Non c'era molto altro da aggiungere. Polvere, proiettili, colpi di cannone: qualsiasi cosa arrivasse, la carica era la carica. Doveva procedere dritta, un gruppo cospicuo di uomini a cavallo che se ne infischiava se quell'azione ne avrebbe inevitabilmente ridotto il numero, magari proprio a iniziare da se stessi. Si trattava di compiere un'azione risolutiva e dunque risoluta. Non c'era null'altro che contasse, se non arrivare lì in fondo. Talvolta, la lunga e cieca corsa si risolveva in un inutile decimazione. Eppure, ne restava il sapore, l'eco e la leggenda, come avvenne agli inglesi, che a lungo celebrarono l'infruttuosa carica di Bataclava che si infranse contro i cannoni russi nel 1854.

GLI INSICURI - Qui, però, non è il milleottocento. Quello che qui c'è in fondo alla corsa conta eccome, e la carica può e deve essere proficua. Troppo tempo buttato nelle retrovie, a parlarsi addosso con monotone azioni laterali che gli avversari ormai leggevano a occhi chiusi. E poi, dopo la ripresa e l'avvento del gioco piacevole, ancora tre terribili occasioni sprecate, due delle quali (derby e Torino, ça va sans dire) gridano vendetta per la mole di calcio prodotta a fronte del punticino rimediato. Bisogna recuperare il tempo perduto a far le cicale, insomma, e l'Inter lo sa bene. L'avversario va colpito sin da subito, meglio se nei primi minuti, considerando anche che quella nerazzurra è una squadra terribilmente insicura e, come tutti gli insicuri, trova confidenza soltanto quando si rende conto di essere all'altezza delle attese altrui. Quando la sblocca nei primi scampoli di partita, l'Inter poi si diverte, vola via serena, e una sorta di umana magia le rende possibili cose che altrimenti nemmeno tenterebbe. È impressionante costatare la differenza tra le gare che sin da subito si mettono in discesa e quelle che, invece, presentano al loro interno quell’andamento sinusoidale che tanta paranoia infonde ai poco baldanzosi nerazzurri. Arrivati a questo momento della stagione, con un traguardo in bilico e connesso ora inevitabilmente alle fortune altrui, l’Inter può permettersi soltanto gare in discesa: se la strada presenta delle asperità, va semplicemente spianata con la forza della determinazione. Come in una carica, insomma: senza pensarci troppo.

DI MIRACOLI E DI TROMBE - Passo indietro, ma senza arrivare di nuovo all’Ottocento. Erano gli ultimi anni ’80, era l’Inter tedesca, e a San Siro un simpatico signore suonava la carica ai nerazzurri con una tromba. Accadeva di tanto in tanto nel corso delle gare, e l’abitudine travalicò la fine del decennio, affermandosi nelle partite milanesi di Italia '90 come lontano e pregiato antenato delle inquietanti vuvuzelas sudafricane; di lì a poco, avrebbe sottolineato la marcia trionfale dell’Inter nella Coppa Uefa 1990/91. Quella cavalcata, conclusasi con la felice doppia finale contro la Roma, ebbe inevitabilmente in quella tromba la sua più fedele compagna: nerazzurri dotati di buona memoria e della passione per le piccole cose belle ricordano che la tromba, quel suono inquietante e insieme gasante, finì per essere una sorta di portafortuna, una specie di premonizione puntuale del gol che sarebbe arrivato di lì a poco. E il miracolo si è ripetuto parecchie volte, dicono. Ieri, un altro signore è tornato a suonare, chissà perché. Forse ne avvertiva l’esigenza, forse avrà pensato che questi ragazzi qui meritano un po’ di disciplina militare d'altri tempi, sennò si perdono. Cambiata la tromba, cambiato il trombettiere, fatto sta che Brozovic ha trovato il terzo gol del match proprio pochi istanti dopo una delle frasi musicali con cui il signore ha di tanto in tanto accompagnato il match. Riecco il miracolo, alé.

IL SENSO DELLA GARA  - Ma nessuno crede più ai miracoli, specialmente se tiene all’Inter. Semmai, qui c’è un obiettivo talmente importante che la voglia di raggiungerlo è più che altro simile alla paura di non raggiungerlo e girare a vuoto in Purgatorio ancora per un anno. La gara col Cagliari, visto l’andamento e lo stato di simil-dismissione in cui versavano i sardi, è soprattutto nei tre punti che reca e nella notte al terzo posto che offre all’Inter come dono ultimo. C’è poi il brutto infortunio di Gagliardini, perché priva un ragazzo in ripresa della possibilità di continuare a ritovarsi e, insieme, toglie all’Inter un giocatore che non ha cambi, se si fa eccezione per il degente Vecino.

IL FADO E IL RE CICALA - C’è Brozovic, vero uomo irrinunciabile di questa squadra, senz’altro al momento uno dei centrocampisti più dominanti della Serie A per la capacità di trovare a due tocchi il varco nella selva di gambe o l’uscita sicura del pallone sull’esterno, e pure per la presenza assidua su tutto il fronte di mezzo e per le puntuali scivolate con cui sradica il pallone all’avversario; talvolta, certo, sbaglia il tempo e prende il giallo, ma stiamo parlando di un nuovo acquisto, signori, o più semplicemente del re delle cicale, che si è clamorosamente scoperto risorsa affidabile e irrinunciabile. C'è un Icardi che si giova della presenza di Karamoh, molto più seconda punta che ala, e ci duetta a meraviglia. C’è poi Cancelo, che a vederlo dal vivo è sempre uno spettacolo e adesso, perfino, sorride: ci voleva il suo primo gol per farlo felice, lui che sembrava quasi intristito dall’inverno milanese, immerso in una perenne tristezza da Fado, prima di sbocciare proprio nel periodo peggiore dell’anno e affermarsi inesorabilmente come un elemento irrinunciabile.

IL MATTO - Infine, colui che ruba la scena a tutti, quel Karamoh che corre come un matto, scatti e contro scatti, cerca la porta con continuità impressionante (lasciato libero da Spalletti perché Perisic, con lui in campo, resta sapientemente più arretrato), si divora un gol assurdo, si dispera per due minuti e mezzo, se ne mangia un altro o, meglio, prende la traversa con la porta spalancata, ci riprova, sbeffeggia gli avversari, bisticcia con Castan, va fuori giri, cala, esce, applaude ed è applaudito. Che si tratti di un giovane da sgrezzare è senz’altro vero, così com’è vero che, una volta sgrezzata, la pietra potrebbe rivelarsi assai preziosa. Ciò che è più evidente è che siamo davanti a un simpatico e talentuosissimo istrione, a tratti un incosciente (io a Castan terrei aperta la porta e cederei il passo…), senz’altro prezioso quando c’è da andare in fondo senza se e senza ma. Ecco, la tromba ha suonato e la carica finale dev'essere partita da qui, appunto senza se e senza ma; sulla strada, tra l’altro, si paleserà tra breve anche un nemico abbastanza impegnativo da provare a superare. Ora che c’è da buttarsi e buttare ogni energia senza porsi troppe domande, Karamoh può persino diventare un elemento a suo modo chiave. Uno così, d’altra parte, se ne infischia dei cannoni, e avrebbe fatto comodo anche agli inglesi, quel giorno a Bataclava.

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Sezione: In Primo Piano / Data: Mer 18 aprile 2018 alle 08:00
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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