Dal presente della nuova Inter targata Suning ai retroscena del suo passato da presidente alla guida dei nerazzurri, Massimo Moratti si è concesso in una lunga intervista con Walter Veltroni, nella rubrica 'A tu per tu' del Corriere dello Sport. Di seguito vi riportiamo gli stralci più significativi: 

Che impressione ha dei nuovi proprietari dell’Inter?
"Ottima, sinceramente ottima. Sono persone che hanno faticato per costruire il loro impero. Mi sembra abbiano buona fede e passione autentica. Credo che vogliano davvero investire sulla società e renderla più competitiva. E, seppure io non mi permetta di interferire su scelte che non sono più mie, ho l’impressione che non abbiano finito di rafforzare la squadra".

A proposito di acquisti, quale è stato il più importante della sua gestione?
"Sicuramente Ronaldo. Perché nessuno se lo aspettava. Fu un grande investimento, da tutti ritenuto impossibile per l’Italia. Ma si rivelò, anche dal punto di vista economico, un affare. E poi fece sognare. E il calcio, come ho cercato di dire, ha bisogno di sogni, sempre. Persino per il suo benessere finanziario. È come ogni espressione artistica. Se non è bella, non ha mercato. È poesia, anche per essere business".

Mi parla di Balotelli ? Da campione osannato e amato a giocatore disoccupato il passo è stato terribilmente breve.
"Guardi chi capisce di calcio riconosce un talento in tre minuti, da come calcia, da come guarda il gioco. Balotelli è un talento puro, ha una classe innata, sa segnare. Ma in questi anni ha subito una trasformazione. È sempre stato di carattere chiuso, reattivo. Non ha vissuto una infanzia facile, ha i problemi di chi ha cambiato famiglia. Quella che lo ha adottato credo sia stata fantastica. Ma lui nel corso del tempo, forse anche a causa del successo, ha esasperato quel tratto di timidezza aggressiva. Lui ama provocare gli altri per verificare se gli vogliono davvero, autenticamente, bene. È una sfida impossibile, così. Io gli auguro di ripartire. Ma ci deve mettere fatica e umiltà".

C’è un giocatore che non è riuscito ad acquistare?
"Più di uno, ovviamente. All’inizio Cantona, grande giocatore e personaggio fantasioso. Ero appena arrivato e non mi imposi per farlo. Peccato, l’Inter avrebbe fatto il salto di qualità molto prima. E Zidane. Io lo volevo acquistare ma un nostro consulente ci disse che non era granché… E poi Icardi che vidi giocare nella Samp e mi colpì tanto. Ma ci tengo a dirle che tentai con Totti. Sapevo che Sensi, vero presidente per passione, era in difficoltà economiche e allora gli chiesi se mi cedeva Totti, a qualsiasi prezzo, o quasi… Lui mi guardò e mi diede una risposta che non posso dimenticare e che fece crescere la mia stima per lui: "Non parliamo di Totti, parliamo di altri, se vuoi"".

E un giocatore il cui acquisto sia stato più importante di altri?
"Non si stupisca se le dico un giocatore che forse non è considerato tra i fuoriclasse: Samuel. Con lui abbiamo sistemato la difesa. All’inizio cercavamo solo attaccanti, poi ho capito che senza difesa forte non si va da nessuna parte. Poi a me piacciono tutti i giocatori un po’ pazzi. Avrei fatto follie, ai suoi tempi, per George Best e oggi le farei per Dybala, secondo me il talento più forte in circolazione. Un grandissimo".

Le manca non essere più presidente?
"No, è stata una decisione serena, dopo tanto tempo e tanti successi. Per me è stato un privilegio e non un lavoro. È stato fortuna e piacere. Forse mi manca quel ritmo di vita, quell’idea che, nella tua settimana, insieme al lavoro c’era questa meravigliosa dimensione ludica su cui potevi influire da protagonista. E che poteva far emozionare tante persone".

Come successe con il Triplete
"Il momento più bello della mia vita sportiva. La gente piangeva per la gioia, quel successo è qualcosa che rimarrà nella vita di tante persone. Lo so che è un gioco, ma anche quella dimensione occupa un posto nella storia degli uomini. Si gioisce di qualcosa che altri fanno ma che si sente come propria. E, per me, era il risultato di tante sofferenze, di tanti impegni, di tanti sforzi. Era il frutto del lavoro di tanti. Dei giocatori come del magazziniere".

Il suo giudizio su Mourinho?
"È un grande professionista, serissimo, con un grande senso del dovere. Ha rispetto della società e della proprietà. È un tecnico eccezionale e una persona vera. Non so se questo sia in contrasto con l’immagine che vuole dare di se stesso. Ma questo è il Mourinho con il quale ho lavorato e grazie al quale abbiamo raggiunto quello storico risultato".

E Mancini?
"Mancini è un campione, non bisogna mai dimenticarlo. Lo è stato da calciatore, lo è stato da allenatore. Con me, nel suo primo ciclo, fu eccezionale. All’inizio di questa nuova esperienza aveva molte attese, molte speranze e rilanciava sempre. Non aveva ottimi rapporti con la società e i risultati di questa fase non hanno aiutato. Era un rapporto destinato a chiudersi. De Boer mi ha fatto un’ottima impressione. È un grande esperto di calcio, attento al dettaglio, capace di capire".

Mi colpì la sua scelta di Stramaccioni, la trovai coraggiosa più che ardita.
"Gli allenatori rispondono sempre di risultati che non sempre dipendono direttamente dai loro meriti o dai loro demeriti. Ci sono fasi, momenti, fortune che incidono. Scelsi Stramaccioni, che aveva vinto con la primavera la Youth League, al termine del rapporto con Ranieri, grande signore e grande allenatore. Stramaccioni concluse bene la stagione e cominciò meglio quella successiva. Poi ci fu un crollo. E, nel calcio moderno, checché se ne dica, contano i risultati. I “progetti” sono difficili da sostenere se non ci sono le vittorie. Ora allena in Grecia. È intelligente, ha doti".

Ricorda di aver dovuto sciogliere tensioni tra giocatori e allenatori ?
"Tensioni costanti tra Balotelli e vari allenatori. E poi quelle tra Baggio e Lippi. Tensioni strutturali. Io cercavo di trovare una intesa, ma era difficile …".

Come vede il campionato che inizia oggi?
"La Juventus ha fatto molto bene sul mercato. Tenere Pogba, di fronte a quella offerta, sarebbe stato un errore gravissimo. Ha preso Pjanic che è un giocatore pratico. L’Inter si è mossa bene ed è più forte. Bisogna che si tolga il complesso degli ultimi anni e torni a considerarsi una squadra vincente. Il Milan non ha potuto muoversi sul mercato. È finita l’era Berlusconi del quale qui voglio dire, da storico avversario, che si è sempre comportato lealmente con me. Il Napoli ha un grande allenatore, come lo è Spalletti. Un campionato aperto, comunque".

Come definirebbe l’Inter? Si sono scritte pagine su questa squadra, sul suo sentimento…
"L’ Inter è un fatto artistico, quasi poetico. È capace di provocare immense, inarrivabili, gioie e grandi amarezze. Mai mezze misure. Per me l’Inter è apertura al nuovo e coraggio. È una passione forte, una meravigliosa malattia. Se ne sopportano le debolezze e se ne ammira il coraggio, come si farebbe con un figli".

Sezione: In Primo Piano / Data: Sab 20 agosto 2016 alle 08:00 / Fonte: Corriere dello Sport
Autore: Daniele Alfieri / Twitter: @DaniAlfieri
vedi letture
Print