“Abbiamo fatto 24 tiri, di cui solo 5 in porta. Siamo imprecisi, c’è poco da fare”. È impregnato di rassegnazione e amarezza il tono del Roberto Mancini che si presenta ai microfoni dei giornalisti per commentare l’ennesima partita deludente della sua squadra, incapace di vincere contro un avversario che si è difeso sempre con dieci uomini dietro la linea del pallone. Ormai lo si è imparato: giocare contro il Chievo vuol dire - volenti o nolenti - adattarsi allo stile di gioco rinunciatario ed estremamente difensivista della squadra di Maran. Per carità, questo ha portato punti e salvezza, quindi in un’ottica machiavellica, tutto è lecito. Si può anche dire che la squadra veneta abbia applicato alla lettera i dettami di Annibale Frossi, ex attaccante dell’Inter che alla fine degli anni ’50 sentenziò: “Lo 0-0 è risultato perfetto”. La colpa è però dell’Inter che non è riuscita a scardinare la difesa ad oltranza dei clivensi, i quali hanno avuto il merito di evidenziare tutti i limiti (tecnici, tattici e di carattere) della squadra di Mancini, costringendo la rincorsa nerazzurra all’Europa all’ennesimo stop. La cosa preoccupante è che ormai queste situazioni sono croniche in casa Inter: perdere punti contro squadre inferiori e a San Siro. Esame di maturità non superato da parte dei nerazzurri. 

QUELLO CHE MANCA - Giocare la palla di prima. Assumersi le responsabilità di portare il pallone quando scotta. Non intestardirsi nell’uno contro uno, ma sviluppare una manovra coerente con i dettami di Mancini che predica di aprire il campo (in questo senso da leggere la mossa di passare prima al 4-2-3-1 e poi al 4-3-3) e di colpire nei buchi che la difesa del Chievo talvolta ha concesso. Tutto questo avrebbe dovuto fare l’Inter. Invece bisogna parlare di un’altra prestazione deludente da parte della squadra, incapace di rompere le linee difensive degli avversari e nemmeno di portare uomini nell’area della squadra di Maran per il forcing finale. E quello che fa arrabbiare i tifosi dell’Inter è proprio questo: la mancanza di cattiveria e di agonismo, la voglia di spaccare in due la partita, il bisogno quasi fisico di vincere proprio quando due dirette concorrenti - Sampdoria e Genoa - hanno rallentato. L’unico a provarci con continuità è Danilo D’Ambrosio che crea sempre superiorità numerica sulla fascia, ma quando arriva il momento del cross, spesso si dimostra impreciso. In mezzo al campo si vivacchia e non scatta la scintilla che invece dovrebbe contraddistinguere una squadra che lotta per dare un senso ad una stagione disastrosa, partita con l’intento di lottare per l’Europa e che va concludendosi con una serie di delusioni che potrebbero costringere davvero la società ad effettuare una rivoluzione nella prossima sessione di calciomercato. Perché se per giocare di prima si può comprare un regista e ovviare così ad alcune lacune in rosa, la personalità non si può comprare ma - per giocare a San Siro ed indossare la maglia dell’Inter - ce n’è bisogno. 

IL NEMANJA FURIOSO - L’atteggiamento della squadra - stanco e a tratti insolente - è evidenziato al meglio da Vidic che, ad un certo punto della ripresa, rimprovera i compagni di reparto e li sgrida in quanto devono portare più attenzione sul rettangolo di gioco, ché le occasioni il Chievo le ha avute e per fortuna dei nerazzurri non le ha concretizzate, altrimenti chissà quali macabre tinte avrebbe potuto assumere la partita dell’Inter. Dal canto suo, il serbo si è mostrato impeccabile (a parte una svirgolata nel finale) e ha continuato a giocare nonostante un infortunio al ginocchio, mostrandosi uno degli uomini più pericoloso su palla inattiva (suo il palo colpito ad inizio primo tempo). Ma lo stesso Mancini è stato pizzicato dalle telecamere mentre rivolgeva una domanda abbastanza retorica (“Ma che … fai?”) ad un suo giocatore: sintomatico del fatto che probabilmente l’atteggiamento non era di quelli giusti e l’Inter di oggi non può permettersi di non giocare al 100%, soprattutto contro una squadra che è organizzata benissimo e che ad un tratto ha abbandonato il consueto 4-4-2 per rifugiarsi nel 5-4-1 (sostituendo Hetemaj, un mediano trasformato trequartista con Gamberini, vecchia conoscenza della retroguardia fiorentina), imbastendo una vera e propria Linea Maginot che ha reso la vita impossibile all’Inter. E' vero che alcuni giocatori che dovevano essere fondamentali non riescono ancora ad incidere: Shaqiri - appena arrivato subito battezzato come go-to-guy della squadra - è indietro di condizione e vede il campo nei finali di partita, Brozovic è in calo ormai da settimane e lo stesso Santon, una delle note più positive degli ultimi mesi, sta rifiatando dopo aver giocato tantissimo al suo ritorno in nerazzurro. Aggiungiamo il fatto che ieri nemmeno Hernanes è riuscito a dare la scossa giusta all'attacco interista, così come Icardi e Palacio... e la frittata è fatta. 

E ORA? - L’Inter, come non ha mancato di ricordare il Mancio, ha tirato in porta 24 volte, ha avuto il pallone tra i piedi per il 75% del tempo ma… Non ha vinto. E ieri contava vincere. Nulla è perduto, anche perché l’Inter ha dimostrato di saper giocare al calcio (soprattutto nel primo tempo) ma è innegabile che serva qualcosa in più per meritarsi l’Europa. Fiorentina e Sampdoria sono lì ad un passo, ad una manciata di punti. Ci sono quattro partite, tutte molto complicate e ricche d’insidie: Lazio, Juventus, Genoa ed Empoli. Qualcuno conosce già il finale del thriller

Sezione: Copertina / Data: Lun 04 maggio 2015 alle 08:00
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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