La storia dell’Inter è costellata da grandi giocatori che hanno contribuito ad alimentare la leggenda nerazzurra. Al di là degli anni gloriosi, delle stagioni vincenti o di quelle mandate in archivio senza salvarne nulla, è certo che la maglia nerazzurra con il numero uno è (quasi) sempre stata indossata da portieri che hanno fatto la differenza. Volendo riavvolgere il nastro di cento e passa anni di Inter, per trovare il primo portiere ‘storico’ basta fermarsi al 1910, appena due anni dopo la fondazione del club: si parla di Piero Campelli, titolare della prima Inter scudettata. Il calcio in Italia era ancora tutto da farsi e, così racconta la leggenda, Campelli fu il primo a inventarsi la presa alta, smettendo di respingere solamente di pugno.
Scorrendo delle immaginarie pagine di quotidiani d’epoca, si arriva poi a Giorgio Ghezzi, altro numero uno che ha conquistato le prime pagine dei giornali grazie ai suoi interventi folli, in mezzo alle gambe dei difensori. Era chiamato kamikaze ma, al di là delle debordanti uscite per recuperare il pallone, era un attento studioso degli avversari: quando si avvicinavano i giorni del derby, ecco che Ghezzi andava a studiare (di nascosto, of course) come Liedholm e compagnia battevano i calci di rigori o le soluzioni piazzate. Vincerà due scudetti nella squadra di Lennart Nacka Skoglund e Benito Veleno Lorenzi, mattatori dell’Inter del dopo-guerra, fino a che non verrà ceduto al Genoa.
Avvicinandoci sempre di più al recente passato della storia nerazzurra (senza tralasciare Giuliano Sarti, titolare dei pali ai tempi dell’Inter del primo Moratti con Helenio Herrera in panchina), si trova Ivano Bordon, titolare della prima avventura nerazzurra senza HH in panchina. Bordon è un ragazzo discreto, molti mettono in dubbio il suo carattere perché, si dice, se sa di aver sbagliato dopo aver preso gol a volte piange sotto la doccia. Le uscite alte non erano il suo forte, se lo ricorda bene Tarcisio Burgnich: una volta il portiere saltò fuori dai propri pali per agguantare una palla vagante e capitombolò sopra le spalle della Roccia. Mentre si scusava, il terzino gli rispose che non doveva preoccuparsi, anche a Sarti capitava qualche passaggio a vuoto (eh, a Mantova se lo ricordano bene, nella primavera del 1967… Ma questa è un’altra storia). Ma erano entrambi ottimi portieri. Burgnich aveva ragione: anche Bordon scrisse la sua storia nerazzurra. Coppa dei Campioni 1971/72, stagione successiva alla vittoria del campionato grazie alle reti di Bonimba. Si gioca in Germania, contro il Borussia Monchengladbach del tedesco Gunter Netzer, un giocatore fisico e dal destro letale. L’Inter va in Germania per difendere il 4-2 accumulato a San Siro, ma non appena arrivati a Berlino (si gioca in campo neutro a causa della famosa lattina) il clima è infuocato. I nerazzurri scendono in campo per difendersi, Bordon pochi giorni prima ha preso un gol evitabile da Rivera nel derby, le premesse non sono delle migliori. Ma Pallottola - così lo chiamavano i compagni - inizia a guizzare da un palo all’altro, parando tutto il parabile e tenendo in vita l’Inter che in mezzo al campo trova in Bedin l’ancora con cui mettere ordine e resistere alle folate offensive tedesche. Al 70’, sullo 0-0, c’è un rigore per i padroni di casa. Netzer contro Bordon. Il tedesco tira d’esterno, ma il nerazzurro salta e para. L’Inter alla fine riuscirà a resistere e a conquistare l’accesso al turno successivo, andando poi a perdere in finale contro l’Ajax di Cruijff.
Quindi… Campelli, Ghezzi, Sarti, Bordon… E come dimenticarsi di Walter Zenga, l’Uomo Ragno, portiere dell’Inter dei record e due volte vincitore della Coppa Uefa? Eletto per tre volte consecutive miglior portiere mondo dall’IFFHS, dal 1989 al 1991? Si arriva poi al nuovo millennio, quando a difendere i pali dell’Inter sono arrivati Francesco Toldo e Julio Cesar, la cui parata al Camp Nou su Messi è stata qualcosa di fantascientifico, da raccontare ai nipotini. “Quella volta che fermammo gli alieni…“. Ebbene sì, indossare la casacca con il numero uno è da sempre una responsabilità quando si gioca allo stadio “Giuseppe Meazza” in San Siro. In ogni grande corazzata che la storia dell’Inter ricordi, c’è sempre stato un supereroe fra i pali a erigersi come ultimo baluardo difensivo, il settimo reggimento della cavalleria insomma.
