Suárez da una parte, Sandro Mazzola dall'altra. Pezzi di storia dell'Inter che è stata, diventando leggenda. In mezzo un giovane, quasi 21enne, faccia pulita, sorriso e 'dentoni' che poi sarebbero diventati famosi, quasi quanto lui. FC Internazionale presenta al mondo il migliore del mondo. Ha già mostrato tanto fino a quel momento, tra Cruzeiro, PSV e Barcellona, ma in quella stagione da campione diventa marziano, nonostante la sola Coppa Uefa messa in bacheca da assoluto protagonista e il ricordo indimenticabile della sabbia che poi lui avrebbe tramutato in oro. La sabbia di Mosca contro lo Spartak e una doppietta da incorniciare. Coppa Uefa, quindi. Forse troppo poco per la stagione che avrebbe poi disputato: in campionato 25 gol in 32 partite, tanto, con il solo Bierhoff che riesce a far meglio, 'mettendola in buca' due volte in più. Ma è lui l'acquisto dell'estate, Massimo Moratti concretizza 'il colpo', per definizione. 48 miliardi di lire di clausola rescissoria pagati al Barcellona e sbarco in Italia del giocatore più forte che la storia dell'Inter ricordi. E allora via all'euforia, perché a Milano è tempo di '10', è tempo di Brasile, è tempo di un joga bonito che ancora non c'era, ma che lui anticipa, perfeziona e supera. Ancor prima di esistere.

E' il 27 luglio 1997 quando esordisce con la maglia dell'Inter e l'avversario è importante, doverosa scelta per un Trofeo Pirelli diventato storico, perché per la prima volta il brasiliano entra al 'Meazza' con la maglia dell'Inter. Contro il Manchester United finisce 1-1 con la vittoria nerazzurra ai calci di rigore per 4-1. Ma i quasi 50.000 sono tutti per lui. Ronaldo Luís Nazário de Lima. L'Inter acquista il Fenomeno. E questo è l'inizio di una storia indimenticabile, comunque, che mai nessuno tra i tifosi interisti avrebbe immaginato con un epilogo così inaspettato, molto amaro. Il frutto di una passione assoluta che alla fine si sarebbe rivelato indigesto, almeno per molti.

Luglio 1997. Uun cappellino griffato, griffato Nike che su di lui investe a vita. Al collo una sciarpa, la sua sciarpa, indossata con un camicia leggera, perché il suo arrivo rende bollente una Milano già caldissima. E poi lei, mostrata con felicità, soddisfazione, senso di appartenenza. Ancor prima di cominciare: la maglia numero 10 dell'Inter. Nel giro di un solo anno quella casacca si rivela 'di passaggio', in tutti i sensi. Perché lui, no, non è uno come tutti gli altri e in pochi mesi il suo numero cambia, lo sponsor societario sposa la sua 'linea' e il suo nome diventa un marchio. R9, una lettera e una cifra che fanno paura solamente a sentirle nominare, una sigla da robot. Di una macchina. Ma in fin dei conti lui lo è veramente: la macchina perfetta, la più spaventosa, in assoluto. Potenza, tecnica, velocità, esplosività, freddezza e colpi, tutto. Il giocatore più forte in quel momento, uno dei più grandi di sempre. Semplicemente.

Il 'battesimo' in nerazzurro è speciale, nonostante le vicende arbitrali che animano il campionato, e il rendimento monstre tra Barcellona, Mondiale francese e prima parte di stagione all'Inter porta a dicembre il Pallone d'Oro, alzato nel cielo di Milano proprio nel pre-match della gara più attesa: 'Meazza', avversaria la rivale di sempre. Contro la Juventus è proprio lui a regalare l'assist perfetto a Djorkaeff per l'1-0 finale in favore dei Simoni boys (un padre per tutti, sopratuttto per Ronaldo). Un peccato non aver vinto di più, ma ancor di più dispiace non aver potuto ammirare le sue mani distese, il suo dito in movimento, il suo modo di esultare per molto più tempo, anzi, pardon, in 'modo regolare'. Perché la sfortuna non guarda in faccia a nessuno e non risparmia neanche il 'numero uno'. Cinque stagioni all'Inter, ma solo 99 presenze, 56 reti segnate e un doppio passo che nella notte del Parco dei Principi contro la Lazio diventa poesia. Marchegiani s'inchina, quasi ammaliato da un gesto tecnico tanto bello, una danza diventata must. Grazie alla Z targata Zamorano-Zanetti, ma grazie soprattutto a lui perché vince la sfida nella sfida contro un 'signore del calcio' come Nesta. E Parigi è nerazzurra.

