L'orgoglio di far parte di una famiglia, ancor prima che di una società e di una squadra. Un uomo che con il tempo ha capito l'essenza dell'essere interista e proprio per la passione verso questi colori ha deciso di mettere da parte i guantoni da numero uno accettando di stare in seconda fila. Ma solo all'apparenza. Perché lui davanti a tutti c'è sempre stato, da protagonista sin dall'inizio della sua carriera. Un numero, l'uno, che con il tempo è diventato parte del suo nome con un ToldOne tanto caro al popolo interista.

5 Coppe Italia, 4 Supercoppe italiane e 5 scudetti, oltre alla Champions League del 2010 in un anno "in cui alla Pinetina si era creato qualcosa di magico". Vice campione d'Europa nel 2000 con la Nazionale italiana in un torneo vissuto da star, nonostante un secondo posto "comunque da celebrare e che mi ha ugualmente soddisfatto". Miglior portiere e Oscar AIC assicurato e un quattordicesimo posto nella classifica del Pallone d'Oro. Niente male, per usare un eufemismo. Quello che da molti viene considerato come uno dei migliori portieri di tutti i tempi si racconta a 360° tra passato e futuro, con un presente che lo vede impegnato in prima persona con il progetto Inter Forever, senza dimenticare Inter Campus che per due anni lo ha visto ambasciatore assoluto in giro per il mondo donando gioia e felicità a bambini e realtà meno fortunate. 

Parate leggendarie e avversari storici, senza dimenticare alcune partite "che avremmo meritato di vincere". Ogni riferimento alla semifinale di Champions League contro il Milan è puramente casuale... Ricordi, tantissimi. Momenti che lo legano a José Mourinho ("Una persona che ti entra dentro, ecco perché è speciale"), ma anche a una Fiorentina che ha occupato pagine indimenticabili nella sua carriera, con un Batistuta ricordato come "il più forte attaccante con il quale abbia mai giocato, insieme a Ronaldo ed Eto'o". Inter, una squadra che avrebbe potuto abbandonare, proprio quando Mancini scelse Julio Cesar come nuovo padrone della porta nerazzurra, ma lui disse "Presidente Moratti, preferisco rimanere come dodicesimo. Non voglio lasciare questi colori".

Ai microfoni di FcInterNews la storia di un grande del calcio. Semplicemente Francesco Toldo

Estate 2001, lasci la Fiorentina e scegli Milano quale tua prossima destinazionae. Puoi spiegarci come andò quella trattativa? C'erano altre società interessate?
"C'era il Barcellona fortemente interessato a me. Infatti ero sul punto di firmare con i blaugrana un contratto di cinque anni, ma alla fine l'Inter ebbe la meglio perché fu disposta a pagare immediatamente l'intera somma del mio cartellino alla Fiorentina (circa 55 miliardi di lire, ndr) mentre il Barça aveva proposto un pagamento dilazionato in quattro rate. Il Parma provò a inserirsi perché aveva la necessità di sostituire Buffon destinato alla Juventus, ma io scartai a priori questa possibilità perché eravamo i due portieri emergenti in quel momento. Quindi accettai molto volentieri la soluzione Inter perché la consideravo una grandissima società".

Se fosse dipeso da te avresti scelto il Barcellona o l'Inter?
"Inizialmente l'ipotesi Inter non c'era, quindi non mi trovai di fronte a una scelta. La società era semplicemente in fase di attesa e non si ventilava neanche come ipotesi. La Fiorentina stava vendendo il mio cartellino al Barcellona ed ero convinto di questa destinazione, ma poi l'Inter si è inserita all'ultimo momento pagando immediatamente l'intera somma. Non c'è stata trattativa, pur di venire all'Inter accettai un ingaggio inferiore".