Perché si sa che viviamo in un’epoca in cui, convenzionalmente, le persone hanno bisogno di un eroe. In ogni contesto, deve esistere per forza di cose quel soggetto in grado di salvare la situazione, qualsiasi essa sia. Non importa quanto possa essere intricata, arriverà l’individuo che - indossato per l’occasione un abito caratteristico - prenderà a due mani il beffardo destino e riuscirà a raddrizzarlo, consentendo alla folla di tornare a vivere come se nulla fosse cambiato. E quando Samir Handanovic sbarca a Milano nel luglio del 2012, gli viene chiesto proprio questo: diventare un supereroe, in modo tale da prendere il posto di quello che si può considerare senza dubbio il miglior portiere degli ultimi dieci anni: il sopracitato Julio Cesar, colosso nerazzurro, l’Acchiappasogni. Il portierone sloveno arriva a Milano con la fama del pararigori, dopo ottime annate all’Udinese e una gavetta che ha avuto molte tappe: prime partite nel Domzae, poi Treviso, Lazio Rimini e il Friuli, per l’appunto. 179 presenze prima di trasferirsi nel capoluogo lombardo e un’esperienza inviadibile. Arriva nella prima Inter di Stramaccioni, quando il progetto pare chiaro: tornare a vincere in fretta. La prima metà di stagione è esaltante, l’Inter infila una serie di vittorie consecutive e la difesa nerazzurra è impeccabile. La difesa a 3, coordinata da Handa, è un fortino, anche grazie al filtro di centrocampo composto da Cambiasso e Gargano. Si raggiunge il sublime allo Juventus Stadium, poi è caduta libera. 70 gol subiti in quella stagione, una cifra mostruosa. Poi si è ripartiti, con Mazzarri e Handa è stato chiaro: “C’è bisogno che si riparta dall’ABC, dai fondamentali. La squadra ha perso certezze, dobbiamo ricominciare da zero, ma io voglio vincere”, ha sentenziato mentre la squadra si trovava negli Stati Uniti per una tournée commerciale. Ma anche con WM il gruppo non ha ingranato, fino ad arrivare all’esonero del tecnico e all’arrivo di Mancini. Altro tiro, altro giro, altro allenatore.
Non che in questi anni le voci di un possibile addio di Handanovic non siano mai state registrate. Si è parlato di Barcellona, per sostituire Victor Valdes. Oppure di Manchester United, per prendere il posto di De Gea. Addirittura in questo periodo si dice che il Real Madrid sia interessato al giocatore, qualora Casillas dovesse andare via. E, per rimaner qui in Italia, la Roma ha drizzato le antenne sulla situazione che si vive in casa Inter. Contratto in scadenza 2016, malumore del portiere che, a 30 anni, vuole vivere un contesto vincente dove poter finalmente alzare qualche coppa. Dopo tutta la gavetta, è legittimo un pensiero del genere. Ma quindi, cosa fare del portierone nerazzurro?
Man mano che passano le settimane infatti, si è sempre più convinti che un giocatore di spessore dovrà lasciare la Pinetina. Mauro Icardi, Mateo Kovacic e Samir Handanovic. Questi i nomi sul piatto, ripetuti fino alla noia. Attorno a loro ruota il mercato dell’Inter, con l’argentino che segna e conquista gli osservatori delle squadre che lo seguono, il croato che stenta ma il cui potenziale è immenso e… Handanovic. Sì, Samir Handanovic. Il supereroe normale, il portiere che neutralizza un rigore dietro l’altro ma “faccio solo il mio lavoro”, quello che ha la stessa espressione da due anni perché “mi vedrete sorridere solo quando inizieremo a vincere”. Handanovic è sicuramente uno dei migliori portieri al mondo. Su questo non c’è bisogno di discutere. Il suo rapporto altezza/agilità è inferiore solo a quello di un certo Manuel Neuer, ma tant’è: il colosso del Bayern Monaco è il più forte a livello mondiale, completo e unico nel suo genere. Alieno. Handa, come ci illustrano le statistiche, si difende al meglio: assicura due interventi ‘salva-vita’ ogni match, dimostrandosi sempre focalizzato sul suo obiettivo. Non prendere gol. Capitano gli scivoloni come in occasione della partita contro la Fiorentina o contro il Parma l’anno scorso (finì 3-3 quella partita). Ma è indubbio che Handanovic sia il miglior portiere della Serie A. Questo è un assaggio di quello che lo sloveno riesce a fare quando governa la propria porta. Ma quindi, perché si pensa a una sua eventuale cessione? Perché l’Inter dovrebbe privarsi di un giocatore nella propria maturità calcistica?