E poi un nuovo dribbling, anzi, due. Non scartando, beffando l'avversario diretto sul campo, ma un dribbling alla sfortuna che nella sua carriera non lo ha mai abbandonato. Ecco il tendine rotuleo, due volte, contro la doppia L maledetta, quella di Lecce e Lazio. 21 novembre 1999, il ginocchio fa crack, lesione e sei mesi di stop. Ma Ronie si alza: recupero, sacrificio e grande ritorno, in quello stadio che per lui sarà per sempre nemico-eterno. Roma, 'Olimpico', 12 aprile 2000. Finale di andata di Coppa Italia contro la Lazio, entra in campo, il mondo del calcio intero non vede l'ora di rivederlo, ma dopo soli 6 minuti di gioco il tendine rotuleo si rompe completamente. Carriera finita? No, lui è il 'numero uno' e vuole tornare. E torna, ci riesce. Ma solamente per poco.

2001-2002. La cavalcata trionfale con un sergente di ferro come Cuper porta l'Inter all'appuntamento più importante, la 'finale' del 5 maggio in un 'Olimpico' che in quel pomeriggio sembra il 'Meazza'. Nel frattempo Ronaldo torna, giusto in tempo per festeggiare, almeno questa è l'intenzione. L'Inter che nella prima parte di stagione, con la coppia Ventola-Kallon, si dimostra cinica e compatta va via via scomparendo, per far spazio al talento, unito alla forza di Bobo Vieri, un ex poco amato, ma che in quel campionato vede la porta come nessuno. E allora il 4-4-2 di cuperiana memoria accoglie la magia discontinua del Chino Recoba e il talento di un uomo che non è più il robot degli anni precedenti, ma troppo importante, troppo forte ugualmente per non invitarlo al Gran Galà dello scudetto. L'esperimento, nonostante qualche difficoltà, non va male e Ronaldo timbra il cartellino 7 volte in 10 presenze, l'ultima delle quali proprio a Roma. Illusione Di Biagio-Vieri, rimonta e dramma sportivo biancoceleste, sostituzione e pianto in panchina. La storia di R9 all'Inter finisce proprio in quel momento.

Volo con la Seleção in Giappone-Corea per alzare la sua seconda Coppa del Mondo, titolo di capocannoniere assicurato, Germania bucata in finale e Pallone d'Oro, ancora, di lì a poco, alzato al cielo... di Madrid. Colpa di Cuper, voglia di cambiare, una storia infinita, ma solo nei desideri di un popolo che lo ha sempre amato, fino a quel 31 agosto post 5 maggio. Addio Inter, ecco Crespo, approdo al Real dei Galacticos e tradimento che, in fin dei conti, si consuma nel gennaio di qualche anno dopo. 2007, Milano di ritorno ma con la maglia di un Milan che non hai mai disdegnato provare a rilanciare giocatori che hanno dato, più o meno, dall'altra parte del Naviglio. Già troppo, ma Ronaldo sembra dimenticarsi di quanto l'Inter, i tifosi e Moratti hanno fatto per lui. E allora ecco la rete che non ti aspetti, quello che nessuno nella Nord vuole vedere. Gol nel derby, mani alle orecchie in segno di sfida verso i tifosi interisti, ma esaltazione 'alla seconda' con la rimonta Ibrahimovic-Cruz. L'incredibile storia di Ronaldo all'Inter, proprio in quel momento, viene indelebilmente macchiata. Per sempre.

L'epilogo amaro del frutto, comunque, più buono, pregiato e prezioso in assoluto. Ma che anni dopo si sarebbe rivelato indigesto. Perché le danze, le falcate palla al piede e la potenza che Ronie ha mostrato all'Inter sono, ancora oggi, le migliori che il popolo nerazzurro abbia mai applaudito. E forse, in attesa del futuro Fenomeno, questo rimane un privilegio. Aver ammirato il miglior Ronaldo in carriera. Buon compleanno Ronie, con una torta servita dai tifosi interisti. Ma non c'è da giurare che, proprio nessuno, si auguri che tu possa cogliere il fiele delle tue 38 candeline.

Sezione: In Primo Piano / Data: Lun 22 settembre 2014 alle 20:04
Autore: Francesco Fontana / Twitter: @fontafrancesco1
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