Il portiere che abbiamo ammirato all'Europeo del 2000 lo reputi il miglior Toldo della carriera?
"Francamente non c'è stato un momento breve di forma massima, anche se quella competizione è stata molto visibile e di conseguenza ha avuto maggior eco. La forma fisica di un portiere racchiude un arco di tempo che va dai 26 fino ai 33-34 anni e io ero l'esempio. Ricordo di aver mantenuto lo stesso livello di forma proprio in quel periodo. Gli errori e le distrazioni accadono, ma avvengono indipendentemente dall'età di un portiere".

In Belgio e Paesi Bassi è stata maggiore la soddisfazione delle tue prestazioni o l'amarezza dell'amaro epilogo?
"Nella mia carriera non ho mai scisso la prova personale da quella della squadra e, inoltre, non ho mai considerato un fallimento arrivare secondi in certe competizioni. Ora, dopo aver smesso con il calcio giocato, confermo queste mie teorie e reputo questo aspetto un grosso difetto di questo sport. Al contrario delle altre discipline in cui si celebra il secondo posto e non viene visto come una tragedia sportiva. Ma nel calcio non è così: quando una squadra compie un grande cammino, ad esempio, in Champions League o in campionato perdendo poi in finale o per un solo punto è un disastro umano e sportivo. Questa la reputo una cosa da cambiare totalmente. Il rugby può essere un grande esempio in questo senso. Tornando all'Europeo, dico che sono stato molto felice delle mie prestazioni, mi è dispiaciuto per la finale persa, ma sono ugualmente soddisfatto del risultato finale, da vice campione d'Europa".

Tornando all'Inter, qual è il momento, a livello di squadra, più alto della tua esperienza in nerazzurro e quello maggiormente negativo?
"Purtroppo non posso risponderti perché è stato tutto falsato. Ripeto, purtroppo. Quel periodo, e ci sono sentenze a riguardo, è stato un periodo non valutabile perchè non è stato veritiero l'andamento dei campionati".

A livello personale, c'è stato un momento in cui sei stato a un passo dall'addio all'Inter?
"Sì, anche se io non avrei mai voluto andare a giocare in un'altra squadra, cosa che poi è effettivamente accaduta. Quando arrivò Mancini mi mise subito in discussione e di conseguenza si aprirono in quel momento varie soluzioni e arrivarono diverse offerte. Ne parlai più volte con il presidente Moratti e lui comprese il desiderio di un suo campione nel voler giocare, però alla fine gli dissi: "Presidente, preferisco rimanere all'Inter e ricoprire il ruolo di dodicesimo, che non reputo una vergogna anche se io sono sempre stato un titolare fisso". Ma oggi, con l'esperienza di un quarantatreenne, dico tranquillamente che sono felicissimo di aver fatto quella scelta perché sapevo che prima o poi l'Inter avrebbe trovato la dimensione ideale. Purtroppo negli anni precedenti c'è stato un periodo di forte confusione per i motivi di cui sopra".

Vorrei fare un parallelo tra Mancini e un altro allenatore che è stato comunque importante nella storia recente dell'Inter, nonostante non abbia raccolto alcuna vittoria: Hector Raul Cuper. Secondo te, a livello di mentalità, ha avuto maggior peso il ritorno, dopo tanto tempo, a lottare per certi traguardi con l'argentino o le prime vittorie con il Mancio?
"Sono due situazioni diverse. Nei due anni o poco più con Cuper l'Inter ha voluto prepotentemente tornare in corsa. Ogni anno il presidente Moratti cercava di allestire una grande squadra, ma il momento storico falsato ha negato tutto e ciò è stato confermato dalla giustizia sportiva. Dopo 'Calciopoli' le cose sono tornate a una dimensione reale e l'Inter ha preso il volo. Voglio aggiungere che ci sarebbe riuscita anche con Cuper perché la squadra era formata da talenti, anche se erano meno amalgamati tra di loro. Mentre con Mancini c'è stato progetto, programmazione e anche un gioco".

