Ora, non ho la palla di vetro, non so leggere i tarocchi e nemmeno le congiunture astrali. Pertanto mi limito a seguire con immutata emozione le voci di mercato che si susseguono e si sovrappongono; è un modo di leggere calcio diverso dall’agone vero e proprio, ma altrettanto coinvolgente. Le redazioni giornalistiche impazziscono dietro notizie vere o presunte, ricamando merletti a loro volta. In un istante un giocatore è capace di vestire contemporaneamente due/tre maglie, a seconda della testata che si predilige. È una vera e propria Babele, un consesso di voci che si rincorrono, si sorpassano, si mescolano. E alla fine qualcuno ha sempre ragione. Perché sparando nel mucchio prima o poi qualcosa si prende.

La settimana appena trascorsa mi ha entusiasmato solo in parte. Certo, il piacere di rivedere Eto’o nel Bel Paese è sempre un fantastico tuffo nel passato. Non amo particolarmente la gratitudine nel mondo del calcio, alla fine tendo a non affezionarmi a ragazzi che sono professionisti e che, non lo scordo mai, giocano a pallone in cambio di una notevole quantità di denaro. Fatte salve rare eccezioni, l’attaccamento alla maglia è una scusa risibile dietro cui nascondersi per far lievitare il prezzo dell’ingaggio. Un gioco delle parti, conosciuto e stra-conosciuto. Poi, in una congiuntura economica particolare nella quale stiamo vivendo, ci sta che qualcuno, pur di non rimanere a piedi, tenda a “ridursi” gli emolumenti. Ma, ricordatelo, parliamo sempre di milioni di euro, non dello stipendio di un comune mortale.

Però negli occhi e nella mente ricordo un campione vero, un vincente, uno che aveva già conquistato tutto quello che un calciatore può sognare di conquistare, mettersi al servizio dei compagni. Fare gol, Londra docet, ma la doppia sfida col Barcellona, dove Eto’o andava a fare il terzinaccio qualunque, rimarrà qualcosa di indelebile e che le scuole calcio dovrebbero far vedere e rivedere ai ragazzini.

Demagogia a parte, cerchiamo di capire cosa sta succedendo nel mondo nerazzurro. L’Inter è stata particolarmente attiva in questa finestra di mercato, e continua a esserlo anche nel rush finale. Mancini ha la necessità di puntellare il centrocampo; siamo poco produttivi in quella zona, non abbiamo un uomo in grado di cucire i reparti, di rompere l’azione avversaria e ripartire velocemente. Non abbiamo, in sostanza, uno capace di ribaltare il gioco con quelle famose sciabolate morbide di picciniana (mi scuso da subito con Sandro Piccinini per il neologismo ma la terminologia è fantastica) memoria. Non c’è, in rosa, chi sia in grado di squassare le squadre avversarie con aperture di trenta metri che in un secondo possano lanciare negli spazi gente che della corsa e della velocità fa una delle migliori armi. Poldi, Shaq e Mateo sembrano perfetti alla bisogna; ne hanno e le capacità e le stigmate.

O, meglio, forse l’uomo lo avremmo anche. Ma Hernanes, ad oggi, ha spesso e volentieri disatteso le speranze del popolo del cielo e della notte. L’involuzione tecnico tattica del brasiliano è, sotto molti aspetti, inspiegabile. Però, lo dico per correttezza di cronaca, non ci dobbiamo scordare che il ragazzo spesso e volentieri è stato schierato fuori ruolo e che, soprattutto, pur di tornare utile alla causa è sceso in campo in pessime condizioni fisiche, esponendosi di fatto al pubblico ludibrio. Vediamo come il Mancio penserà di recuperarlo; e fisicamente e psicologicamente. Perché Hernanes non è Cambiasso, non è Lothar, non è nemmeno Matteoli. Ma è un buon calciatore che non può aver disimparato a giocare a pallone.

Capitolo difesa. Qui i nomi impazzano in un valzer che va dal Brasile alla Russia, passando attraverso la martoriata Ucraina. Rhodolfo, granatiere di Sardegna, è un lungagnone fortissimo di testa e dai piedi buoni. Controindicazioni: quelli bene informati sussurrano che non abbia un carattere particolarmente forte. Insomma, se lo metti vicino ad un leader è indubitabilmente valido, se gli affidi le chiavi della difesa potrebbe avere qualche balbettio. Vida non è male; croato, forte fisicamente, ha il problema di costare un pochino troppo rispetto al vero valore sul campo.

E, qui lo scrivo e qui non lo nego, si mormora anche di un interessamento per quello che, opinione assolutamente personale quindi più che attaccabile, è uno dei migliori centrali attualmente in circolazione: Aleksandar Dragovic, ventitreenne austriaco di origini serbe, leader vero (lui sì), fortissimo di testa, ambidestro, grintoso e cattivo agonisticamente al punto giusto. Un comandante della difesa. Giovane ma già eccezionale. Certo, costa. Più del prestito del centrale del Gremio, più del croato dalla bionda chioma. Ma stiamo parlando di uno che è di diritto nel Gotha dei difensori a livello mondiale. Con ogni probabilità è destinato a restare un sogno. Purtroppo. Ma ET ci ha stupito in queste ultime settimane, quindi non demordo e continuo il mio viaggio nel mondo onirico.

Davanti, forse, siamo a posto così. Il caso Osvaldo ha diviso e continua a dividere. Io, lo confesso, pur riconoscendo al sosia del Pirata dei Caraibi una capacità di giocare al calcio superiore alla media e pur ritenendolo il più completo tra gli attaccanti che l’Inter ha in rosa, sto con Roberto Mancini e con la Società. Non so e non conosco quello che è realmente accaduto negli spogliatori dello Juventus Stadium. Non ero lì e non mi fido del chiacchiericcio da bar. Ma penso anche che Mancini non sia stupido, cosi come la dirigenza nerazzurra, per cui se si è deciso di allontanare l’italo-argentino dalla comunità, qualcosa di grave deve essere successo. Ripeto, al di là dei mormorii e delle supposizioni. Nessuno tra quanti ne stanno parlando e stanno cavalcando l’onda era presente, pertanto le illazioni le trovo completamente fuori luogo.

Detto ciò che avevo sul gozzo da qualche giorno, nelle ultime ore si è vociferato su un presunto arrivo in maglia nerazzurra di un signore barese, forse poco incline alla corsa e al sacrifico, ma con due piedi fuori concorso. Antonio Cassano potrebbe tornare a vestire i nostri colori. Sì, lo so, alcuni saranno felici (io), altri sacramenteranno ricordando i trascorsi del funambolo di Bari Vecchia. Però, che volete, io ad uno che intervistato in un momento in cui stava lasciando un’altra squadra di Milano e a domanda precisa risponde… ma che me ne frega, sono nato e morirò interista… beh, scusatemi, le porte le lascio sempre aperte. Perché lo adoro. E perché credo che Mancini, la cui stima per Cassano non è mai stata messa in discussione, saprà adoperarlo come meglio possibile.

Non so come finirà. Ma, indubitabilmente, voto Antonio. 

Buona domenica a Voi. Amatela. Sempre.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 01 febbraio 2015 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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