Ci sono assetti del repertorio calcistico di Handanovic che non convincono i critici. Ad esempio, qualcuno storce il naso per come lo sloveno si muove nella propria area. Al numero uno vengono infatti appuntate troppe poche uscite alte, a marcare il territorio con i colpitori di testa avversari. Tanti cross vengono lasciati passare nell’area piccola senza che Handa si alzi in volo a prenderli… Eppure con quelle lunghe leve dovrebbe essere quantomeno automatico dominare il territorio aereo antistante la propria porta. Primo capo d’accusa contro Samir Handanovic.
Secondo capo d’accusa: con i piedi proprio non ci sa fare. Quanti rinvii dal fondo sono andati perduti oltre il fallo laterale mentre Handanovic cercava un esterno? Oppure, quante volte si rischia il patatrac ogni qualvolta l’ex Udinese deve gestire il pallone? Mancati automatismi, certo. Ma qualche tempo fa a San Siro c’era un portiere brasiliano che, se aveva un avversario davanti lo saltava e faceva ricominciare l’azione. Ma (anche) questa è un’altra storia. Anche qui le statistiche forniscono un pronto soccorso a chi denigra le capacità gestionali di Samir: di tutti i palloni che tocca, circa il 40% vengono persi. Per quanto riguarda Buffon invece, solo il 20% (circa) non sono recapitati a destinazione. E il raggio d’azione è più o meno lo stesso: 32 metri la media-distanza di un passaggio di Handanovic, 30 metri quella di Buffon.
Ora la parola torna di nuovo alla difesa. Handanovic è un magnifico para-rigori. In questo caso le statistiche sono di conforto al portiere sloveno. La sua percentuale di rigori parati rispetto a quelli subiti è mostruosa: 31,2%, in pratica un pallone su tre che viene calciato dagli undici metri contro il gigante interista è certo di non raggiungere la rete. Volendo fare un confronto con i più grandi portieri del campionato italiano, che percentuale ha Luca Marchegiani di questa particolare statistica? 26,1%. Gianluca Pagliuca? 24%. Sebastiano Rossi? 20,6%. Il sopracitato Buffon? 18%, avendo parato 20 dei 108 calci di rigore calciatigli contro.
Ma l’ha chiesto lui stesso: “Non giudicatemi da questa mia abilità, so fare anche altro. E le mie cazzate continuo a commetterle”. Handanovic rimane un grande estremo difensore, non è portare alla luce e analizzare un paio di numeri che sminuisce un portiere dal suo curriculum. Certo è che, in ottica ‘cessione dolorosa in estate’, sarebbe forse meno grave per l’Inter perdere Handanovic piuttosto che Kovacic o Icardi. Questi ultimi d’altronde sono il futuro dell’Inter: giovani, forti, con un potenziale ancora (quasi) del tutto inespresso. Handanovic è sì una sicurezza e un veterano a cui affidarsi, ma è anche vero che di portieri se ne trovano… di giocatori con le caratteristiche di Icardi e Kovacic, molto meno. Giusto per fare qualche nome che si ha in casa, basti pensare a Francesco Bardi, titolare dell’Italia under 21 finalista dell’Europeo di categoria con la Spagna, poi persa di goleada contro una squadra decisamente di un altro pianeta. Ora Bardi orna la panchina del Chievo perché Maran gli preferisce Bizzarri, usato sicuro. Ma il ragazzo si farà. O perché no Mattia Perin, giovanissimo portiere di scuola italiana (una garanzia, negli anni) che si è conquistato con personalità la porta del Pescara di Zeman prima (e non è facilissimo essere portiere nella squadre del boemo, se avete presente il tipo di calcio che Zemanlandia adotta) e ora del Genoa, una delle sorprese del campionato. Agile, reattivo, forse un po’ acerbo ma capace di migliorarsi di giornata in giornata. Ecco, lui ad esempio potrebbe essere un ottimo sostituto per l’Inter che verrà, qualora Handanovic decida di non rinnovare il proprio contratto e di lasciare Appiano Gentile a giugno. Cedere Handanovic è giusto? No. Cederlo per permettersi di tenere due giovani futuribili e con quei soldi finanziare il mercato? Sotto questo punto di vista, l’affare può essere osservato in un’altra maniera. E forse anche la dirigenza si potrebbe lasciare convincere da una ghiotta offerta. Ma ora è presto, ogni discorso è rimandato. C’è l’Europa da conquistare. E Handanovic, comunque vada, non vuole togliersi il mantello.
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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