Duello con Julio Cesar: quando hai capito che Mancini avrebbe puntato definitivamente su di lui?
"Sinceramente non me l'ha mai detto. Io credo che un allenatore debba essere anche un grande comunicatore, ma non solo davanti alle telecamere, ma soprattutto nello spogliatoio. Un allenatore, e lo dico in veste di preparatore dei portieri della Nazionale Under-21, deve essere schietto e chiaro con i propri giocatori. Ricordo che sotto questo aspetto Mourinho era il massimo...".

C'è un episodio in particolare che vuoi raccontarci?
"All'inizio della stagione riuniva la squadra nello spogliatoio e davanti a tutti diceva a tutti i giocatori la propria idea circa il loro ipotetico utilizzo: "Tu non giocherai, è meglio che ti trovi una squadra. Tu, invece, sei all'interno del gruppo". Ma questo non lo diceva al 31 agosto a mercato terminato, bensì ai primi di luglio. Anche davanti a scelte di questo tipo il gruppo si unisce perché c'è chiarezza e il nostro era disposto a buttarsi nel fuoco per la causa comune. E non è un caso che il Triplete sia arrivato proprio in quella stagione. Nel 2009-2010 c'erano tanti campioni che si misero a disposizione del gruppo, a partire da quelli in panchina. E parlo anche di me stesso".

Hai citato Mourinho. Perché lui è lo Special One?
"Prima di tutto perché è sé stesso e ha un carattere eccezionale. È adeguato a condurre un gruppo di lavoro, che sia aziendale o sportivo. Chiaro, trasparente, nessun 'pelo sulla lingua' ed è una persona che ti entra dentro. Gestisce al meglio le proprie risorse e poi ha una staff molto simile alle proprie caratteristiche. Con un gruppo di ragazzi professionisti come il nostro è stato il massimo".

2009-2010, che stagione...
"Fino all'ultimo siamo stati a un bivio: avremmo potuto vincere o perdere tutto. Ma si era creato un qualcosa di magico all'interno della Pinetina che man mano che passava il tempo la gente si entusiasmava sempre di più e noi avevamo capito che si trattava di un'occasione unica, cioè quella di vincere tre competizioni. Ogni partita era decisiva".

Considerando il tuo ruolo da preparatore dei portieri in Under-21, come giudichi il processo di crescita dei due canterani Bardi e Di Gennaro?
"Il loro processo di crescita procede normalmente. Non voglio entrare troppo nello specifico perché non sarebbe giusto nei confronti di Perin, Cragno, Leali e tutti gli altri, ma sono due ragazzi che appartengono all'Inter e stanno crescendo. Bardi è reduce da un campionato di Serie A e voglio sottolinerare che è una persona semplicemente favolosa con delle qualità umane e sportive importanti. Lui e Di Gennaro sono due portieri continui, ma devono crescere ancora. La loro esperienza è all'inizio e ora sono in squadre 'minori' in attesa del lancio. Devono continuare su questi livelli per affermarsi perché confermarsi è più difficile che sorprendere. Oggi, rispetto ai miei anni, devono lottare con la concorrenza mondiale mentre prima, se eri un talento in Italia, avresti fatto certamente una grande carriera".

