Quando parla, non è mai banale. E anche stavolta, al Corriere dello Sport, Antonio Cassano regala spunti interessanti in particolare in chiave nerazzurra. "Sono sempre stato tifoso. Da bambino, quando avevo nove o dieci anni e iniziavo a capire qualcosa, la mia squadra del cuore era l’Inter dei tedeschi".
Brehme, Klinsmann, Matthäus… Chi era il tuo modello allora?
"All’epoca c’era ancora Maradona. Nel ’91 c’era ancora Maradona. Io ero ragazzo e si parlava sempre e solo di Maradona. Era lui il mio idolo, all’epoca".
Dalle partitelle nel quartiere come arrivi a fare quello che hai fatto?
"Un giorno arriva Michele Gravina e mi dice: “Tu devi venire a fare un provino al Bari”. Mi ha visto una volta allenare con i ragazzini del Bari e mi ha fatto firmare immediatamente. Sono arrivato in nazionale e al Real Madrid, ma tutto è cominciato perché uno che capiva di calcio ha visto un ragazzino dei quartieri popolari di Bari tirare calci a un pallone. Così è la vita. Mi hanno preso a undici anni e da lì è iniziata la trafila al Bari".
In serie A hai esordito con Fascetti?
"Fascetti, esattamente. Diluviava, quel giorno non c’erano attaccanti e lui mi mise in campo con Olivares. Di anni ne avevo diciassette e mezzo. Un ragazzo".
Poi giochi con l’Inter e fai quel gol meraviglioso… Me lo racconti?
"Mi ricordo che avevo fatto una grande partita, però avevo sbagliato due o tre gol e mi stavo dannando l’anima. Nella mia testa dicevo: cavolo Enyinnaya - che esordiva quel giorno - ha fatto un gran gol in un momento chiave contro una grande squadra: mi sa che a lui passa il treno e a me no. E mi dannavo l’anima. Fino al momento in cui Perrotta mi ha fatto un gran lancio, ho agganciato la palla con il tacco, mi è venuto tutto istintivo, l’ho portata avanti, ho visto in velocità arrivare Panucci, sono andato verso il centro sterzando, stavo anche scivolando, sono andato ad incrociare la palla e ho segnato. Segnato il gol che avrebbe cambiato il corso della mia vita".
Cosa è successo dopo?
"In quel momento pensavo mille cose. Non capivo neanche io come volevo festeggiare: sono andato sotto la curva, però nella mia testa c’era una confusione. Ero felice, sarei andato anche sulla luna in quel momento. Pensavo: cavolo mi sta cambiando la vita".
Qual è l’errore che ti rimproveri di più? La cassanata, come l’hanno chiamata, che ti rimproveri maggiormente?
"Io penso l’anno e mezzo di Madrid. Perché ho fatto di tutto e di più in senso negativo. Perché c’è gente che pagherebbe oro per andare al Real Madrid con tutti quei fenomeni e io invece ho combinato tutti i casini possibili, andando via dai ritiri, facendo lo stupido, non allenandomi. Pesavo sei o sette chili in più. Quei giorni sono il grande rimpianto che ho, a livello calcistico".
Ronaldo com’era?
"Il giocatore più determinante degli ultimi venticinque anni, come Messi oggi. Era un talento clamoroso. La differenza tra lui e me era che, pur essendo anche lui su di peso, la stessa domenica io facevo una partita allucinante e lui faceva due gol. Era chiamato il fenomeno. Ci sarà stato un motivo".
Umanamente com’era?
"Bravissimo ragazzo, davvero eccezionale. Non l’ho mai visto una volta triste. Sempre sorridente, felice, contento. Il classico brasiliano. Non potevi volergli male, era impossibile".
Invece l’Inter?
"L’Inter è sempre stata la squadra del mio cuore, sono sempre stato interista. Ho spinto perciò come un matto, quando dovevo andare dal Milan all’Inter, perché volevo a tutti i costi la maglia nerazzurra. Ho fatto una buona stagione, con nove o dieci gol. Poi arrivò quel santone di Mazzarri, che si sveglia la mattina e vuole fare quello che sa tutto, e all’inizio mi disse, perché avevamo lo stesso procuratore, che non c’erano problemi con me. Poi, appena firmato, dichiarò: “Cassano è il primo che deve andare via”. Ho sentito allora Moratti, altra persona fantastica che ho trovato nel mondo del calcio, che mi disse “Antò, sono in difficoltà, Mazzarri mi ha detto che te non rientri nei piani della squadra”. Io, siccome Moratti è una persona da rispettare, ho detto: “Presidente non c’è problema, mi trovo una squadra”. Sono andato via senza polemica, perché non c’era motivo di farne. Perché se oggi mi chiedessero: Antonio qual è la squadra migliore nella quale tu ti sei trovato? Dove eri felice? Io risponderei l’Inter. Perché era gestita in una maniera fantastica da Marco Branca e Piero Ausilio. L’Inter per me è stata la piazza migliore, tra le grandi squadre. Delle piccole invece è stato il Parma".
Chi è l’allenatore che è riuscito a prenderti meglio? Con cui ti sei trovato meglio personalmente?
"Io penso Donadoni, un uomo troppo intelligente. Gli ho fatto passare delle pene, sempre per colpa mia, ma era quello che mi parlava con calma, serenità, mi faceva capire gli errori e mi dava consigli. Mi ha aiutato, mi ha fatto rendere al massimo, mi ha sempre trattato bene. Con grande umiltà, anche se lui era stato un grandissimo calciatore. Come persona mi ha trattato bene, perché lui era una brava persona. Poi gli ho mancato di rispetto dicendo delle cose che lui non meritava, in un momento mio di pazzia. Questa è la prima volta che lo dico: gli ho chiesto scusa, mandandogli dei messaggi. Sono contento che lui abbia accettato le mie scuse. Glieli ho spediti a settembre scorso. Lui è stato felice. La persona che mi ha saputo più prendere, nel mondo del calcio, come allenatore, è stato lui".
I grandi talenti spesso non sono facilmente governabili. Tu sei tra questi.
"Le tante volte che ho rifiutato la Juve è stato per quello. Loro vogliono esclusivamente dei giocatori quadrati. Io sono una persona così. Chi mi prende deve accettare i miei pregi e i miei difetti".
Se dovessi portarti su un’isola deserta una sola delle magliette della tua carriera quale sceglieresti ?
"Ne potrei scegliere tre: Italia-Germania, una partita strepitosa per me e per la squadra. Poi mi porterei la maglia dell’Inter perché sono interista e quella del Real Madrid, del derby con l’Atletico Madrid in cui feci un gol di testa".
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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