“Questa Inter ha fallito”. Il giudizio è tranciante, un fendente più profondo e letale di un colpo di sciabola appena affilata, un gancio di quelli che può mandare lungo sul ring anche il più solido e potente dei pesi massimi. Perché non arriva da un commentatore esterno, ma da una voce interna, una delle più autorevoli: a testa alta e petto in fuori, il direttore sportivo Piero Ausilio si presenta davanti a tutte le chiese mediatiche che popolano il post-gara e si lancia in un ‘j’accuse’ davvero pesante. Qualche alibi viene concesso ma viene soppresso dalle puntualizzazioni, a tratti, va detto, anche feroci, sulla pessima prestazione della squadra contro il Cagliari di Zdenek Zeman, una scoppola che non ammette repliche, recriminazioni, rimpianti. Rifiuta anche l’invito alla calma per una stagione agli albori, Ausilio, picchiando come un martello sui troppi nervi scoperti di un’Inter che, testuali parole, si è concessa troppe libertà, commettendo errori che “vanno al di là dell’aspetto tattico e fisico”, e ha perso quella cattiveria che “una squadra che vuole diventare grande deve avere”. L’Inter ha toppato, e la società si espone in prima persona per inchiodare tutti alle proprie responsabilità.

MA QUANDO CRESCERAI? – Ausilio ha giustamente sottolineato anche i fischi dei tifosi al termine della gara, taglienti e rimbombanti. Fischi che derivano dalla prestazione sconcertante di questo pomeriggio senza dubbio, ma anche dall’ormai sempre meno latente fastidio di vedere quest’Inter che si vuole dipingere come una squadra in progettazione ma che, come una Penelope capricciosa, si diverte a distruggere in un attimo quanto tessuto con pazienza e fatica nelle partite precedenti. Una storia che purtroppo va avanti da troppo tempo, il retaggio più pericoloso della scorsa stagione che è rimasto ancora innestato nel dna di questo club. Stavolta però l’inciampo causa ferite, perché non accadeva dagli anni ’60 (!) che l’Inter prendesse quattro gol in un tempo (accadde in un derby), e soprattutto perché arrivato contro un Cagliari fino a questo pomeriggio ultimo in classifica con un punto in cascina. Un tonfo nell’abisso, che lascia allibito un Erick Thohir la cui espressione ad un certo punto del match diceva più di mille parole, fa rimanere di stucco i tifosi e ricaccia prontamente indietro i bei commenti, ancora una volta rivelatisi troppo frettolosi, e i proclami spesi negli ultimi giorni: una storia tormentata che incredibilmente non sembra conoscere fine. Un atteggiamento che no, non appartiene a chi vuole recitare da grande. 

EZIOPATOLOGIA – Processi sommari? No, mai serviti. Analisi lucida e spietata? Sì, e obbligatoria: perché questo atteggiamento schizofrenico dell’Inter deve avere una radice, un’origine, un qualcosa che fa sì che poi tutto degeneri in maniera clamorosamente puntuale fino a sfoghi incredibili come quello di oggi. Insomma, qual è l’origine di questo male? Circoscrivendo il campo alla partita odierna, la sensazione è che anche in undici contro undici forse non si avrebbe avuta comunque vita facile, perché il Cagliari agiva bene secondo gli schemi di Zeman, come forse di rado era accaduto sin qui in campionato. Giusto per fare qualche esempio: Ibarbo aveva fatto capire sin da subito che per Dodò sarebbero stati sorci verdi a volontà, le incursioni di Ekdal mettevano in imbarazzo l’intera mediana, Nagatomo faceva preannunciare il disastro correggendo il pallone per Sau che ringrazia e insacca. L’espulsione del giapponese ha poi portato il tutto all’ennesima potenza, mettendo, più che a nudo, a carne viva i limiti di questa squadra. Si è tirata in ballo la stanchezza, ma allora viene da chiedersi se il giorno di riposo concesso nella gara contro l’Atalanta non sia risultato infine controproducente; più saggiamente, si è evidenziato il difetto mentale e caratteriale. Perché una squadra che vuole definirsi grande e non vuole porsi limiti non cede di botto alla prima difficoltà, permettendo agli avversari di fare ciò che vogliono arrivando alla conclusione con una semplicità imbarazzante, sfruttando subito l'uomo in più (era una cosa che all'Inter era riuscita in Europa League). E non si permette, prima ancora dell’inferiorità numerica, un approccio molle e quasi svogliato mentalmente ancora prima che fisicamente.

HARAKIRI – In una prestazione così, dare le colpe ad un singolo è dannoso e non giustifica niente. Però è innegabile che la sua scellerata espulsione ha di fatto chiuso i giochi, ancora prima del gol dell’1-2 di Ekdal. Yuto Nagatomo l’ha fatta grossa, inutile negarlo; forse troppo precipitoso l’arbitro Banti, ma i due falli che gli sono costati la doccia anticipata non fanno essenzialmente una piega. E ci si chiede cosa sia passato nella testa del giapponese, la cui magra figura è accentuata dal fatto di avere iniziato l’incontro con la fascia da capitano:  il suo è un harakiri lento e sanguinoso, iniziato con quel tocco fortuito che di fatto ha spalancato le porte del gol a Sau. Più in generale è stato un inizio di stagione luci ed ombre per il nipponico, che da questo scivolone incredibile dovrà trovare la forza per ripartire, perché l’effetto delle tanto famose prugne Umeboshi sembra essere svanito nel nulla…

SULLA CORDA – Stavolta è girato davvero tutto storto, a Walter Mazzarri: ripiombato senza paracadute nel mirino della critica e soprattutto della tifoseria, il tecnico nerazzurro stavolta non è nemmeno lui esente da colpe. Si è assunto le colpe delle scelte sbagliate e della valutazione non idonea delle rotazioni (lui ama chiamarle così), ma visto l’esito dell’incontro non poteva fare altrimenti. Ha parlato di una squadra che non deve sentire troppi elogi per crescere e che deve ancora avere la giusta fame, ma se i cali di tensione diventano così frequenti allora si avverte all'interno del gruppo la necessità di essere costantemente preso per i capelli e dare tutto al di là di quelle che sono le effettive qualità, e questo oggi non è successo. A Mazzarri è stata concessa una squadra costruita secondo le sue indicazioni, e non gli può pertanto essere concesso il tollerare certi approcci molli. La fame deve derivare anche dalla capacità di tenere sempre il gruppo sulla corda con la tensione giusta, e anche questo aspetto deve trasparire in campo dal lavoro settimanale. La società nelle parole di Ausilio continua a rinnovare la propria stima nei suoi confronti, ma alcuni messaggi nemmeno troppo subliminali riguardano anche lui…

CHIUSA PARENTESI – L’ultimo scintillo dello Zeman romanista si è visto a San Siro contro l’Inter; a San Siro contro l’Inter si è visto il primo Cagliari a immagine e somiglianza del boemo. Il tecnico rossoblu si gode giustamente il grande risultato, rivendicando anche i propri meriti perché a distanza di oltre vent’anni il suo continua a essere un modello di calcio valido. Del resto, Zemanlandia rimarrà comunque un marchio storico, di un gioco che farà parlare di sé per anni a prescindere dai risultati. In casa Inter, invece, il marchio è ancora tutto da costruire e disegnare, ma se ogni volta le fondamenta implodono alle prime difficoltà e la squadra distrugge l’identità che faticosamente prova a crearsi, diventa un attimo ricadere nei tormenti… 

Sezione: In Primo Piano / Data: Dom 28 settembre 2014 alle 22:00
Autore: Christian Liotta
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