Capitolo Inter Forever: questo progetto nasce da una tua idea e comprende tanti grandi ex del passato dell'Inter che, in vari stati del mondo, si esibiscono in partite contro altre squadre formate a loro volta da grandi ex. Puoi spiegarci più nel dettaglio di cosa si tratta? Quali sono le prossime tappe e quali potrebbero essere i 'nuovi acquisti' del gruppo?
"Avrei potuto chiamarlo Inter Legends Team e sarebbe stata la medesima cosa. È un progetto a cui ho pensato in seguito alla mia esperienza con Inter Campus che comprende varie parti del mondo e in tema di ex l'Inter può contare su un grandissimo gruppo perché, ad esempio, Djorkaeff vive a New York. Quindi ho voluto sviluppare questa idea legata ai grandi di ieri che, però, hanno vestito la maglia dell'Inter in un passato relativamente recente. Uno degli aspetti a cui voglio dare il giusto peso è anche quello di tramandare valori positivi ai giovani della Primavera e ricordo con piacere un discorso di Nicola Berti al centro sportivo Giacinto Facchetti con i ragazzi che sono stati letteralmente catturati dalle sue parole. Importante è anche il lato legato al marketing e l'anno scorso ci sono state circa 2000 interviste agli ex. Un dato clamoroso per quanto riguarda l'aspetto della comunicazione e lo sviluppo del marketing della società. Poi quando si è concretizzata la cessione del club con Thohir che ha voluto la presenza di tanti ex a San Siro noi eravamo già pronti. Questa risorsa non deve essere dispersa perché mi fa male quando un giocatore, dopo aver chiuso un rapporto sportivo, parla male dell'Inter perché è una società esemplare, gestita da sempre in modo ottimale e non merita un certo tipo di trattamento. Ho parlato con tutti gli ex viventi e ognuno ha mostrato la propria gioia di aver fatto parte di questa società da giocatori, oltre l'entusiasmo di far parte del progetto Inter Forever. Poi abbiamo fatto delle partite, ma non a scopo di lucro, ma solamente finalizzate allo sviluppo dell'immagine. Abbiamo giocato contro Bayern Monaco e, di recente, Real Madrid. L'Inter ha la fortuna di avere tanti ex che vivono in varie parti del mondo: Kallon in Texas, Zamorano a Santiago del Cile e Djorkaeff a New York o Parigi e devo dire che non è stato facile 'andare a prenderli', a maggior ragione durante un passaggio societario storico come quello tra Moratti e Thohir. Sono orgoglioso di questo progetto, lo reputo una cosa stupenda. La gente ha capito l'importanza e ha subito mostrato entusiasmo volendo sapere quali fossero le attuali occupazioni di tutti questi grandi del passato, l'assetto della comunicazione societaria ha captato e percepito il 'peso' di Inter Forever e ha sfruttato questa possibilità. Adesso abbiamo raccolto tanti consensi e il prossimo obiettivo sarà quello di giocare partite in tutte le parti del mondo, cercando di ricostruire la squadra del passato, reparto per reparto. Voglio tornare al discorso legato ai giovani che ho citato prima: da giocatore hai delle ansie e delle insicurezze, mentre quando smetti può consigliare ai ragazzi in modo tranquillo per evitare che anche loro possano, chissà, incappare negli errori che noi abbiamo fatto a nostro tempo. È stupendo questo. A ottobre andremo in Cina per una doppia partita e, casualità, Kallon ha giocato nel 2010 proprio in quella città. Lo porterò sicuramente".

Proverai a coinvolgere anche la 'coppia dei sogni' Ronaldo-Vieri?
"Me lo auguro, ma sarà molto difficile perché loro hanno legato le proprie carriere a diverse squadre, anche Milan e Juventus, e quindi non appartengono solamente all'Inter".

Ci aspettiamo, quindi, un reparto difensivo con Toldo, Zanetti, Cordoba, Materazzi e Georgatos?
"Certo, sarebbe molto bello, anche se non sono riuscito a portare anche Grigorios. Mi concentrerò sull'era del 2000, non andando troppo a ritroso nel tempo".

