La Sampdoria e la Lazio sono le due squadre che Roberto Mancini, nell’arco di nove anni, ha saputo trascinare verso la conquista dello scudetto, facendo dell’attuale allenatore dell’Inter l’unico giocatore a conquistare due titoli di campione d’Italia al di fuori del giro delle grandi. Lo ricorda Paolo Condò, al quale Mancio ha raccontato tanti aneddoti di queste due esperienze. Partendo dal suo arrivo a Genova nel 1982, dopo la retrocessione storica del Bologna: “Non avrei mai voluto lasciare la città, dove mi trovavo benissimo, ma il club aveva bisogno di fare cassa e c’erano diverse offerte. Gli anni di Genova, però, sono stati i più belli della mia vita. Nella sfortuna di lasciare Bologna dove crebbi calcisticamente, sono andato a Genova e ho trovato un’altra famiglia con ragazzi giovani, un grande presidente come Paolo Mantovani e un grande ds come Paolo Borea. La svolta nell’anno dello scudetto arrivò a Napoli, dove forse abbiamo capito che potevamo giocarcela”.

Anche se la vittoria spacca campionato arrivò a San Siro contro l’Inter diretta inseguitrice dei blucerchiati, quando lui fu espulso dopo un alterco con Giuseppe Bergomi, suo grande amico: “Fu una mossa strategica, in 10 contro 10 sarebbe stato più facile. L’arbitro fu D’Elia, in quei tempi avevamo un padre spirituale, padre Galli, che riceveva gli arbitri a messa. Sapevo che erano amici e gli chiesi di chiamare D’Elia per dirgli di non farmi dare due giornate. Ci provò, ma non parlò e saltai due partite”. La Samp chiuse il suo ciclo con la sconfitta in finale di Coppa Campioni a Wembley col Barcellona: “Sapevamo che sarebbe stata l’unica opportunità della società nella propria storia”. Condò rievoca una vittoria per 4-0 sull’Inter dopo la quale Gianluca Vialli disse che il Doria sarebbe stato campione con 10 punti di vantaggio: “Ma noi eravamo molto concentrati sulla Coppa, volevamo arrivare fino in fondo. Sapevamo che dopo quella partita sarebbero cambiate tante cose, sapevamo che ogni anno qualcuno poteva lasciarci. Mantovani riusciva a tirarsi indietro ma poi capì che c’era bisogno di introiti e all’epoca si potevano ottenere solo cedendo i giocatori. Quando Vialli andò via piansi, eravamo in un ristorante con altri giocatori e lui ci disse che stava andando dal presidente perché c’era l’opportunità di andare alla Juve. Speravamo che lui o Mantovani ci ripensasse, ma poi andarono via 2-3 giocatori e cambiò tutto. Lì finì la mia giovinezza, si può dire, perché arrivò gente più giovane di me. Con la morte di Mantovani finì la nostra Sampdoria”.

A 33 anni, arriva la chance della Lazio di Sergio Cragnotti, dopo essere stato vicino all’Inter: “Furono tre anni bellissimi. Cambiai città dopo 15 anni, andai in un posto completamente diverso da Genova, cinque volte più piccola di Roma; ma poi uno si abitua. La Lazio stava costruendo una squadra molto forte, che voleva vincere. Cragnotti fece investimenti enormi e quegli anni furono pieni di vittorie importanti, forse i più belli della Lazio insieme a quelli di Tommaso Maestrelli. La Lazio è la squadra coi giocatori più forti dove ho giocato, c’erano 23-24 giocatori fortissimi e ha vinto forse poco per la qualità”. Con la Lazio segnò forse il suo gol più bello, quello di tacco col Parma: “E’ un colpo che non viene a tutti, e se non riesce può scattare un contropiede. Ma io ho un debole per quella mossa, anche se capisco quando un tecnico si arrabbia perché è un suo giocatore a farla. Se lo accetterei da Ljajic ma non da Medel? No, lo accetto anche da Medel. Fu un gol bellissimo, perché fatto a un campione come Gigi Buffon. Ma non fu la prima volta, in allenamento ci riuscì pari pari. Sapevo che Sinisa Mihajlovic avrebbe messo la palla in quel modo, ma per fare un gol così devi avere anche fortuna. La palla infatti passa vicino Diego Fuser, che non se ne accorse pur essendo abbastanza alto. Mi ricordo che Christian Vieri mi gridava: ‘Tu sei pazzo’, ma fu un gol molto bello”.

Sezione: In Primo Piano / Data: Sab 13 febbraio 2016 alle 18:24 / Fonte: Sky Sport
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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