Walter Mazzarri parla al Csi (Centro Sportivo Italiano) e lo fa al presidente Massimo Achini. Ecco quanto raccolto dal nostro inviato.

Mazzarri, la carriera da calciatore come è partita?
''Da calciatore sono stato prima a San Vincenzo e poi lì. Mi aveva preso la Fiorentina che poi mi ha mandato a Follonica perché ero basso di statura. Era una società satellite''.

Ci racconta qualche aneddoto da giocatore?
''Non mi è piaciuta molto la mia carriera, non avevo il carattere. Avevo doti naturali, ma non espresse fino in fondo. Serve stare in gruppo nello spogliatoio, creando qualcosa di magico. Io avevo un carattere particolare, un po' controcorrente. Per esempio studiavo parecchio. Ecco perché preferisco parlare del mio percorso da allenatore, partendo da Bologna''.

E gli studi?
''Economia, ma non ho finito. Non è semplice. Mi mancavano otto esami, ma poi ho fatto il militare''.

Possiamo dire che ha terminato la carriera alla Torres.
''Mi sono ritirato per un problema al ginocchio., ma a 28 anni volevo già fare l'allenatore. Guardavo gli allenatori che avevo e mi stavo già formando. Negli ultimi anni mi chiedevano di fare l'allenatore in campo. Ora sono realizzato, faccio quello per cui sono portato. Avevo un carattere particolare, ora sento di poter fare bene''.

Come tecnico, è stato l'allievo di Renzo Ulivieri. Cosa può dirci?
''C'è una persona di spessore dietro il lavoro di allenatore. Al di là che poi sia andato avanti professionalmente, intendo''.

Mai esonerato: un dato importante.
''Fare l'allenatore, al nostro tempo, è difficile. Siamo sempre i primi a pagare. Io ho avuto tanti presidenti mangia-allenatori, quindi è un orgoglio non essere stato esonerato. E' una soddisfazione per il riscontro avuto: non solo della gente, ma dell'azienda che ti paga''.

Ci spiega la sua vita in famiglia?
''E' stata una scelta sofferta, non lo ho accompagnato nella crescita. Quando aveva sei anni, io ero in Sicilia e lui non poteva cambiare città. Pulvirenti aveva cambiato 15 allenatori in 3 anni, non potevo fargli cambiare la scuola. Questa cosa l'ha patita. Ora ho scritto il libro per lui, che è grande e può capire perché ho fatto quello che ho fatto. Mi mancava ovviamente la quotidianità, ma non ero in giro per divertirmi: ero a lavorare anche per il suo futuro''.

La emozionano i bambini che giocano?
''Sì perché, al di là di quello che trasmettiamo nel lavoro, dico che dovremmo forse essere più attenti a essere degli esempi per i giovani. La competizione è la base della vita, ma bisogna essere corretti e leali. Ogni tanto andiamo un po' oltre e spero si capisca che è per lo stress della competizione''. 

Ricordi di oratorio: cosa le viene in mente?
''Il bello di essere ragazzi, di stare insieme. Sport e aggregazione e anche solidarietà. Io dico sempre che il rispetto è alla base del gruppo e di una squadra. Per i ruoli e le regole, il tutto parte dall'oratorio, dai maestri. Devono essere educatori per trasmettere i principi per la vita. Io li uso ancora questi principi perché fanno la differenza. La vittoria parte da queste cose''.

In Italia si investe poco sui giovani?
''E' vero, perché è un momento economico difficile e questo, inevitabilmente, si è ripercosso sul calcio. Serve investire nel settore giovanile per far crescere giovani in casa. Siamo esterofili, accogliamo subito dall'estero, mentre non ci rendiamo conto del bacino di utenza che abbiamo. Poi serve investire su istruttori bravi, per educazioni e nozioni calcistiche adatte''.

Qualche ragazzo difficile che hai avuto?
''Dal nostro punto di vista, c'è l'idea di poter dare qualcosa per migliorare dei professionisti a livello di comportamento e tecnico. Il problema è quello che può portare al gruppo un singolo di questo tipo: serve alchimia per vincere nel calcio e non disgregare. A certi livelli, si aggiungono tante componenti. Poi è chiaro che ci sia soddisfazione nell'educare i giovani. Anche io mi sento maestro di scuola''.

Come vi regolate con le diverse lingue?
''O la sanno o si usa un interprete. Io nel conoscere i giocatori voglio dialoghi personali. Prima del discorso collettivo, voglio creare empatia con tutti. Cerco subito di entrare nella testa del ragazzo per capire cosa vuole e per farlo stare bene. Il dialogo aiuta tanto a capirsi, poi è ovvio che dai anche delle regole collettive. A questa età sanno già come comportarsi''.

Quanto durano i colloqui?
''Ci metto quattro giorni a finirli! Mezzora ciascuno almeno...''.

Un consiglio che può dare a un allenatore per educare i suoi ragazzi (in riferimento alla platea, ndr)?
''Loro sono più bravi di me. Credo ci voglia un grande senso di responsabilità. C'è da trasmettere valori importanti proprio come fa un padre famiglia. Mi viene in mente quando sostituisci un giocatore: io dico che le scelte le faccio in funzione della squadra e se poi qualcuno fa un gestaccio a me, in realtà lo sta facendo verso i compagni di squadra. Comunque la parola su cui si fonda un gruppo è il rispetto, cosa che noi dobbiamo dimostrare nel quotidiano. Così i ragazzi ti vengono dietro''.

Sui suoi collaboratori?
''Sono essenziali, non ne posso fare a meno. Devi gestire altre mille questioni e allora mi devo fidare. Poi le decisioni le prendo io, ovvio, però loro fanno un lavoro a 360 gradi. Per esempio, fino a sera i tattici stanno ad Appiano a lavorare. Sono una parte importante della mia ascesa e li ringrazio per questo''.

Ha commesso mai un errore nella sua carriera?
''Io penso che prima di tutto devi essere autocritico. Ad esempio, posso dire che, ai tempi della Samp, in un match contro il Napoli non si faceva gol. Ho messo una punta, ma si giocò peggio. Frustalupi, sul momento, difendeva la scelta, ma io gli dissi che così non diventava un grande. Per me se cambi e la squadra gioca peggio poi devi fare autocritica e capire. Se si perde, perdo io. Sempre''.

Come si fa a rendere il calcio più bello?
''A volte si esagera per l'ossessione della ricerca della vittoria. C'è la cultura del risultato che porta agli eccessi. La delusione, poi, porta inevitabilmente a sentire cose brutte sugli spalti. Si sfogano rabbie derivanti magari dal lavoro e da un disagio; si raccoglie tutto allo stadio. Forse serve cambiare qualcosa socialmente e a livello di educazione. Negli oratori è giusto trasmettere valori importanti. Da lì si inizia: serve partire dalla base e non quando uno già formato''.

 

Sezione: Focus / Data: Mar 22 aprile 2014 alle 19:00 / Fonte: Dall'inviato - Luca Pessina
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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