Altro capitolo, altrettanto importante per la tua vita sportiva, ma non solo: Inter Campus. Che ricordo ti ha lasciato questa esperienza? Un progetto che possiamo considerare come il fiore all'occhiello della società.
"Prima era già abbastanza conosciuto, anche se l'aspetto 'pubblicitario' era praticamente nullo. In un secondo momento, invece, abbiamo fatto di più in questo senso. È un progetto meraviglioso, sono stato coinvolto emotivamente per due anni e ho capito che uno sport come il calcio può essere un grandissimo mezzo per aiutare le persone che vivono in zone disagiate ridando, soprattutto ai più giovani, il diritto al gioco. Vedere un bambino in difficoltà che con la maglia dell'Inter fa le capriole dalla felicità è una cosa bellissima perché non si sente più emarginato, ma parte di un progetto. Sono stato in Venezuela e Cambogia in mezzo alle risaie. Lì sono stati costruiti un campo sportivo e una scuola, anche se non sanno neanche cos'è il calcio. Ma in questi impianti i bambini vengono puntualmente seguiti. Ricordo il viaggio in Israele e Palestina: abbiamo fatto arrivare due pullman con ragazzi israeliani e palestinesi guidati dagli adulti e ho notato che non c'era dialogo, nessuno parlava. Noi abbiamo invitato gli adulti a farsi da parte e in due minuti i bambini hanno giocato tutti insieme senza domandarsi se l'avversario o il compagno fosse israeliano o palestinese. Da brividi. Inter Campus è speciale perché ha fatto e appoggia tuttora diverse iniziative e l'Inter sviluppa questo tipo di progetto in maniera più marcata rispetto alle altre big mondiali. Naturalmente Real Madrid, Barcellona e Manchester United, per citarne tre, hanno le proprie fondazioni a scopo benefico e sarebbe sbagliato il contrario, ma quella dell'Inter è un'iniziativa diversa. Inter Campus è stato riconosciuto dall'ONU come progetto mondiale".

C'è un episodio riguardante Inter Campus che ricordi in particolare?
"Certamente, eravamo a Caracas e ricordo che ci trovavamo in un posto molto pericoloso, tristemente famoso per le sparatorie e le rapine che purtroppo avvenivano frequentemente. In effetti quando ci siamo trovati proprio in quella zona poco lontano da noi alcune persone hanno cominciato a sparare, ma sono stati i bambini stessi a invitarci a correre e continuare a giocare senza dar peso a quello che stava succedendo poco distante. Una realtà che da noi sarebbe impensabile".

Tornando alla tua carriera, se ti chiedessi di elencare i tre compagni più forti con i quali hai giocato chi piazzeresti sul podio?
"Tre attaccanti: Batistuta alla Fiorentina, Ronaldo ed Eto'o all'Inter".

I tre avversari migliori affrontati?
"Del Piero, Totti e Shevchenko che ci ha segnato quel gol maledetto...".

A tal proposito ti chiedo quali sono le partite perse che vorresti rigiocare a tutti i costi?
"Ne cito tre. La finale dell'Europeo 2000, la gara di Roma del 5 maggio e la semifinale di Champions League contro il Milan nel 2003. Meritavamo noi di passare".

Cosa rappresenta per te l'Inter e quale messaggio vuoi inviare a tutti i tifosi interisti che non hanno mai fatto mancare affetto e stima nei tuoi confronti?
"Per me oggi l'Inter rappresenta un'opportunità di crescita, mentre prima è stata la mia professione. Ma non solo: è un esempio di società da seguire, un modello per tutti i club. Ai tifosi voglio dire che la mia carriera è stata divisa praticamente tra Fiorentina e Inter, in due periodi diversi. A Milano sono stato felicissimo di vedere la gioia trasmessa dai tifosi dopo le vittorie, dopo anni di sofferenza in cui ci sono stato anche io. I trionfi seguenti non sono arrivati casulmente, ma sono una ricompensa degli anni tristi del passato. Il tifoso interista è diverso nell'animo da tutti gli altri perché le caratteristiche dell'Inter sono uniche. Voglio cogliere questa occasione per ricordare a tutti loro di venire allo stadio e applaudire tutti gli ex perché sono persone che hanno fatto la storia dell'Inter e meritano tanto affetto. Non devono mai essere dimenticati".

Sezione: Esclusive / Data: Ven 22 agosto 2014 alle 20:03
Autore: Francesco Fontana / Twitter: @fontafrancesco1
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