Serate come quella di ieri son serate di passi avanti, di conferme e insieme di nuove certezze, che nascono dal gruppo, dal risultato e dalla serena consapevolezza di chi si è e di cosa si vuole diventare, anche a costo di seminare qualche errorino qua e là. Iniziamo dal principio, come vuole la semplicità: se Spalletti ha deciso di ripescare la carta Santon, così da tener testa alla fisicità dell’Atalanta, è perché evidentemente sapeva di poterselo permettere. Questa serenità, appunto, sarà senz’altro instillata al tecnico dal ragazzo, prima di tutto, che evidentemente sta mostrando doti, serietà e buona tenuta fisica in allenamento. Soprattutto, però, Spalletti sapeva bene come quest’Inter perlopiù funzioni, che i suoi ingranaggi raramente lascino sentire il rumore dell’inceppo e che, dunque, inserire nel solito undici una tessera dimenticata e un po’ impolverata non fosse affatto un’operazione rischiosa. Il Bambino, come lo chiamò con affetto e genio Mourinho, ha risposto bene come volevasi dimostrare  e, a guardar da vicino la solidità di questa squadra, nessuno poteva ragionevolmente temere il contrario.  L’avversario di giornata era certo menomato dalle assenze, e non ha mai esercitato un pressing folle e forsennato, pur attentando in un paio di buone occasioni alla porta di Handanovic: anche alcune scelte della panchina, come l’uscita di Gomez, hanno chiaramente confermato che una parte importante della testa orobica era già alla gara con l’Everton, e che le dichiarazioni un po’ lassiste di Gasperini nel pregara non erano pretattica. L’Atalanta si è però dimostrata comunque ostica, messa in campo con logica e attenzione da uno dei migliori tecnici di squadre medio-piccole della sua generazione. Averne limitato al minimo sindacale l’ottimo potenziale offensivo, e aver cambiato in corsa il modo di affrontarla pur di perforarne i pali, è certo un merito senza se e senza ma.

All’inizio di una nuova relazione ci si studia sempre, e solo col tempo si saprà con buona certezza se una carezza sui capelli è gradita o meno al partner, e se forse la prossima volta sarà meglio evitare un certo genere di battute. Nei primi appuntamenti, insomma, sei sette gaffe vengono fuori che è una bellezza; se son rose, però, il numero degli sfondoni scemerà senz’altro. Tutta l’Inter sta attraversando questa fase: le nuove direttive di Spalletti, seppur somministrate con metodo e relativa calma, producono inevitabilmente qualche piccolo misunderstanding in campo, mentre in altri casi l’apprendistato sembra ormai giunto a uno stadio assai avanzato. Il primo tempo dei nerazzurri, appunto, ha evidenziato la netta volontà di creare pericoli agli avversari attraverso una manovra rapida e a due tocchi, che conducesse il prima possibile la palla alla zona offensiva;  per una volta, inoltre, i due esterni cercavano spesso l’imbucata centrale, evitando il copione ormai consolidato e vincente del cross in mezzo per Icardi. La via è quella giusta, e ha già prodotto frutti meravigliosi quando l’Inter ha annichilito col gioco la Sampdoria nella prima ora, oppure ogni volta che i ragazzi di Spalletti sono usciti palla al piede dal pressing –quello sì– forsennato del Napoli. Nella prima frazione di ieri, tuttavia, è spesso capitato che si toccasse la palla con troppa poca forza, come fa chi pensa che il compagno su cui scaricare il pallone sia già molto più vicino di quanto non sia realmente. È un problema di distanze, che col tempo saranno pian piano modulate e adeguate ai nuovi dettami tattici. Talvolta, come accade ad esempio a Gagliardini, si fa brutta figura e si rischia la ripartenza, ma poi dietro c’è il solito Skriniar e un Miranda che speriamo si sia finalmente ritrovato, e allora passa la paura e svanisce pure la brutta figura. Lo stesso Perisic, in un paio di occasioni, è tornato per dialogare e cercare l’appoggio sul compagno che potesse rilanciarlo, ma ha sempre finito col toccare la palla troppo debolmente, forse proprio perché pensava che accanto a lui ci fosse un uomo che in realtà non c’era. Il punto è che questa squadra sa riprovarci fregandosene di  aver sbagliato: molti di questi calciatori non hanno mai giocato così, e la realtà solida in cui si muovono lascia pensare con serenità che impareranno presto. Quel giorno, ci ritroveremo tra le mani uno spettacolo di squadra.

Si è detto però che, già al 20 novembre, alcune novità sono state già ampiamente digerite, e stanno iniziando a produrre meravigliosi frutti. Icardi, su tutti. Nelle ultime gare avevamo evidenziato come il capitano si muovesse con inedita intelligenza tattica, venendo spessissimo incontro al portatore e offrendosi anche ora a destra, ora a sinistra, a creare quello spazio buono da attaccare per Perisic, per Borja, o per il suo stesso movimento a rientrare in area; di contro, però, l’argentino sembrava dover ancora trovare un giusto equilibrio tra la sua nuova versione collaborativa e il vecchio, spietato egoismo sottoporta. Eccoci serviti. 13 reti in 13 partite, 13 reti su 13 in area di rigore, eppure tanto altro a contorno, con un dialogo sempre crescente con i suoi compagni e un’operazione in divenire che, al suo compimento perfetto, farebbe di Spalletti un’artista, e di Icardi un attaccante totale e, forse, senza eguali. Intanto, però, l’Inter è solida e tranquilla, tanto da accorgersi con serenità che la nuova ricetta non le bastava per bucare l’Atalanta, e tornare dunque fin dall’inizio della ripresa a un gioco ampio come al solito, coi due esterni larghi e i cross a piovere in area: per primo tocca a perisic, poi riecco la fascia destra, asse portante di questa Inter, con la punizione di Candreva e l’assist al bacio di un eccellente D’Ambrosio. Un tempo, al primo errore ecco il panico; adesso, pronti via e si cambia musica. Ecco perché, per quanto laborioso e ancora lungo sia il processo di crescita di questa squadra, sarebbe folle non guardare ad essa con entusiasmo e gioiosa serenità.

Sezione: In Primo Piano / Data: Lun 20 novembre 2017 alle 08:30
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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