolto a lungo dall’amore della gente nerazzurra. Penso addirittura che mi amassero troppo. Però mi piaceva essere il loro simbolo, sentivo la pressione ma mi esaltava vederli tanto orgogliosi di me. Mi dicevano: “Con te possiamo fare la guerra a chiunque”. Era bello! Entravamo per il riscaldamento e lo stadio tremava, queste sono sensazioni che vanno oltre ogni trofeo. E solo la gente che era lì in quegli anni può capirlo".

Che cos’è oggi l’Inter per lei? 
"Ne ho sentite dire tante in giro, ma io non potrei mai odiare l’Inter, questo sia chiaro a tutti. È impossibile, sono stati i miei migliori anni, mi sono spaccato per quella maglia, ho segnato quasi un gol a partita, ho sofferto, gioito e provato emozioni che non ho mai più avvertito da altre parti. E tutto ciò nonostante le poche vittorie. Quelle emozioni erano uniche, perché vissute in simbiosi coi tifosi. Ancora oggi mi arrivano su twitter foto di me e Ronaldo insieme. Che tempi! Ecco, uno dei grandi rimpianti è non aver giocato più a lungo assieme al Fenomeno. Eravamo i più forti, e che attesa c’era attorno a noi. Mi ricordo Inter-Verona, arrivammo allo stadio un’ora e mezza prima, eppure dentro c’erano già 85.000 persone che urlavano il nostro nome. Roba da brividi, impossibile da spiegare. Comunque, di una cosa vado fiero: ho dato davvero ogni energia per quella gente".

Lei andò via, poi scoppiò Calciopoli: avvertiva qualcosa anche ai suoi tempi? 
"No, Juventus e Milan allora erano più forti. Noi sprecammo la grande occasione nel 2002...".

Nella stagione successiva trascinò l’Inter fino alla semifinale di Champions League... 
"A proposito di rimpianti, segnai i due gol qualificazione con il Valencia, poi proprio al Mestalla mi feci male al ginocchio e addio doppia sfida col Milan. Ancora oggi non perdono Materazzi e Carew (ride, ndr): mi cascarono addosso e mi ruppero. Incredibile, infortunio assurdo. Eravamo maturi per quella Coppa e io stavo benissimo. Potevamo vincerla". 

 

Sezione: In Primo Piano / Data: Mer 19 novembre 2014 alle 08:15 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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